Vite brevi di idioti
- Autore: Ermanno Cavazzoni
- Categoria: Narrativa Italiana
Il libro di Ermanno Cavazzoni, “Vite brevi di idioti”, è uno spasso, la fotografia in bianco e nero di un’Italia che non c’è più, fatta di personaggi strambi, di stupidi di paese, appunto di idioti ma innocui. Oggi, mi viene da pensare, anche le malattie mentali sono più irreggimentate, oltre ad essere più aggressive e angosciose. Gli idioti cavazzoniani invece sono personaggi per lo più bizzarri, alcuni perfino candidi nella loro idiozia che li accomuna agli animali, essi ci restituiscono intero un contesto, il loro habitat, di impronta decisamente provinciale e strapaesana. Quella ritratta dalla penna di Cavazzoni è ancora un’Italia agreste, un’Italia nella quale l’urbanizzazione è appena iniziata, suscitatrice di tutta una serie di turbe e comportamenti anomali legati appunto alla modernità. Nella biografia dell’idiota cavazzoniano è spesso un’idea ossessiva, una monomania a scavare il solco delirante di un’esistenza. Ma distinguiamo. Ci sono idioti storici e idioti extrastorici. I primi sono in effetti gli idioti più evoluti, perseguitati da un’ossessione che essi hanno mutuato, per ragioni imperscrutabili, dal mondo reale e che diventa la loro propria ragion d’essere. Rientra in questa fattispecie il signor Pigozzi; questi un bel giorno decide di fuggire dalle costrizioni domestiche (ha una moglie e una figlia), e, ispirato dalla rocambolesca vicenda di un ingegnere meccanico che fugge dalla DDR su una macchina volante da lui costruita, trasforma la sua Fiat 850 in una specie di aeroplano ma va a schiantarsi contro un cavalcavia di cemento morendo sul colpo. Nel racconto fanno la loro comparsa le icone del progresso tecnologico e del benessere: la Fiat 850 e il cavalcavia di cemento. La sottigliezza è nel parallelo che la trama suggerisce: tra chi predispone la propria fuga per entrare nel benessere e nel progresso all’occidentale e tra chi, il Pigozzi appunto, da quel benessere e progresso vuole fuggire. Vacondio (ogni nome è ovviamente da degustare per le sue fatali implicazioni semantiche) invece è un ‘signore impressionato dalla velocità a cui va la terra’:
“Ma lo sa a quanto andiamo? – diceva ogni tanto a qualcuno che lo vedeva preoccupato – a 108mila chilometri l’ora; ha capito?” Per questo fatto diceva che non se la sentiva di continuare a lavorare tranquillamente, mentre la Terra andava a questa velocità forsennata per lo spazio, e noi qui sopra come dei fessi in sua balìa”.
Un idiota del progresso evidentemente. Cui le nuove scoperte dell’astrofisica e della matematica hanno tolto il sonno, e la serenità. Un’altra mattana evoluta è quella che fa credere a Galli Sauro, un contadino affittuario che viveva con la madre, di essere in realtà un medico. L’ossessione origina dal rinvenimento, nella cantina della casa in cui viene a abitare, di una borsa da medico:
“dentro c’erano alcuni apparecchi dell’anteguerra, e ci si era molto appassionato; pensava di aver avuto una bella fortuna e di poter esercitare in poco tempo la professione, specializzandosi soprattutto nel misurar la pressione, che era il ramo della medicina che lui preferiva e con cui aveva avuto subito più dimestichezza”.
Un altro idiota ‘storico’ è Vincenzo che evidentemente ossessionato dalla temperie del momento si ritiene un romanziere realista:
“Si chiamava Vincenzo, ma nel romanzo compariva con il nome di Ernesto. Tutto ciò che faceva, lo faceva ai fini di scriverlo. Ad esempio si sedeva e guardava il soffitto; allora scriveva sul foglio: Ernesto all’improvviso si siede e guarda il soffitto”.
E così ad libitum. Ci sono poi nel libro due racconti che sono legati, mi sembra, alle ripercussioni sociali e psicologiche dell’urbanizzazione negli anni del boom edilizio e cementifero. Il marasma insensato delle città, pullulanti di traffico e di folle anonime, o la segnaletica stradale quasi allucinatoria determinano stati di confusione mentale, nonché fobie persecutorie anche gravi negli individui più deboli e fragili. Zaghini Nereo, per esempio, ha paura del traffico:
“Diceva che qualcuno nascosto nel traffico girava aspettando di poterlo investire; diceva che si trattava del diavolo venuto appositamente per lui”.
Da notare che qui l’ossessione della modernità si coniuga con il tema iconografico e archetipico del diavolo. Ma più che di un anticristo terrificante e onnipotente qui si tratta di un ‘povero diavolo’, maldestro e spaesato, tanto quanto la sua vittima, nella grande città in cui tenta di nascondersi (e anche gli abiti improbabili di quel suo travestimento urbano hanno del ridicolo: “il diavolo lo si riconosceva perché era vestito con una giacca scozzese che svolazzava e pantaloni non definibili). Compare invece nell’altro racconto il signor Bassanini, padre famiglia che avendo comprato l’automobile si sente obbligato alle fatidiche e fantozziane gite della domenica; famiglia al seguito. Il racconto è particolarmente divertente e realistico, essendo Bassanini il classico guidatore della domenica. Quante famiglie Bassanini la società dei consumi ha prodotto e sbeffeggiato? Così quantunque la moglie lo aiutasse a scorgere da lontano i pericoli:
“il dramma scoppiava quando compariva un cartello con l’indicazione di un bivio: ad esempio, Genova a destra, Livorno a sinistra. Bassanini, con una fila di auto dietro, non potendo fermarsi, perdeva la testa e perdeva il concetto di destra e sinistra. I figli gridavano: Papà, papà, vai di là! E la moglie: Gino stai attento, è pericoloso, va’ a destra, di là d’è Livorno”.
Poi come accennavo ci sono gli idioti extrastorici, la cui ossessione appare comunque meno angosciosa e semmai più prossima al regno animale e a una sorta di felicità primordiale. Uno su tutti. L’idiota Sereno Bastuzzi (‘Sereno’ appunto, perché l’onomastica è sematicamente attiva), p. e., viveva dentro un pagliaio. Anche il padre e la madre di Sereno sono idioti congeniti e vivono insieme a lui. Sono tutti contadini ma hanno un legame con la terra ereditata, bucolico e gioioso. Non uccidono gli animali, dormono nel fieno e si nutrono di sole verdure. Ai Bastuzzi basta il sole e l’aria per essere felici.
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