Butcher’s Crossing
- Autore: John Williams
- Casa editrice: Fazi
- Anno di pubblicazione: 2013
“Butcher’s Crossing, siamo arrivati!”.
Il conducente aveva annunciato all’unico passeggero che la diligenza era giunta sana e salva a destinazione. Attorno al 1870 nel cuore del selvaggio West, in uno sperduto villaggio di cacciatori di bisonti, “un uomo sui vent’anni, dalla corporatura esile, con la pelle chiara che cominciava ad arrossarsi dopo una giornata passata sotto il sole” scrutava con un solo sguardo Butcher’s Crossing nel Kansas. Bastava, infatti, una sola occhiata per contemplare l’intero insediamento composto di sei baracche di legno tagliato in due da una stradina sterrata e poco oltre alcune tende sparse. L’ex studente di Harvard William Andrews proveniente da Boston, figlio di un pastore laico della Chiesa Unitaria, era giunto all’Ovest grazie all’eredità di uno zio spinto dalle parole espresse dal poeta Ralph Waldo Emerson: “I luoghi solitari non sembrano desolati affatto”.
William si trovava in questo sperduto avamposto di frontiera ai confini tra il Kansas e il Colorado per iniziare una nuova vita, qui dove si poteva contemplare la lunga distesa erbosa della prateria. Mentre tutti i disagi del viaggiare “gli colavano dalle ossa, rievocati dalla consapevolezza di essere giunto a destinazione”, William notava lungo la via uomini in completo scuro e bombetta che si mescolavano con un vasto numero di passanti vestiti con jeans scoloriti di tela sudicia, dove le donne erano macchie di colore. Tutti andavano da qualche parte ma senza fretta. A Butcher’s Crossing partivano le spedizioni di cacciatori che, sotto il sole implacabile o in mezzo a leggendarie tormente di neve, andavano a caccia di bisonti nelle Rocky Mountains per ucciderli, scuoiarli, lasciarli sul terreno a decomporsi per poi rivendere le pelli degli animali con profitto. Era questa la dura legge del polveroso West alla quale William non poteva e non voleva sottrarsi. Tra i sentieri selvaggi della prateria, dove s’intravedevano ceppi carbonizzati di alcuni fuochi da campo spenti, facevano capolino alcune zolle di terra nuda e due o tre cavalli zoppicanti brucavano le sterpaglie, l’abitazione di William a Boston, dove era nato e aveva vissuto la sua giovinezza, sembrava lontanissima.
Da bambino Andrews si affacciava dalla scogliera di Massachusetts Bay e guardava verso est, oltre l’Atlantico grigio finché la sua mente non veniva soffocata e stordita da tutta quell’immensità. Ora diventato adulto, “contemplava un’altra immensità in un altro orizzonte” e in questo strano mondo, così diverso da quello dal quale proveniva, si sentiva a casa.
John Williams, nato nel 1922 in Texas in una famiglia di modeste condizioni economiche, aveva partecipato alla II Guerra Mondiale durante la quale era stato di stanza in India e in Birmania dal 1942 al 1945. Pubblicò il libro nel 1960 del quale ora sono stati acquisiti i diritti cinematografici. In questo romanzo di formazione, dove il protagonista cerca se stesso attraverso la contemplazione della natura selvaggia che ancora una volta si vendica della prepotenza dell’uomo, la Frontiera viene vista come un luogo ideale, dell’anima, scenario grandioso che sa attrarre e respingere. Scorrendo le pagine emerge il contrasto tra l’immensa distesa della prateria, disabitata e misteriosa con le strade di Boston affollate di carrozze e passanti che William Andrews ha abbandonato, per scoprire che
“la Natura è la circostanza che sovrasta ogni altra circostanza, e giudica come un dio ogni uomo che si presenta al sua cospetto”. Ralph Waldo Emerson (Natura).
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