Battisti, l’altro
- Autore: Andrea Podestà
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2023
Chiusa la lunga fase pop-mogoliana, Don Giovanni (Numero Uno, 1986) inaugura per Lucio Battisti la pentalogia ermetico-panelliana: affastellato di parole “a enigma” su tappeti sintetici per album ostici, ma suggestionanti.
I nostalgici dei Giardini di marzo e di Una donna per amico gridano all’alto tradimento, ma è proprio a partire da Don Giovanni che Battisti alza il tiro e comincia a fare sul serio.
Tanto sul serio che nella storia della canzone italiana è possibile parlare di un prima e di un dopo questo disco declinato in varianti altrettanto algide, nei quattro album successivi (L’apparenza, 1988; La sposa occidentale, 1990; Cosa succederà alla ragazza, 1992; Hegel, 1994).
Dischi che si amano o si odiano senza mezze misure. Un reiterato gioco di incastri, scambi, doppi sensi, non-sense. Un flusso ininterrotto di coscienza che da Le cose che pensano, che inaugura la scaletta di Don Giovanni, approda a La moda nel respiro che chiude quella di Hegel. Novità rivoluzionarie si rintracciano anche nella composizione dei pezzi, strutturati secondo una tecnica che sovverte dalle fondamenta i canonici rapporti strofa-ritornello-inciso.
Un esempio:
Dal monte ventoso dei miei sentimenti/ sfoglio all’aria una rosa ricettario/ l’inizio è già indiziario/ Fatti un pianto/ Fatti un pianto/ Da un chilo di affetti un etto di marmellata/ Se sbatti un addio c’esce un’omelette/ Le cosce dorate van fritte/ coi sorrisi fai croquettes/ E tu dici ancora che non parlo d’amore/ Batte in me un limone giallo basta spremerlo/ Con lacrime salate agli occhi tuoi/ ben condita amata t’ho/ Dai piangete (o.)/ Dai cantate (o.)/ E dai che ne ho sete/ Parole d’amore/ Grosse lacrime sciocche/ sono uova alla coque/ E dai e dai (o.)/ Fatti un pianto.
Pasquale Panella firmerà tutti i 40 testi della cinquina astratta di Lucio Battisti, e - sarà pure un elitario compiaciuto di esserlo -, ma rispetto alla poetica banalotta di Mogol, scrive da dio.
Aldilà dei giudizi di valore che se ne possano dare, col Battisti sperimentale degli album “bianchi” (dal colore delle cover), siamo comunque al cospetto di prodotti-spartiacque. ln essi il barnum poetico di Panella si dispiega per strofe inafferrabili, vertiginose, abissali. Un groviglio di immagini piovuto dritto da una dimensione inconscia, ipnagogica, cinematografica, deragliata e deragliante. Inutile affannarsi alla ricerca di un senso, di un fine, di un sotto-testo celato dalle parole.
Tutto è giocato sull’apparenza. Sul vuoto gelido di un significante senza significato, sulla “forma in sé”. L’estetica della parola senza freni, restituita alla sua matrice chiaroscurale, alla sua ambiguità/potenzialità, pregna di tutti i significati possibili. Finisce che l’ascoltatore ne diventa preda, sballottato tra i frangiflutti del puro suono, dell’evocazione, dell’associazione di idee, della sua stessa predisposizione al sentire.
Insomma, l’altro Battisti è un Battisti che ammalia. Un Battisti senza mezze misure, un Battisti di cui bisogna soltanto prendere atto. Cercare di spiegarlo è un azzardo e una missione impossibile. Ci prova – e ci riesce – Andrea Podestà col suo recente saggio Battisti, l’altro (appunto) pubblicato da squi[libri] con allegato un cd “antologico” della cinquina di Marco Sabiu e Gabriele Graziani.
Corredato, fra l’altro, da recensioni dell’epoca, dichiarazioni ieratiche di Pasquale Panella, e da un’intervista a Robin Smith che ha collaborato musicalmente nell’impresa, il saggio di Podestà si segnala per equidistanza e ardimento, immergendosi nel laboratorio battistiano-panelliano ne saggia teorie e prassi, testi e musiche, individuandone l’unicità rivoluzionaria.
Ma torniamo ai testi panelliani. Alla fine, cercare di coglierne per forza un significato ha senso? Di più, quelli di Battisti-Panella sono brani che hanno davvero un significato o sono meri giochi linguistici e intellettualistici-cerebrali fine a se stessi?
Si chiede a un filo dal pleonasmo Podestà. E Panella, dal canto suo, dice e non dice:
Da quello che scrivo io non si ricava un senso, perché non c’è ricavo, non c’è un utile, un guadagno. Io rifiuto la concezione borghese del senso come lucro.
Ne discende, secondo l’autore, che:
(…) in qualche modo, il cerchio si chiude. La nuova canzone di Battisti-Panella è anti-borghese, è anti-rassicurante, è anti-capitalista e anti-utilitaristica. Diventa pura Arte. La sua, apparente, assenza di senso non è linguistica, ma prettamente commerciale.
Amen. Ma questo lavoro di Andrea Podestà è tutt’altro che un atto di fede. Con esso siamo invece al cospetto di un libro dialettico, non precettistico, stratificato, analitico e a sua volta suggestionante. Contiguo più che pedissequo al microcosmo battistiano-panelliano che sulla coda degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta sovverte forma e senso della canzone italiana.
L’accuratezza interpretativa di Podestà non penalizza, peraltro, la fluidità della prosa.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Battisti, l’altro
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Casualmente in questo un periodo mi sono proprio immerso nei dischi bianchi. E non riesco ad uscirne, ammaliato (come dice Mario Bonanno), arricchito ad ogni ascolto. Musica e testi per niente inascoltabili e inspiegabili. Forse non consumabili. Grazie per la recensione, il libro non me lo perdo.