Il contrasto fra la solarità di un bel ricordo e il tedio del presente, fra l’amore e la sua malinconica assenza, è il tema centrale di Alla stazione in una mattina d’autunno, uno dei componimenti più riusciti delle Odi barbare di Giosuè Carducci.
Siamo di fronte ad una delle liriche più belle e struggenti fra tutte quelle che il poeta toscano dedica a Lidia, pseudonimo che nasconde il nome di Caterina Cristofori Piva, la donna con cui ebbe un’appassionata relazione, soprattutto per la magnifica fusione tra gli aspetti esteriori dell’ambiente e l’animo dell’autore e per l’altrettanto felice mescolanza di elementi antichi e moderni che sfociano in un insieme che molti critici ritengono essere una eccellente summa della poetica carducciana.
Analizziamo il testo dal punto di vista metrico, linguistico e critico.
“Alla stazione in una mattina d’autunno”: testo della poesia
Oh quei fanali come s’inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su ’l fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d’autunno
come un grande fantasma n’è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a’ carri fóschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl’istanti gioiti e i ricordi.
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com’ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l’anima
un’eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l’ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su’ vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe ’l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l’empio mostro; con traino orribile
sbattendo l’ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e ’l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra’ floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid’aere,
fremea l’estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un’aureola
più belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com’ebro, e mi tócco,
non anch’io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l’anima!
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi ’l senso smarrì de l’essere,
meglio quest’ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
“Alla stazione in una mattina d’autunno”: parafrasi
Oh quei lampioni della stazione, come si susseguono l’uno dietro l’altro
pigri e monotoni in fila laggiù dietro gli alberi,
in mezzo ai rami che gocciolano pioggia,
proiettando sul fango una luce così debole che sembra stiano sbadigliando!
Il treno a vapore lì vicino fischia emettendo un rumore ora lieve, ora forte, ora pungente.
Il cielo grigio e la mattinata autunnale
aleggiano su questo quadro malinconico come se fossero un grande fantasma.
Dove va e verso cosa si dirige questa gente silenziosa e avvolta nei mantelli che corre verso i convogli scuri del treno? Verso quali dolori che ancora non sa
o sofferenze per una speranza impossibile da realizzare?
Lidia, ecco che tu, pensierosa, porgi il biglietto
al taglio netto del controllore,
così come offri al tempo che va via veloce e inarrestabile gli anni della giovinezza,
i bei momenti e i ricordi.
Vanno e vengono lungo la banchina che costeggia il treno scuro,
i vigili (gli addetti ai freni nelle ferrovie), infagottati in impermeabili neri, per ripararsi dalla pioggia
come se fossero ombre; recano con sé una lanterna che emette una luce fioca
e mazze di ferro: e i freni di ferro
sotto lo sforzo che deriva dall’arresto del treno, restituiscono un macabro
e lungo rintocco, che somiglia a quello delle campane funebri: in fondo all’anima
a questo rumore corrisponde, come se fosse un’eco,
una dolorosa angoscia, simile alla fitta che colpisce chi sta per morire.
E gli sportelli d’ingresso sbattuti con forza quando vengono chiusi prima della partenza
sembrano offendere chi si sta separando: sembra una presa in giro l’ultimo
invito a salire che risuona veloce prima che le porte si chiudano:
intanto la fitta pioggia fa rumore battendo sui vetri.
Già la locomotiva, paragonabile a un mostro, consapevole dell’energia che ha dentro la sua struttura di metallo
emette sbuffi di vapore, trema, ansima,
apre i suoi occhi di fuoco (i fanali);
emette nel il buio il suo fortissimo fischio che lancia la sfida dell’uomo all’universo.
Il mostro crudele parte trainando le carrozze con un rumore terrificante,
sbattendo le ali e porta via con sé il mio amore.
Ahimè il suo viso candido e il bel velo
scompaiono, avvolti dall’oscurità, mentre allontanandosi mi saluta.
Oh viso tenero con un rossore di gioventù,
oh occhi lucenti come stelle portatori di pace, o fronte pallida e pura, dolcemente incastonata tra voluminosi capelli ricci!
