Belle per sempre
- Autore: Katherine Boo
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2012
“Belle per sempre” sono le piastrelle italiane immortalate sul muro che separa l’accesso all’aeroporto di Mumbai dallo slum di Annawadi. A guardarsi attorno “Beautiful forever” suona come uno slogan incongruo, come un refuso, un contrappasso merceologico: nel quartiere dei cercatori di immondizie (spesso bambini) di “bello” c’è solo il fatto di riuscire a sfangarla per un altro giorno, se ci si riesce. Miseria, fetore, putridume, malattie, sono attributi senz’altro più consoni per descrivere la faccia autentica della baraccopoli indiana teatro del romanzo di Katherine Boo (“Belle per sempre, Piemme, 2012, traduzione di Cristina Pradella): un girone infernale a cielo aperto, gremito da un’umanità neo-steinbeckiana (uomini e topi, in senso letterale del termine).
L’autrice, premio Pulitzer, descrive e rapprende scampoli di storie: tre anni e mezzo di ricerca sul campo per immortalare l’altra faccia dell’India del boom tecnologico, un ghetto tipico del mondo globale, dove il microcosmo degli umiliati e offesi - straccioni, sognatori, arrampicatori sociali, bambini adultizzati, storpi, alcolisti, malati, miserabili - si contende coi cani e coi maiali lo spazio, la vita, e i resti (i rifiuti, nove volte su dieci tossici) dell’altro mondo, quello degli alberghi per ricchi, o dei turisti in transito dal vicino aeroporto. Come in una spoon river (di sopravviventi a se stessi) in declinazione asiatica, il romanzo della Boo coniuga i ritratti esemplari di Abdul, della Storpia, di Asha, di Manyu, di Sunil (e della folla di personaggi di contorno), ripresi nel qui e ora di una lotta continua, di una fuga, di un sogno, una malinconia, uno scarto di vita, una paura. Filigrane indimenticabili di un’anti-epopea asciutta e implacabile come un romanzo neorealista (ma in grado anche di far sorridere, fosse anche solo per non piangere), con tutti i crismi del caposaldo della narrativa non-fiction a venire, vuoi per la forza descrittiva con cui l’autrice sa arrivare al lettore, vuoi per la capacità di farsi largo e scandagliare tra i meandri della vita autentica. La vita autentica è quella che passa anche (soprattutto) là dove i nostri sguardi non sono abituati a coglierla, nascosta da un muro con sopra impressa la reclame di meravigliose piastrelle made in Italy che gli abitanti delle baracche in lamiera di Annawadi desidereranno e non compreranno mai. C’è qualcuno che riesce ancora a sentirsi un po’ idiota e magari anche a vergognarsi di fronte a tutto questo?
Belle per sempre. Vita, morte e speranza nei bassifondi di Mumbai
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