Addio zio Tom
- Autore: Stefano Loparco
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2019
"Più impressionante di Mondo cane e più polemico di Africa addio" proclamavano i tamburini all’uscita di Addio zio Tom del duo Jacopetti-Prosperi. L’anno era l’ideologico 1971 e i registi non godevano di buona fama. Razzista, fascista, sessista erano epiteti alquanto gettonati all’epoca e Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi ce la mettevano tutta per tirarseli addosso. Nel loro Addio zio Tom si assiste senza battere ciglio a evirazioni, tratta di schiavi “negri”, stupri, cacce all’uomo e quant’altro dovrebbe suscitare indignazione e di fatto scatena gli anatemi di giornali e censura. Tra gli stralci di recensioni riportate in appendice al sapido Addio zio Tom firmato da Stefano Loparco per Gremese, si leggono strali di questa portata:
“Turpitudini, crudeltà nefandezze da parte sia bianca che nera (…) compongono un quadro la cui dimensione sadomasochistica tocca i vertici del torbido e del brutale” (La Stampa);
“Il film confessa, in tal modo, il suo fascismo organico, malcelato dietro il diaframma di una requisitoria contro le nefandezze degli schiavisti e dei fautori della schiavitù” (Rinascita);
“Un film del genere disonora il Paese che l’ha prodotto” (La Guida);
“Forse, per scendere nell’abisso, per rovistare in questo inferno che fu la colonizzazione dei negri e il loro genocidio, occorreva proprio della gente che non avesse paura del fetore e del sangue, necessitavano dei cinematografari primitivi senza peli sulla lingua, senza misura né grazia, senza il timore di varcare i cancelli del pudore e della vergogna. In un certo senso Jacopetti e Prosperi erano gli individui adatti” (L’Unità).
Non è che un assaggio: Addio zio Tom è un film maltrattato non senza qualche ragione ma con la stessa crudeltà che rivelano le sue scene. Condannato a un ideale rogo malgrado i copiosi tagli imposti dalla censura. Un film senza mezze misure: piace all’estero ed è demonizzato in Italia.
“La violenza c’è – dichiara senza schernirsi Franco Prosperi – è parte della vita, come la morte. Con Addio zio Tom abbiamo inteso mostrare la crudeltà di un sistema sociale istituzionalizzato. Lo abbiamo fatto senza censure, con l’unico scopo di mostrare il vero”.
Girato tra USA e Haiti, per grazia ricevuta dal dittatore François Duvalier (sic!), si autoproclama docu-film di denuncia sulla storia della schiavitù americana, ma il messaggio politico arriva si e no. Quello che arriva è piuttosto la caratura disturbante, da cui discendono sdegno e livore dei progressisti come dei bacchettoni italiani. Anche per ciò, un saggio che ripercorre con minuzia genesi e destino di un film senza dubbio maledetto, è da accogliere come ulteriore rispetto al canonico saggio sul cinema. L’Addio zio Tom di Stefano Loparco si colloca a un passo dalla connotazione storico-antropologica: con il pretesto di Zio Tom restituisce, infatti, la misura morale dell’Italia dei primi anni Settanta (giustizialista e nel complesso bigotta, nonostante lo slancio libertario post-sessantottino). Lo fa servendosi di una mole impressionante di fonti dell’epoca, testimonianze dirette, materiale fotografico, oltre che di una minuziosa disamina del film e dei suoi retroscena.
Un libro indispensabile per chiunque guardi al docu-cinema come a un medium a-morale e Addio zio Tom come a un film-manifesto. Il fatto che Franco Prosperi in persona firmi la prefazione al volume la dice, inoltre, lunga sull’oggettività e l’esattezza del racconto di Loparco. Da non perdere.
Addio zio Tom di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi
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