Palpitava la vita nell’aria tiepida,
palpitava l’estate quando (gli occhi e il volto di Lidia) mi sorrisero
e il sole di Giugno, di inizio estate
si divertiva a baciare con i suoi raggi luminosi
la morbida guancia passando attraverso i capelli castani: i miei sogni, più belli persino del sole, circondavano la delicata figura della donna come se fossero un’aureola di luce celeste.
Adesso sotto la pioggia tra la nebbia
torno a casa da solo e vorrei perdermi in loro tanta è la mia malinconia;
barcollo come se fossi ubriaco, e mi tocco
per accertarmi di non essere diventato anch’io un fantasma.
Oh, quante foglie morte che cadono freddissime,
incessanti una dopo l’altra, in silenzio, pesanti sull’anima!
Io sono convinto che in questo momento ovunque, in tutto il mondo, eternamente sia soltanto novembre, con la sua tetra nebbia.
Per chi ha perso il senso della vita è meglio questa oscurità, è meglio questa nebbia, io voglio, voglio fortemente cullarmi in un tedio che duri per sempre.
Analisi metrica e figure retoriche
Nell’articolata e complessa struttura lessicale di Alla stazione in una mattina d’autunno si nota un certo sperimentalismo linguistico che è proprio dell’intera raccolta delle Odi barbare.
L’ode si compone di 15 strofe alcaiche, ovvero secondo il metro del poeta greco Alceo, rese con due doppi quinari, un novenario e un decasillabo.
I frequenti enjambement spezzano di continuo il ritmo, la cui lentezza acuisce il senso di malinconia e di angoscia che il contenuto intende comunicare al lettore.
Non c’è rima fra i versi, il cui finale è tuttavia legato da assonanze e analogie foniche tra i vocaboli utilizzati.
Pregevole e di esito decisamente felice il connubio, o meglio l’abile incastro, tra linguaggio aulico e tradizionale (caligine, empio, accidiosi, fiammei, tiepid’aere, come un’aureola ecc.) e termini moderni e piuttosto prosastici (mazze di ferro, sportelli sbattuti, fango, vaporiera, freni ecc.).
Numerose le figure retoriche presenti, fra cui:
- iperbato: un’eco di tedio risponde/doloroso, che spasimo pare
- climax: flebile, acuta, stridula. Serve a rendere al massimo il crescendo di sgradevolezza del suono della locomotiva, che diventa stridore
- metafore: S’inseguono accidiosi…sbadigliando la luce su ’l fango e Oh qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, greve, su l’anima!
- personificazioni: accidiosi e sbadigliando.
Le sequenze di aggettivi Flebile, acuta, stridula al v. 5; sbuffa, crolla, ansa al v. 30 e gelida, / continua, muta, greve ai vv. 53-54 sono inseriti secondo la tecnica retorica dell’accumulazione, in modo da amplificare la sensazione di angosciosa oppressione che Carducci vuole trasmettere.
“Alla stazione in una mattina d’autunno”: spiegazione della poesia
Dall’elemento autobiografico alla riflessione esistenziale - Un episodio autobiografico offre a Carducci l’occasione per un’approfondita e sconsolata meditazione sul senso dell’esistenza. È questa l’essenza di Alla stazione in una mattina d’autunno.
Il distacco dalla donna amata, che il poeta accompagna alla stazione di Bologna affinché possa ripartire per Milano, provoca in lui un’infinita sofferenza.
La prima parte del componimento descrive il paesaggio in cui si svolge la scena e quindi la ferrovia stessa, con i rumori, gli oggetti e le persone che la animano, in un’uggiosa mattinata autunnale.
I versi centrali sono quelli del ricordo, la cui dolcezza si fa straziante nell’impossibilità di riviverlo e nella constatazione del grigiore del presente.
All’autore torna in mente un momento felice vissuto con Lidia sotto il "giovin sole di Giugno", quindi all’inizio dell’estate, quando tutto intorno è luce, splendore ed energia positiva, mentre adesso il cielo plumbeo, la pioggia sottile e la fredda ordinarietà dell’ambiente circostante ne riflettono come uno specchio lo stato d’animo altrettanto pesante.
