C’era una volta la DDR
- Autore: Anna Funder
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Feltrinelli
“C’era una volta la DDR” (Feltrinelli) non è un libro nuovo, è un libro che vale la pena leggere. La sua prima edizione italiana risale al 2002, ne sono seguite altre quattro: rendono l’idea del riscontro ottenuto presso i lettori italiani. In maniera quasi pleonastica mi interrogo sui possibili motivi di tanto e reiterato successo. Il primo credo di rintracciarlo nell’abnegazione.
L’autrice - Anna Funder, australiana specializzata in lingua tedesca – non si è risparmiata. Affatto. Fa la giornalista e sa come si conducono le inchieste: questa sul cuore orwelliano della Germania dell’Est (la “Stasiland” del bel titolo originale) è minuziosa quanto oggettiva. In parallelo alle Trabi, ai palazzoni popolari dell’architettura socialista, alla “linea della morte” tra i muri dell’est e dell’ovest, all’Alexander Platz “mostruosa distesa di cemento grigio progettata con l’intenzione di far sentire piccoli”, la parola spetta agli ex cittadini della Germania orientale come agli ex funzionari della Stasi che ne hanno tenuto a bada le possibili istanze capitaliste.
Nessuna nostalgia e pochissimo livore manifesto: piuttosto i fatti come sono andati per quarant’anni nella nazione del socialismo reale per antonomasia. Tedeschi contro tedeschi, spie e spiati, fedeli alla linea e traditori della causa rossa, fino al 1989, anno della caduta incruenta del muro. La seconda ragione del successo di questo libro, la rintraccio nell’afflato umanista che ne attraversa il sotto-testo. Il libro è di mole poderosa e accanto alla storia socio-politica, dentro ci stanno le vite degli altri. Se non tutte, le vite comuni (dunque le vite esemplari), ri-costruite e ri-raccontate per passaggi topici, nella loro struggente umanità. Zero personaggi da romanzo: “C’era una volta la DDR” è popolato da uomini e donne in carne e ossa, compresi gli zelanti amministratori (e amministratrici) del sogno socialista, alcuni intervistati, altri soltanto sfiorati/evocati (per esempio i due super-potenti Erich: Mielke - capo della Stasi - e Honecker - presidente della DDR dalla metà degli anni Settanta fino al 1989).
Il terzo motivo sta nella forma e nei contenuti di questo saggio, un saggio narrativo. Ai dialoghi estratti dalla conversazioni pubbliche e private con chi ha tessuto e/o chi ha vissuto la storia dell’ex Repubblica Democratica Tedesca, si aggiungono lo spessore dei temi in ballo, l’efficacia descrittiva, i rimandi interiori che inspessiscono “personaggi” no-fiction. Se "C’era una volta la DDR" fosse un film, sintetizzerei: una sapiente alternanza di campi lunghi e piani ravvicinatissimi per una storia dal finale conosciuto, che regge sulla scorta elegante di una narrazione in flash back. Da qui discende l’ultima ragione, forse la più importante: Anna Funder ha un dono. Il dono dello stile fluido, che attrae e fa pensare al contempo. Questo lavoro - apprendo a pag. 250 - le è costato quattro anni di vita. Quattro anni spesi come meglio non poteva, mi viene da aggiungere. Per questi - e per diversi altri motivi sottaciuti - ne segnalo la lettura con convinzione assoluta.
C'era una volta la Ddr
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