Ali di tela
- Autore: Susy Dan Lombardi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2005
Al momento di entrare in guerra, il 24 maggio 1915, il Servizio Aeronautico Italiano disponeva di 58 velivoli. Disarmati. Alla fine del conflitto, il 4 novembre 1918, ne aveva 84, ma di squadriglie intere e contando solo quelle nel territorio nazionale. In meno di quattro anni l’Italietta era riuscita a costruire 12mila aerei e 24mila motori, uno sforzo produttivo enorme, mai ripetuto. È uno dei motivi di interesse del volume di Susy Dan Lombardi, “Ali di tela. Tra mito e storia: l’aviazione italiana dalle origini alla grande guerra”, pubblicato a novembre 2005 ma sempre disponibile nella considerevole collezione editoriale dedicata alla guerra 1914-18 dalla casa editrice bassanese Itinera Progetti (230 pagine 21 euro).
Un grande lavoro ed anche un bel libro fotografico: sono 116 infatti le immagini, pure a colori, in tre inserti su carta patinata.
Dan Lombardi non è scrittrice professionista. I tanti successi come imprenditrice e i duemila lanci da paracadutista civile la dicono tutta sul suo impegno professionale e sulla sua passione per le sfide nell’aria, che si è estesa alla storia dell’aviazione.
Veneta, ultrasessantacinquenne, dopo la laurea in lingue in età canonica ha voluto conseguire nel corso della vita un ulteriore traguardo, laureandosi in storia contemporanea con una tesi - relatore a Venezia il prof. Mario Isnenghi – ch’è proprio questo lavoro: l’aviazione italiana dalle origini alla Grande Guerra, tra mito e storia.
Aeronautica militare: prima del 1908 semplicemente non esisteva e fino al 1923 non sarà Forza Armata, ma Corpo dell’Esercito. Origini modeste, stentate.
Un avvio a handicap, per non aver colto le potenzialità del nuovo mezzo aereo e per l’eccessivo scetticismo col quale si guardava alle possibilità offerte dal volo. Gli alti comandi militari non avevano affatto intravisto l’inedita frontiera aperta ai fini bellici e consideravano gli aviatori poco più che dei temerari dediti a uno “sport tragico”, vista l’altissima incidentalità dei primordi. Un esercizio pionieristico mortale.
E dire che per prima, nella guerra di Libia del 1911, proprio l’Italia aveva offerto un esempio dell’utilità dei primi trabiccoli di legno e tela come ricognitori dall’alto e addirittura come primitivi bombardieri. Il 1 novembre, ad Ain Zara, il tenente Gavotti fece cadere delle piccole bombe a mano su due masse di centinaia di cavalieri arabi. Non riuscì a verificare i risultati, distratto dall’esigenza di gestire il motore che faceva pericolosi capricci, ma certo lo scompiglio e la paura dovette seminarli eccome. Non male, ma rimase lettera morta, un’iniziativa meramente individuale.
Il ritardo concettuale nei confronti del volo come strumento bellico (e che strumento!) si tradusse in Italia in un ritardo produttivo. A sua volta, il gap ideologico-tecnologico comportò la totale dipendenza iniziale dall’estero, quanto a mezzi aerei, motori, materie prime e materiali specifici. Risultato: nel maggio 1915 non un solo velivolo della sparuta pattuglia di aeromobili da guerra risultava di produzione italiana.
Nella storia della nostra aviazione militare, cento anni fa, non è però sorprendente questo ritardo, bensì il fatto che sia stato straordinariamente colmato nel giro di poco tempo, con un incredibile sforzo finanziario, tecnico e produttivo, senza precedenti per il Paese.
Le esigenze belliche imposero alla nostra aviazione e alla relativa imprenditoria nazionale uno sviluppo accelerato quasi prodigioso. Va pure detto che, seppure tra le mille perplessità, non erano mancati studi ed esperienze in Italia, nel decennio precedente il conflitto, alcuni addirittura geniali e decisamente all’avanguardia, come le intuizioni di Giulio Douhet sul dominio dall’aria dei fronti di guerra.
Sta di fatto che l’Italia si ritrovò a fine conflitto con un’industria aeronautica all’altezza delle potenze dell’epoca (standard mai più eguagliato), con i modelli di bombardieri pesanti più evoluti di quei tempi (i trimotori Caproni) e con il principale teorico dell’offesa dall’aria, sempre il generale Douhet, seguito da tutte le forze aeree del mondo.
Nella battaglia finale di Vittorio Veneto, a ottobre del 1918, si adottò un impiego a massa dell’aviazione, in appoggio alle azioni di terra, sperimentato nella battaglia del Piave del giugno precedente. Si trattava di bersagliare obiettivi fissi, ammassamenti di truppa e postazioni, evitando di colpire i centri abitati. Gli aeroplani dovevano volare in gruppo compatto e in formazione, preferibilmente a triangolo, sfilando sul bersaglio “in linea sottile”. Furono circa 600 i velivoli pronti a intervenire ogni giorno e 1000 quelli dislocati in zona di guerra. Vennero abbattuti 34 aerei nemici e 11 palloni frenati. 940 piloti impegnati, 426 osservatori. Gli aerei lanciarono complessivamente 200 tonnellate di bombe ed esplosero oltre 300.000 colpi di mitragliatrice. Ed anche l’aviazione marittima a fine guerra vantava 552 idrovolanti e 86 aeroplani.
Quanto all’incidenza bellica, il ruolo dell’aviazione italiana nel conflitto si può considerare nel complesso brillante, ma non decisivo.
La guerra nell’aria ha suscitato una grande impressione, soprattutto nelle popolazioni, ma non ha portato risultati determinanti.
Ali di tela. Tra mito e storia: l'aviazione italiana dalle origini alla grande guerra
Amazon.it: 15,00 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ali di tela
Lascia il tuo commento