Alien Covenant
- Autore: Alan Dean Foster
- Genere: Fantascienza
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Sperling & Kupfer
- Anno di pubblicazione: 2017
“Che cosa preferisci, regnare all’inferno o servire in paradiso?”
cita da Milton, l’androide David al suo doppio-antitetico Walter in “Alien Covenant” (Sperling & Kupfer, 2017). A pagina 295 del romanzo ufficiale del film, Alan Dean Foster si gioca il suo asso più significativo, traghettando lo space-horror verso latitudini metafisiche. C’era in qualche modo da aspettarselo date le avvisaglie disseminate qua e là dallo schermo alla pagina. A parte il tema luciferino del procreato che si ribella al procreatore, ci sono rimandi etici legati al grado di coscienza delle creature sintetiche (già traino metacinematografico del cult Blade Runner), rimandi al tema psicoanalitico-letterario del doppelgänger (da Freud a “Lo strano caso del dr. Jekill e Mr. Hyde”, a discendere), all’eugenetica nazista (ma anche alla wellsiana “Isola del dr. Monroe”), alla teoria dell’oltre-uomo nicciana, giusto per non farsi mancare niente e riportarci ai codici nobili di una saga fortunata quanto (per lo più) stratificabile.
A volersi attenere alla trama, con “Alien Covenant” siamo nel prologo del capolavoro di Ridley Scott. Al punto esatto in cui l’orrore è cominciato (era il 1979 e i flani di Alien recitavano ansiogeni: “Nello spazio profondo nessuno può sentirti urlare”. Vi dice ancora qualcosa?).
In modo intrinseco al film cui si ispira, il romanzo dettaglia sulle vicende dell’astronave Covenant, partita per una missione di colonizzazione planetaria e - per una serie di infelici coincidenze - approdata su un remoto pianeta della galassia. Il nuovo mondo sembra un eden – specchi d’acqua, atmosfera respirabile, vegetazione, gravità - non fosse che per il silenzio innaturale che grava attorno come una funerea premonizione. Basta così. Se volete andare oltre con la storia leggetevi il romanzo oppure andate al cinema e gustatevi il film: per quanto mi riguarda garantisco che entrambe le esperienze non si dimenticano e risultano complementari l’una all’altra.
Pur attenendosi fedelmente alla pellicola di Scott, Alan Dean Foster (già autore delle versioni romanzate di Alien, Alien Nation Transformers) ne corrobora le valenze mantenendone intatta claustrofobia e grado di tensione. Distante anni luce dall’ecumenismo planetario di Steven Spielberg (Incontri ravvicinati del terzo tipo, ET) la serie di Alien si (im)pone come excursus sulle paure inconsce dell’altro da noi che ci minaccia dallo spazio. E forse - in senso traslato di metastasi tumorale, parassitaria - persino dall’interno. La cosa più spaventosa è che Alien, in fondo, ce lo portiamo dentro.
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