Ahimè! Ah vita! (nell’originale inglese Oh Me! Oh Life!) è una poesia che inizia con un lamento, una sorta di grido di disperazione, un singulto d’affanno, ma che si rivela essere tutt’altro: un appassionato elogio alla vita, alla bellezza di essere, di esistere.
La lirica fu pubblicata nel 1855 nella prima edizione della celebre raccolta di Walt Whitman Foglie d’erba (“Leaves of Grass”, Ndr), che il poeta inizialmente stampò a proprie spese presso la tipografia Rome Brothers di Brooklyn per poi pubblicarla in un’edizione definitiva, contenente 389 canti, nel 1892.
Si tratta di un componimento fortemente spirituale volto ad esplorare l’inafferrabile significato della vita. Il poema di Whitman si articola in due strofe composte di versi liberi e dalla struttura molto diversa, a tratti incoerente: alla lunghezza fluviale della prima strofa si oppone l’arguta brevità della seconda che in soli due versi ci offre una risposta fulminante.
La conclusione è infatti una delle più diffuse citazioni di Walt Whitman, utilizzata anche in varie pubblicità, nota al grande pubblico per il celebre film con Robin Williams L’attimo fuggente di di Peter Weir (1989):
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso.
Era questo l’insegnamento cruciale del professor Keating ai suoi alunni, citando Whitman invitava ciascuno di loro a essere padrone del proprio destino, fautore della propria esperienza, capitano della propria anima: “Quale sarà il tuo verso?”
Ma i versi di Whitman, il suo sconfinato canto a sé stesso, parla nel profondo anche a ciascuno di noi, facendosi degna rappresentazione di cosa significhi “essere umani”, dunque fallibili, mortali, transitori, eppure, proprio per questo, “unici”.
Nell’accezione finale di “verso” Walt Whitman racchiude l’irrepetibilità della vita, di ogni vita, e richiama ciascuno a esserne testimone. Alle incertezze dell’esistenza, al vuoto, alla sensazione vertiginosa di precarietà, l’autore oppone il ruolo attivo dell’essere umano che è chiamato a essere attore, costruttore, poeta.
Alle molteplici domande elencate confusamente per enumerazione nella prima parte della poesia, Whitman oppone il valore assoluto di un’unica risposta.
Scopriamo analisi e significato di Ahimè! Ah vita! (1855).
“Ahimè! Ah vita!” di Walt Whitman: testo
Ahimè! Ah vita! di queste domande che ricorrono,
degli infiniti cortei di senza fede, di città piene
di sciocchi,
di me stesso che sempre mi rimprovero (perché chi più
sciocco di me, e chi più senza fede?)
di occhi che invano bramano la luce, di meschini scopi,
della battaglia sempre rinnovata,
dei poveri risultati di tutto, della folla che vedo sordida
camminare a fatica attorno a me,
dei vuoti ed inutili anni degli altri, io con gli altri legato
in tanti nodi,
la domanda, ahimè, la domanda così triste che ricorre –
Che cosa c’è di buono in tutto questo, ahimè, ah vita?Risposta
Che tu sei qui – che esiste la vita e l’identità,
che il potente spettacolo continua, e tu puoi contribuirvi
con un tuo verso.
Ahimè! Ah vita! di Walt Whitman: testo originale
Oh me! Oh life! of the questions of these recurring,
Of the endless trains of the faithless, of cities fill’d with the foolish,
Of myself forever reproaching myself, (for who more foolish than I, and who more faithless?)
Of eyes that vainly crave the light, of the objects mean, of the struggle ever renew’d,
Of the poor results of all, of the plodding and sordid crowds I see around me,
Of the empty and useless years of the rest, with the rest me intertwined,
The question, O me! so sad, recurring—What good amid these, O me, O life?Answer.
That you are here—that life exists and identity,
That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.
“Ahimè! Ah vita!” di Walt Whitman: analisi e commento
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Il verso libero, lungo e senza rima, di Walt Whitman è in grado di valicare ogni limite spazio-temporale, frantumando ogni distanza. Parla a noi, sta parlando sempre a noi, sempre “al presente”, come un flusso di coscienza ininterrotto.
