Anima e morte. Sul rinascere
- Autore: Carl Gustav Jung
- Genere: Psicologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
Carl Gustav Jung è stato ed è un maestro dell’umanità; senza presunzione aveva affermato che la sua opera era “per i secoli”. Ed è effettivamente così, in quanto la visione dell’inconscio collettivo, sentita e vissuta personalmente, non fa ancora parte della Weltanchaaung concezione del mondo, generalizzata.
Questo accade perché filosofia e religioni sono in decadenza; il tangibile, la società tecnologica hanno preso il sopravvento su tutto il vissuto, mentre l’analisi dei sogni che rivelano l’anima è riservata a pochi specialisti.
Ben venga la rivisitazione di un libro smilzo, ma decisamente importante, può essere considerato l’apice del pensiero junghiano, la sintesi in cui l’aspetto mistico si lega a quello dello scienziato: Anima e morte - Sul rinascere (Bollati Boringhieri, pp. 96, 1977).
È il caso di ricordare qui che la rottura definitiva tra Freud e Jung si produsse proprio riguardo agli studi di quest’ultimo sul paranormale, che Freud aborriva per un suo pregiudizio, senza voler approfondire l’argomento.
Ipotesi: che il padre della psicanalisi avesse accumulato in sé un’atavica paura della morte? Paura della persecuzione spinta fino all’omicidio, il pogrom, senza dubbio, in quanto ebreo, e come tale la subì.
Scrive Jung nel suo breve saggio:
Noi attribuiamo uno scopo e un senso al sorgere della vita; e perché non dovremmo fare altrettanto per il suo declino? La nascita dell’uomo è densa di significato; e perché non dovrebbe esserlo la morte? L’uomo giovane viene preparato per vent’anni e più al pieno sviluppo della sua esistenza individuale; e perché non dovrebbe per vent’anni e più preparare la sua fine?
Tale la motivazione. Egli non manca di produrre prove derivate dall’analisi clinica, come pure dalle ricerche antropologiche comparate compiute in decenni di studio e avvalorate dalla pratica.
Ne scaturisce la formulazione dell’unum mundus, la connessione e l’identità di significato dei miti di tutti i popoli. L’inconscio non mente, sebbene si manifesti in simboli, a volte difficili da decifrare. Ed essi parlano il linguaggio dell’arte e della spiritualità, annunciano l’eternità della mente nella parte che Jung ha denominato il "Sé", intessuto di archetipi.
Tutte le testimonianze concernenti il soprannaturale sono sempre determinate nella radice più profonda da un archetipo, cosicché non bisogna per nulla stupirsi se nei popoli più diversi s’incontrano testimonianze concordanti sulla rinascita.
Ciò dimostra come sia necessario riappropriarci della nostra interiorità, sganciata da superstizioni, con l’indagine introspettiva. La conoscenza porta progresso, non basato sulla competizione e la guerra, ma sulla cooperazione. Ritrovare l’anima è il passaggio verso un mondo migliore.
Sul finire dell’esistenza, l’autore rilasciò un’intervista, in cui gli venne chiesto se avesse avuto fede nel passato; rispose di sì. E adesso, ce l’ha? Lo incalzò il giornalista. Jung rispose:
“Adesso non ho fede, io so”.
La fede, secondo la formula teologica, è certezza di cose nascoste; per il Nostro i misteri erano svelati, non più occultati, i muri crollati, i veli caduti.
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