C’era una volta il West
- Autore: Roberto Donati
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2018
Quindici minuti e trentotto secondi senza parlato. Muti. Li riempiono, a turno, lo stridore di una porta di legno che si apre, lo scricchiolare delle pale, il cigolio della banderuola di un mulino a vento, il richiamo rauco di un uccello e quello strozzato di qualche gallina, il turbinio del vento che disturba la sabbia e gli infissi. La porta che si è aperta immette in una baracca in mezzo al nulla del deserto: vi è entrato un uomo da cui con molta probabilità è meglio tenersi alla larga. Non spiccica parola, aspetta e basta. L’incipit è prodromico di tutto il film: C’era una volta il West è un film sull’attesa. Sull’attesa della morte. Come scrive Roberto Donati nel saggio, dal titolo "C’era una volta il West", che gli dedica per Gremese (pag. 73-74):
Non ci si lasci dunque ingannare dalle apparenze: nella prima sequenza, il film (e con esso il pubblico) non sta attendendo l’arrivo dell’eroe/giustiziere di turno, come poteva ancora succedere in Sentieri selvaggi. E’ di attesa della morte che l’overtoure di C’era una volta il west parla: il grande tema dell’intero film. L’arrivo del treno in ritardo rompe l’attesa e, in apparenza, scioglie la tensione: i tre uomini interrompono le loro estemporanee attività (riguardanti rispettivamente una mosca ronzante, una fastidiosa goccia d’acqua e le frementi nocche di una mano) e si avviano verso il luogo deputato per la resa dei conti.
La suspense leoniana passa come al solito dall’enfasi: tempi dilatati, campi lunghi, esasperazione dei dettagli. Nella sua prima versione del 1968 C’era una volta il West durava 165 minuti: ci passavano dentro l’epica e la malinconia del western all’italiana al suo crepuscolo: colt disilluse, spolverini e armoniche a bocca quasi funeree. Brutti ceffi irretiti dalla corsa al dollaro, ormai orfani del sogno della grande nazione. Il saggio di Roberto Donati (per la collana “I migliori film della nostra vita”) non tralascia niente di tutto questo e niente lascia per strada del resto: né lo specifico, né la parabola filmica di Leone, né l’analisi minuziosa di un film che rappresenta l’acme e il punto di arrivo insieme della lunga fase western leoniana. Per chiudere – e rimarcare – con le parole dell’autore di questo libro (pag. 22):
(…) I personaggi sono più spessi: da una parte sempre taciturni, granitici e sentenziosi, ma dall’altra si trascinano dietro traumi e conflitti più sottili, più psicologici; e poi c’è una donna, la donna, mondo complesso, stratificato e irrazionale se ce n’è uno. La violenza fa più male: si muore meno per finta, meno per divertimento. Meno per gioco, qui, nonostante una prima sequenza straordinaria, oltre per che per le pure qualità tecniche, nel fare da ponte ideale tra il prima, (il “c’era”) e l’ora (il presente) ma anche il dopo di Giù la testa (…) e di C’era una volta in America.
Il testo (ottimo) è corredato da foto (numerose).
C'era una volta il West di Sergio Leone
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