In questi versi Whitman ci sta dicendo che la vita è crudele, che la vita è difficile, eppure ecco che nella strofa finale ribalta tutto, rovescia ogni presupposto per dirci una verità perfetta, luminosa, senza tempo: che noi abbiamo il privilegio di esistere e di poter contribuire al potente spettacolo della vita.
Nella prima parte della poesia Whitman elenca una serie di domande, in maniera confusa e molteplice così come potrebbe essere lo scorrere ininterrotto dei pensieri: “perché chi è più sciocco di me?” Parla di una confusione che riflette il caos quotidiano delle nostre città, anche se lui sta facendo riferimento all’America negli anni immediatamente successivi alla Guerra civile. Whitman, proprio come noi oggi, si trovava ad affrontare la velocità irrefrenabile del progresso e della modernizzazione, dell’industrializzazione che oggi potrebbe essere paragonata alla nostra avanguardia tecnologica. Whitman sentiva che il mondo stava andando avanti con una rapidità insostenibile, mentre lui restava indietro e non capiva; restava indietro in disparte a porsi domande esistenziali cui nessuno pareva propenso a dare una risposta. Le città nominate dal poeta diventano una metafora per rappresentare la molteplicità, il generico, la massa omologante. Una folla di anime affaccendate attorno a lui, in perenne corsa, mentre lui fermo e pensoso si domanda: “Cosa c’è di buono in tutto questo? Qual è il senso? Qual è lo scopo?”
Anche oggi, proprio come ieri, tutto ciò che umano sembra essere messo in discussione: la stessa intelligenza umana patisce la concorrenza dell’imbattibile intelligenza artificiale, e allora ecco che il pensiero di Walt Whitman, il suo elogio dell’umano, appare più necessario e futuristico che mai. Le città “piene di sordide folle strascicate e di sciocchezze”, sono le stesse che noi abitiamo ora, sentendoci anche noi ugualmente smarriti dinnanzi al fenomeno inarrestabile del progresso.
Le domande ricorrenti, riprese in maniera anaforica nella prima strofa, si interrompono bruscamente nella seconda quando, con un decisivo enjambement, Whitman introduce la fatidica e attesa “risposta”.
La spiegazione di Walt Whitman all’enigma inafferrabile dell’esistenza ha un valore eterno, proprio perché non vuole darci una soluzione, ma si limita a un suggerimento, molto democratico. Whitman ci dice che l’unico significato della vita è vivere. E che proprio in questo è racchiusa la nostra irripetibilità di esseri umani, la nostra inesausta ricerca, lo sconfinato mistero della nostra identità mai definitiva e sempre in divenire. Whitman è stato definito il “poeta dell’anima americana” e di certo nel suo canto senza tempo, capace di riavvolgersi ogni volta su sé stesso come un nastro e ripartire, possiamo cogliere qualcosa di spirituale che trascende i limiti temporali.
La risposta finale di Whitman, a ben vedere, contiene in sé una sfida: viene lanciata di fronte a noi come un dado, un invito a cogliere l’intentato.
Possiamo contribuire al grande e potente spettacolo dell’esistenza con “un unico verso”, il che presuppone una grande responsabilità. Questo tuttavia è il compito che ci è stato affidato, questo il senso. Quale sarà il nostro contributo? Quale verso porteremo per continuare questo grande libro della storia umana?
In quest’unico verso è racchiuso il sogno segreto di ogni esistenza, ovvero una tensione inesausta all’immortalità.
Walt Whitman annulla lo struggimento e l’angoscia dell’esistere in una formula abbagliante e chiarificatrice: “che tu sei qui, che la vita esiste”, una frase che può essere enunciata in un eterno presente che, a ben vedere, è l’unico tempo effettivo della vita, il solo “per sempre” che possiamo veramente dire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Che tu puoi contribuire con un verso”: l’invito nella poesia “Ahimè! Ah vita!” di Walt Whitman
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