L’amore è tempestoso per Ugo Foscolo ed è un sentimento che non trova mai requie. Lo dimostra il sonetto All’amata (1802-1803) in cui si riverbera tutto lo “spirito guerrier” che ruggisce nel cuore impetuoso del poeta. È una poesia d’amore e d’esilio, in cui l’abbandono della donna amata viene a coincidere con la tristezza e il rimpianto per la patria perduta.
Tutt’attorno la natura tumultuosa viene a coincidere con i sentimenti ingovernabili provati dal poeta, come il paesaggio cupo e melanconico di un quadro romantico, potrebbe benissimo essere un’opera di Bruegel o di Caspar David Friedrich di cui quest’anno si celebra il 250° anniversario della nascita. Le atmosfere liriche di Foscolo, connotate da grande tensione emotiva, del resto hanno grande affinità con i dipinti romantici che vedono tra l’uomo e l’ambiente un rapporto speculare.
Nel sonetto All’amata questa fusione tra l’essere umano e il paesaggio circostante sembra raggiungere il culmine, l’apoteosi: la natura selvaggia diventa la voce della disperazione del poeta in esilio. L’angoscia dell’io lirico, tuttavia, non è dovuta alla lontananza dalla patria (che potrebbe apparire, a una prima lettura, la perfetta metafora dell’Amata), ma alla pena d’amore dalla quale non trova consolazione. Questo sonetto di Ugo Foscolo riscontra molte similitudini con il celebre Pace non trovo di Francesco Petrarca; anche in quel caso l’uomo appariva prigioniero d’amore e non sapeva come liberarsi. Ma mentre il movimento di Petrarca appare soprattutto mentale, quello di Foscolo è reale.
La lettura di questo sonetto suscita numerosi interrogativi nel lettore: dove si trovava il poeta? Il paesaggio appare indefinito e perso in una remota selvatichezza, tuttavia appare chiaro che non è l’Italia. Infine, chi era la donna amata da Foscolo?
Scopriamolo nell’approfondimento che segue.
“All’amata” di Ugo Foscolo: testo
Meritamente, però ch’io potei
Abbandonarti, or grido alle frementi
Onde che batton l’alpi, e i pianti miei
Sperdono sordi del Tirreno i venti.Sperai, poiché mi han tratto uomini e Dei
In lungo esilio fra spergiure genti
Dal bel paese ove or meni sì rei,
Me sospirando, I tuoi giorni fiorenti.Sperai che il tempo, e i duri casi, e queste
Rupi ch’io varco anelando, e le eterne
Ov’io qual fiera dormo atre foreste,Sarien ristoro al mio cor sanguinente;
Ahi, vòta speme! Amor fra l’ombre inferne
Seguirammi immortale, onnipotente.
“All’amata” di Ugo Foscolo: parafrasi
Meritatamente, ora che ho potuto abbandonarti, grido alle ruggenti onde che si abbattono furenti sulle rocce alpine e i sordi venti del Tirreno disperdono i miei pianti.
Ho sperato, perché uomini e Dei mi hanno costretto all’ingrato esilio tra genti false (forse i francesi o i tedeschi invasori, Ndr) dal Bel Paese (l’Italia, Ndr) dove tu ora, forse rimpiangendomi, conduci i bei giorni della tua gioventù.
Ho sperato invano che mi fossero di conforto il tempo e le tristi circostanze che ho vissuto, le rupi che ora attraverso desiderando una via di fuga e le eterne foreste dove dormo come un animale selvatico, che consolassero il mio cuore sanguinante.
Ah, speranza vana! L’amore tra le ombre degli Inferi continuerà a seguirmi immortale, sarà sempre onnipotente.
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Il tema fondante del sonetto è l’amore finito, un sentimento così forte da trasfigurare il mondo attorno. Le onde e il vento diventano voce stessa della disperazione del poeta che, costretto dalla situazione politica (l’ingresso degli Austriaci in Italia) si era costretto a un esilio volontario. La fuga, tuttavia, comportava anche la lontananza dalla donna amata.
Deluso dagli ideali rivoluzionari in cui aveva creduto - per Foscolo la Rivoluzione Francese era stata un esempio, ma fu poi deluso dalla parabola napoleonica - il poeta aveva scelto di ribellarsi all’invasore straniero scegliendo la via dell’esilio. Sarebbe diventato un peregrino, un senza patria, condannato a un eterno vagare: morì, solo, in Inghilterra nel 1827.
In questo sonetto All’amata tuttavia Foscolo non parla di temi politici, ma di un esilio amoroso. Lo dimostra anche l’avverbio con cui si apre la prima strofa: “Meritatamente”, il poeta si sta infliggendo una colpa, è colpevole di aver abbandonato la donna che ama e da quest’angoscia non riesce a trovar pace, anzi, è certo che non lo abbandonerà neppure dopo la morte. Il ricordo di colei che ama lo perseguiterà all’Inferno - il riferimento al regno degli Inferi non è casuale, rimanda sempre all’area semantica della colpa, della pena da espiare.
