Canzoni
- Autore: Francesco Guccini
- Genere: Musica
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2018
Per quanto sporadiche, le escursioni Bompiani in territorio cantautorale sono quanto di più raffinato possa capitarvi di leggere, sia per forma (libri di bella fattura estetica) e ancora di più per contenuti. Prova ne sia questo “Canzoni”, notevole antologia di testi di Francesco Guccini commentati da Gabriella Fenocchio che nulla ha a che spartire (quindi) con l’abusato biografismo per fan da greatest hits.
Il libro curato dalla professoressa Fenocchio (insegna italiano in un liceo di Bologna) si connota come saggio letterario a tutti gli effetti e sono richiesti dunque predisposizione alla lettura non superficiale e pre-requisiti specifici sul tema Guccini (quanto appena scritto sarebbe da assumere in senso elogiativo-accrescitivo, grazie).
Per una volta, i testi di un cantautore (di un cantautore vero, mica gli illetterati impostori di oggi) reggono la pagina nudi e crudi (disancorati, cioè dall’aspetto musicale), posti a vaglio analitico alla stregua di componimenti poetici tout court. Data la statura narrativa dell’artista in oggetto, l’operazione presupponeva certo coraggio, ma risultava (risulta) più che legittima. Se si dispone di un minimo di deontologismo critico, misurarsi col macrocosmo ipertrofico del Maestrone (così detto) non è un’impresa da svolgere en passant. Sotto la superficie semantica delle canzoni gucciniane alberga infatti una galassia contigua dall’alto e al basso culturali (non mi riferisco soltanto a Gozzano, Montale, Tex Willer e Paperino), espressa tra testo e sotto-testo attraverso miriadi di rimandi. E per tornare sulla vexata quaestio – peraltro inaugurata proprio dall’Avvelenata di Guccini – se a canzoni si possa o meno “far poesia”, personalmente non coltivo dubbi: nei casi migliori, senz’altro sì. Parole (sacro)sante quelle espresse a riguardo da Gabriella Fenocchio sulla scelta di campo di questo libro (pag.6):
Una scelta naturalmente voluta, e condotta con la convinzione che quei testi, soprattutto quando escono dalla penna di Francesco Guccini, possano autonomamente e a buon diritto collocarsi nel panorama poetico del Novecento italiano, non solo per la qualità dell’elaborazione formale ma nondimeno per la densità letteraria e i molteplici echi intertestuali di cui la gran parte delle parole risuona. D’altro canto, se è vero che lo statuto della canzone si identifica con l’intreccio di parole, musica e voce, in molti casi appare piuttosto evidente che al testo possa essere riconosciuta una vita autonoma, soprattutto quando, depositato sulla pagina, sia in grado di svelare con maggiore intensità la propria fisionomia letteraria.
Le oltre 300 pagine dell’antologia - corredate peraltro da foto di stesure autografe di Guccini - costituiscono la partitura esemplare del peso specifico che il verseggiare gucciniano possiede di per sé, cioè a prescindere dal supporto armonico e melodico della musica. Devo citare per forza? Piuttosto che l’abusata Locomotiva, si leggano e rileggano, si studino, si mandino a memoria Incontro, Canzone quasi d’amore, Inutile, Canzone delle osteria di fuori porta, Scirocco, Canzone della bambina portoghese, Eskimo (per dirne solo qualcuna, a saltare), intrise come sono di moti sottili, di dubbi plurimi, di esistenzialismi e umanesimo; in mirabile equilibrio tra personale e politico, gozzanismi e pavanismi (se mi si passa il neologismo), libertarismo e spirito rimembrante.
Cunei di una poetica a intarsi trasversali che fa di Guccini un estensore di storie-riflessioni su stanze di vita quotidiane, capaci di interrogarsi e interrogare di continuo. Rifacendomi ancora a quanto espresso da Gabriella Fenocchio, canzoni (ma anche romanzi autobiografici come "Cronache epafaniche", "Vacca d’un cane" e "Citanòva Blues" e i due Dizionari sulle cose perdute - intessuti sul “motivo dell’incertezza della condizione umana e della provvisorietà di ogni definizione" (pag. 10).
Mi sembrano argomenti decisivi per consacrare lo specifico gucciniano come specifico meta-musicale, filosofico; incentrato su una reiterata precarietà del "vivere", che alla fin fine vuol dire pur sempre “incontrarsi, aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, bere, leggere, amare... grattarsi”.
Anche per ciò, questo luminoso e propedeutico "Canzoni" sarebbe un libro da tenere sempre a portata di mano, come si dice, sul comodino.
Canzoni
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