L’autunno era una stagione cara al poeta di Ed è subito sera, capace di riflettere appieno il suo animo malinconico. Il poeta ermetico Salvatore Quasimodo trovava nella stagione autunnale la più perfetta metafora della propria condizione di vita.
La ricerca di una verità metafisica si fa più urgente nella luce calante che sembra travolgere il mondo in un tramonto precoce. In questo peculiare momento dell’anno ogni fenomeno, fisico e atmosferico, pare celare un significato simbolico occulto. L’autunno è il momento della riflessione, del raccoglimento che Salvatore Quasimodo sentiva particolarmente affine al proprio animo errabondo e solitario.
Il canto eterno e ciclico dell’autunno che puntualmente si ripete, tornando ogni anno uguale, con il suo presagio di morte e rinnovamento si traduce nelle parole del poeta che dedica alla stagione autunnale una lirica struggente.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia Autunno contenuta nella raccolta Oboe sommerso (Edizioni Circoli, Genova, 1932).
Autunno di Salvatore Quasimodo: testo
Autunno mansueto, io mi posseggo
e piego alle tue acque a bermi il cielo,
fuga soave d’alberi e d’abissi.Aspra pena del nascere
mi trova a te congiunto;
e in te mi schianto e risano:povera cosa caduta
che la terra raccoglie.
Autunno di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
Salvatore Quasimodo, ancora una volta, parla la grammatica complessa della lingua interiore. Una poesia come Autunno è capace di dischiudere le profondità insondabili dell’anima, calandoci nel pozzo senza fine della coscienza umana.
Nella prima terzina il poeta si concentra sulla descrizione paesaggistica dell’atmosfera autunnale che tuttavia sfuma ben presto nella dimensione aleatoria della visione mentale. L’autunno è la stagione di una “fuga soave”, dunque della morte dolce e inevitabile di tutte le cose: gli alberi perdono le loro foglie e si avviano verso la svestizione invernale. Quasimodo descrive un sentimento di tenero abbandono, cui anche lui stesso si piega con la sua persona con docilità. Nei moti scostanti del cielo che improvvisamente si rannuvola si riflette la ricerca metafisica di una verità irraggiungibile.
Nella seconda terzina si verifica la simbiosi completa tra il poeta e la stagione autunnale. L’Io lirico si congiunge simbolicamente con l’autunno, che riflette la sua pena inesprimibile. Nella morte insita nell’autunno si riflette infatti l’amarezza della condizione mortale: l’ingiustizia del nascere per poi essere condannati a morte. Non è giusto morire dal momento che siamo nati, questo sembra dire Salvatore Quasimodo con quell’efficacissima espressione “L’aspra pena del nascere”. Nella morte delle foglie che cadono e si rinnovano il poeta sembra trovare una consolazione, il balsamo che risana la sua ferita umana e mortale con la promessa di una resurrezione.
La lirica si chiude con un distico finale che ricorda l’immagine folgorante espressa nella celeberrima Ed è subito sera. Quasimodo chiude Autunno con la stessa incisività, rappresentando simbolicamente il significato dell’esistenza in sole due righe. Nella struggente metafora finale viene espressa la condizione della vita mortale: l’uomo, proprio come la foglia, è una “povera cosa caduta” che la terra raccoglie come una madre pietosa che dà la vita e la rigenera.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Autunno” di Salvatore Quasimodo: testo e analisi della poesia
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Salvatore Quasimodo
Lascia il tuo commento