Vita mia
- Autore: Dacia Maraini
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Rizzoli
- Anno di pubblicazione: 2023
“Memorie di una bambina italiana nel campo di prigionia” è il sottotitolo di Vita mia (Rizzoli 2023, Collana “La Scala”) di Dacia Maraini, il nuovo romanzo in cui la celebre scrittrice racconta la sua prigionia in un campo di concentramento giapponese, assieme alla famiglia.
Dacia Maraini ha redatto romanzi, racconti, opere teatrali, poesie, saggi e narrazioni autobiografiche, editi da Rizzoli e tradotti in oltre venticinque Paesi; nel 1990 ha vinto il premio Campiello con “La lunga vita di Marianna Ucrìa”, nel 1999 il premio Strega con “Buio”, e ha ricevuto il premio Campiello alla carriera nel 2012.
Nata a Firenze il 13 novembre 1936, primogenita dell’antropologo, orientalista e scrittore fiorentino Fosco Maraini e della pittrice e gallerista palermitana Topazia Alliata, Dacia Maraini è certamente una delle autrici italiane più conosciute e apprezzate al mondo. Acuta e sensibile indagatrice della condizione della donna, Maraini ha spesso delineato nei suoi molteplici volumi figure femminili complesse e determinate. In queste pagine invece l’autrice compone un libro intimo, al quale ha lavorato per molti anni, rievocando per il lettore uno dei periodi più bui della propria esistenza.
“Vita mia che mi sei malandata che mi sei tormentata che mi sei svirgolata che te ne vorresti andare senza un saluto, un piede avanti e uno indietro, vita mia che balli e canti sulle rovine del passato… Ma prima di andare lasciati capire lasciati concepire lasciati abbracciare lasciati raccontare”.
Sì, è vero che
“Da una parte si vorrebbe dimenticare ciò che non si può dimenticare, soprattutto quando si sente che circola e si diffonde un sentimento di irritazione e di stanchezza verso la memoria, un sentimento che sentiamo come offensivo e umiliante”.
Ma c’è “un’altra voce, meno persuasiva e più insistente”, che invece sprona a parlare.
“A dire, a rammentare, a testimoniare”.
Alla fine dell’estate del 1943 la bambina Dacia stava per compiere sette anni. I Maraini erano felicemente integrati in quel complicato tessuto connettivo che era la cultura giapponese. Dacia parlava perfettamente il dialetto di Kyoto, il padre insegnava all’università giapponese, la madre partecipava a popolari convegni di studenti contrari alla guerra. Il sogno era la pace.
“Si pensava che la guerra sarebbe finita presto e noi saremmo tornati in Italia”.
Tutto precipita dopo l’8 settembre ‘43 quando Fosco Maraini e sua moglie Topazia, fedeli alle proprie idee, si rifiutarono di aderire alla Repubblica di Salò, alleata del governo nipponico. La richiesta era di decidere subito da che parte stare. Se non avessero firmato e giurato fedeltà, il loro destino sarebbe stato un campo di concentramento per traditori della patria. Non era una scelta politica, nessuno dei due aveva una tessera di partito. Una cosa però univa Fosco e Topazia: il rifiuto del razzismo. Per questo la famiglia Maraini, Fosco, Topazia, e le piccole Dacia, Yuki e Toni, venne internata in un campo di concentramento nipponico a Nagoya.
Prima dello scoppio della II Guerra Mondiale, Fosco Maraini si era trasferito in Giappone come lettore di lingua italiana presso la celebre Università di Kyoto, dopo aver già lavorato a Sapporo e nel Kansai.
Uomo d’azione, rigoroso, orgoglioso, Fosco Maraini durante la prigionia compì un gesto d’alto significato simbolico per la cultura giapponese. Alla presenza dei comandanti del campo di concentramento si tagliò l’ultima falange del mignolo della mano sinistra con una scure. Non ottenne ovviamente la libertà, ma un miglioramento delle condizioni di prigionia che permise alla famiglia Maraini e agli altri reclusi italiani di sopravvivere ai morsi della fame fino alla liberazione. Ottant’anni fa due giovani coraggiosi e decisi compirono una scelta coraggiosa e la loro figlia scrittrice sensibile ed empatica, ottant’anni dopo torna a quei giorni dolorosissimi, ma carichi di esperienza, durati due anni. Doveroso è testimoniare, con il proprio carico di ricordi, come solo una finissima intellettuale come Dacia Maraini sa fare.
Quando nel 1945 i Maraini tornano in Italia, la ragazzina Dacia racconta:
“Mi consideravo una piccola giapponese che arrivava in Italia a comprendere il passato della sua famiglia e a costruire il suo futuro, ma con poca dimestichezza con gli usi e le abitudini del Paese”.
Vita mia. Giappone, 1943. Memorie di una bambina italiana in un campo di prigionia
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