La metamorfosi del paesaggio, che si adeguava alle pene del cuore, era già presente nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, ben lontano dalle atmosfere idilliache tipiche della letteratura del Settecento.
Io sono un mondo di me stesso
scrive non a caso Ugo/Jacopo, e questo sonetto lo dimostra poiché il paesaggio interiore prende il sopravvento su quello esteriore: tutto è trasfigurato dalla percezione. All’inizio del romanzo la natura è gioiosa e vitale, percepita con una connotazione positiva, mentre verso il finale diventa ombrosa e cupa, si fa presagio e simbolo di morte.
Un’eternità tempesta d’ira, di gelosia, di vendetta, di amore infuriava dentro di me
Pure nelle Lettere il sentire interiore dell’autore si tramutava in una visione infernale. Lo stesso accade nel sonetto All’amata, in cui il paesaggio si fa riflesso speculare dell’interiorità.
A ben vedere non ci importa dare una collocazione spazio-temporale stabile al poeta; poiché anche qui non è il luogo ciò che conta, ma la sua pena. La domanda principale suscitata dal sonetto dunque non è dove si trova Foscolo, ma chi era la donna amata? All’amata, recita il titolo, ma talvolta il sonetto è riportato anche con la dicitura di Meritamente, però ch’io potei abbandonarti: dunque il focus è sull’abbandono, sull’amore perduto. Ma chi era la donna amata da Foscolo?
Chi era la donna amata da Foscolo?
Secondo i critici il grande amore di Ugo Foscolo fu Antonietta Fagnani Arese, una nobildonna milanese, figlia ultimogenita del Conte Giacomo Fagnani. Era un personaggio stimato nei salotti dell’epoca per la sua raffinata cultura - conosceva numerose lingue, era istruita - e per la sua bellezza; si dice che avesse lunghi e lucidi capelli e grandi occhi neri languenti. A lei Foscolo dedicò numerosi componimenti, tra cui anche l’ode All’amica risanata. Non era il solo letterato a prestare ad Antonietta Fagnani Arese le sue lodi, lo stesso Stendhal la elogio definendola femme de génie, una donna di genio.
Foscolo la conobbe a Milano nell’estate del 1801, durante uno spettacolo al Teatro La Scala. La datazione - luglio 1801 - rende ipotizzabile che sia stata proprio lei, Antonietta, la destinataria del sonetto “All’amata” composto dall’autore successivamente, quindi dopo la loro separazione.
Pare che i due fossero uniti da una profonda affinità intellettuale: infatti Antonietta conosceva bene il tedesco e aiutò il poeta, all’epoca impegnato nella stesura de Le ultime lettere di Jacopo Ortis, nella traduzione de I dolori del giovane Werther di Goethe che, com’è noto, fu d’ispirazione a Foscolo per il suo capolavoro.
Ugo Foscolo inviò all’amata Antonietta più di duecento lettere, ne sono state ritrovate 136 che hanno permesso di ricostruire filologicamente un focoso carteggio epistolare che ricalca in parte quello dell’Ortis. In una delle ultime lettere infatti prometteva “Torno a te, mia Antonietta” ricalcando una delle lettere inviate da Jacopo a Teresa. Il carteggio è stato ritrovato perché fu la stessa Antonietta Fagnani Arese a restituirle all’amante dopo la fine della relazione - causata, pare, da tremende e possessive scenate di gelosia - e Foscolo decise di affidarle nientemeno che a Silvio Pellico. Non fu, pare, un amore felice, come del resto ci suggerisce pure il sonetto. Fu un amore con gelosia, dovuto ai numerosi tradimenti di lei che non fu mai una donna fedele. Ebbe una relazione con Foscolo tra la sua terza e la quarta gravidanza - in teoria attribuibile al marito, il conte Marco Arese Lucini - e alcuni scrittori del tempo alludono al fatto che praticasse l’amore come un gioco, come un passatempo. Foscolo era infiammato d’amore per lei, l’avrebbe paragonata all’incarnazione di Venere e la sua fantasia romantica iniziò a creare di Antonietta “una divinità”. L’amore, come sappiamo, sarebbe finito in tormento perché, per quanto lusingata dalla mitizzazione poetica di Foscolo, la contessa Fagnani Arese era una donna passionale ed era destinata ad altri amori. Si librava tra gli amanti con la leggerezza di una libellula, mentre Foscolo scomodava il mare e i monti per dare voce all’incolmabile assenza causata dalla sua perdita.
Nel romanzo Cento anni (1859-1864) lo scrittore Giuseppe Rovani, che l’aveva conosciuta, la ritrasse con parole di una lucidità disarmante che gettano anche un bagliore chiarificatore sul destino ingrato del povero Ugo Foscolo:
Ella faceva dell’amore l’unico passatempo; ma un passatempo tumultuoso, fremebondo, irrequieto; né occorre il dire che quell’amore era parente di quello rimasto nudo in Grecia, come disse Foscolo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “All’amata” di Ugo Foscolo: testo, parafrasi e analisi della poesia
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