Affondate la Graf Spee
- Autore: Carlo De Risio
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2019
Marinai e superstizione: difficile trovare qualcuno più scaramantico della gente di mare. Da secoli, le credenze sono sempre le stesse, condivise in tutte le acque del mondo: le donne a bordo portano male e così il numero 13, il colore verde e i conigli. Nessun problema invece per gatti, tatuaggi e orecchini, considerati portafortuna. Guai in arrivo se si avvistano grandi uccelli (sono le anime dei naviganti morti) e mai cambiare nome a una nave. Non c’è da sorprendersi, perciò, se un esperto di storia e di guerra marinara come Carlo De Risio insista sull’esito talvolta infausto della tradizione di ribattezzare una nave da guerra col nome di una precedente, mandata in disarmo. Ne fa una suggestiva premessa al suo saggio Affondate la Graf Spee, pubblicato a dicembre 2019 per la casa editrice romana IBN (120 pagine), con la consueta dovizia di immagini in bianco e nero nel testo, curate dal collaboratore grafico fisso del ricercatore vastese, il fotografo Alessandro Santoni.
Il nome può condizionare la sorte di un battello. Le considerazioni scaramantiche nella nota introduttiva nascono dalle tante coincidenze tra due eventi bellici avvenuti a distanza di un quarto di secolo l’uno dall’altro, nelle stesse acque, con le stesse marine protagoniste e col medesimo esito finale. Nel dicembre 1939 si consumò nell’Atlantico meridionale, al largo delle Isole Falkland, il destino della corazzata tascabile germanica Graf Spee, intitolata all’ammiraglio della flotta del kaiser caduto in combattimento sull’incrociatore Sharnhorst, nel dicembre del 1914, venticinque anni prima. Stesso destino per due navi, a pochi mesi dall’inizio delle ostilità delle due guerre mondiali e con le unità tedesche impegnate nello stesso compito: colpire il traffico commerciale britannico negli oceani meridionali.
Non solo. Le unità navali inglesi che decisero le sorti dei combattimenti erano salpate da Port Stanley, nelle Falkland e da Londra aveva avuto un ruolo in entrambe le operazioni lo stesso uomo politico, Winston Churchill, primo lord dell’Ammiragliato nel 1914 e primo ministro della Corona nel 1939. Semplici coincidenze? Troppe per non attrarre l’attenzione, tanto più di esperti di cose marinare.
Non porta bene nemmeno ribattezzare un natante. Nel giugno sempre nel 1939, alla prima immersione di prova, il sommergibile inglese Thetis era andato a fondo davanti a Liverpool. Una somma di errori aveva causato l’incidente e 99 perdite. Recuperato, riarmato e ribattezzato Thunderbolt, il sottomarino venne affondato dalla Corvetta italiana Cicogna nel marzo 1943, al largo di Trapani, con altri 66 componenti dell’equipaggio.
A quanto segnala De Risio, peggio che cambiare nome c’è solo trasferirlo a una nuova nave. Ogni Marina può offrire i suoi esempi. L’incrociatore corazzato tedesco Blucher venne perduto nella battaglia navale di Dogger Bank del 1915 e l’omonimo erede della Kriegsmarine subì il fuoco delle batterie costiere nel 1940 e andò a picco nel fiordo di Oslo. Sempre nelle operazioni in Norvegia, la Home Fleet britannica perse il CT Ardent e nel Mediterraneo, nel 1942, il vecchio Coventry non ebbe scelta che l’autoaffondamento, irrimediabilmente danneggiato in un combattimento navale. Bene, si chiamavano HMS Ardent e HMS Coventry la fregata e il lanciamissili inglesi distrutti dagli Exocet lanciati dagli aerei argentini nella guerra delle Falkland-Malvine, nel 1982. Nella tragica notte di Capo Matapan, la flotta italiana perse gli incrociatori gemelli Zara, Fiume, Pola, sinistra anteprima della perdita nel dopoguerra delle tre città istriane e dalmate, cedute alla nuova Jugoslavia di Tito.
Il nome di una nave può determinarne il destino? C’è anche un’esperienza in positivo, però: l’incrociatore italiano Montecuccoli superò tutte le insidie della guerra contro gli alleati e della belligeranza 1943-45 contro i nazisti, entrando in linea anche nella flotta repubblicana. Era forte della scaramanzia favorevole legata a un episodio che avrebbe potuto essere fatale e non lo era stato. A metà del 1942, un’ogiva inglese aveva attraversato il quadrato ufficiali senza fare danni, asportando solo la “O”del motto Centum oculi del condottiero seicentesco di cui portava il nome. Da allora, nessuno si sognò di riparare il Centum culi che campeggiava sulla parete del locale, suonando tanto italianamente bene augurante.
Ma questa è solo la premessa. Condotto con la valenza storiografica del grande giornalista navale e impreziosito dal corredo fotografico di Santoni, il saggio IBN si sofferma sull’amm. Maximilian von Spee e sulla successiva avventura della corazzata tascabile che portava il suo nome. Nel 1914 Graf aveva comandato la squadra navale tedesca d’Oriente che allo scoppio della guerra si era impegnata contro le rotte commerciali avversarie nel Pacifico, cercando poi di risalire l’Atlantico per tornare in Europa. I britannici decisero il suo destino a dicembre, nelle acque delle Falkland.
Venticinque anni dopo, Admiral Graf Spee era il nome di un’unità pesante, classificato come incrociatore, perché rispettava il limite delle 10mila tonnellate di dislocamento imposto dai trattati internazionali, ma con l’armamento, la protezione, la velocità e l’autonomia di unità di classe superiore, grazie a straordinari progressi e accorgimenti tecnologici. L’impiego tattico prevedeva di colpire in Atlantico l’economia nemica, incrociando le rotte mercantili e sottraendosi alla reazione grazie alla velocità superiore. Ma quello ch’è successo in quei mesi è degno di un thriller.
Affondate la Graf Spee. L'Ammiraglio Maximilian Von Spee e l'avventura in Atlantico della «corazzata tascabile» che portava il suo nome
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