La parte riflessiva della lirica occupa le ultime tre strofe, interamente giocate sull’analogia fra il tetro paesaggio autunnale e la tristezza che pervade l’animo del poeta una volta ritornato a casa, dove il malessere interiore si amplifica fino a sfociare nello smarrimento di sé.
“Alla stazione in una mattina d’autunno”: analisi della poesia
La complessità dell’opera. Tematiche, stile e influssi letterari
Alla stazione in una mattina d’autunno è una delle poesie più complesse di Carducci sia per le tematiche affrontate che, ancor di più, per gli influssi romantici e decadentistici che impediscono di considerarla semplicemente il frutto della spinta classicistica che sempre anima la vena e la penna dell’artista toscano.
Il riferimento agli antichi c’è ed è più vivo che mai, ma l’ode va oltre, finendo per orbitare attorno alle migliori istanze e tendenze della contemporaneità.
Carducci maturo, il treno come simbolo del rifiuto del Positivismo e il taglio con il passato
Il Carducci che scrive Alla stazione in una mattina d’autunno è un uomo maturo che ha già in gran parte ridimensionato, se non abiurato, alcune convinzioni, anche abbastanza estreme, espresse in passato.
Ci troviamo al cospetto di una persona decisamente più ponderata e misurata rispetto al giovane e veemente rivoluzionario che minacciava fuoco e fiamme contro politici, ecclesiastici e chiunque non rientrasse nella sua esigente sfera di benevolenza.
L’esempio più evidente ce lo fornisce il confronto con il famoso Inno a Satana, del 1863.
Se qui il poeta definiva il treno, considerato il simbolo stesso del Positivismo e del progresso ormai inarrestabile, come "bello e orribile mostro", in Alla stazione in una mattina d’autunno esso diventa semplicemente l’"empio mostro", espressione di quella industrializzazione galoppante che adesso comincia a creargli qualche timore.
L’iniziale e cieca fiducia nelle conquiste della modernità lascia il posto alla paura che le macchine possano prendere il sopravvento sull’umanità, spogliandola delle sue virtù e dei suoi antichi valori.
Non è un caso pertanto, che sia proprio il treno, descritto con termini che rendono perfettamente l’idea di cupezza che esso gli trasmette (foschi, orribile, nero), a portar via la donna di cui è innamorato, compiendone, di fatto, il crudele e mal sopportato distacco fisico.
Gli influssi letterari del Romanticismo e del Decadentismo nella poesia di Carducci
L’eccellente mescolanza di classicismo, romanticismo e decadentismo, di antichità e modernità, di passato e presente che sapientemente si accostano nei due differenti piani temporali lungo i quali si snoda la narrazione, ovvero la memoria della felicità trascorsa paragonata all’odierno dolore, rendono Alla stazione in una mattina d’autunno uno degli apici della produzione letteraria di Giosuè Carducci.
I numerosi e continui echi dell’Inferno dantesco (pioggia greve, vigili incappucciati, demonizzazione del treno), della donna angelicata alla maniera dello Stil Novo e petrarcheschi (bel velo, occhi stellanti, atto soave), vengono rischiarati da una luce romantica che non sfocia mai nella sdolcinatezza del tardo Romanticismo, riuscendo a mantenersi sempre in un equilibrio impeccabile.
Non solo.
Alcuni critici ravvisano in questa poesia una sensibilità che li porta ad avvicinare Carducci ai Simbolisti francesi.
In particolare, la tetra e opprimente sensazione di angoscia e l’alternarsi di luminosità e buio che pervadono i versi dall’inizio alla fine, ricordano lo spleen che tormenta la vita e l’opera di Baudelaire, Verlaine e Rimbaud.
Un accostamento tutt’altro che azzardato, che una volta di più ci ricorda quanto il Carducci dei sentimenti surclassi ampiamente l’ostentato e spesso pedissequo vate della "terza Italia".
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Alla stazione in una mattina d’autunno”: la malinconica poesia di Carducci
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