Canzoni per il mio utero per Bach e per l’opposto al mio Zenit
- Autore: Maria Cefalà
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2024
Maria Cefalà ha avuto il dono della musica: fece qualcosa di speciale, nel 2018. Col titolo Discovering Bach un CD/album, il cui tour si è svolto in cinque carceri italiane. Ma per togliere alla musica classica la patina di seriosità e disciplina, nel 2023 ha scritto un libro dal titolo Farcitura eccessiva di un tacchino, e sue conseguenze. Pensieri di una pianista poco classica.
Ora ha scritto questa raccolta poetica Canzoni per il mio utero per Bach e per l’opposto al mio Zenit (Il ramo e la foglia edizioni, 2024). Un esordio poetico scritto sempre con un tono ironico e divertito, ma dal quale fuoriescono anche stille di dolore puro.
Le prime pagine parlano di aborto ed è più una prosa poetica. Maria Cefalà ci narra del suo aborto sempre in modo scherzoso, ma poi d’improvviso diventa seria e impaurita. Si chiede se deve dirlo a sua madre, ma è morta; al padre meglio di no; all’uomo parte in causa lo dice, ma è un altro no.
Soprattutto è lei che non lo vuole questo figlio, ma si sente un’egoista che pensa solo alla sua carriera di pianista. Se Nadir avesse detto di sì, si poteva fare tra mille inconvenienti, lui musulmano, lei cattolica, anche se tiepida, col piede sull’agnosticismo, ma da sola non può.
Quando cammina per strada le sembra che ora tutti le dicano “Fai schifo”.
E la firma per interrompere la gravidanza la fa con un’obiettrice di coscienza, che non le rivolge parola e la guarda come se fosse una disgraziata. Per quanto l’autrice cerchi anche i lati comici della situazione, il fatto in sé è così pervasivo che le impedisce di uscirne con un motto di spirito.
Poi dopo arrivano altre poesie per avvalorare questa azione che le ha tolto la gioia e il titolo è Nuda:
Cosa ci fai / china su un pianoforte? / Non vedi? Non serve. / Non ti aggrappare inutilmente / al cielo stellato d’ inverno / apri le mani / scosta lo sgabello / sdraiati nuda.
Oggetto il corpo tra gli oggetti, nemmeno il cielo stellato può nulla. Come in questi pochi versi dal titolo Platone e tu: Sei moltissime luci / alcune abbaglianti / altre tenui tenui / ma sei una sola verità / chiara / distinta / pulita. / Non ho bisogno di mani per toccarla / e non ho bisogno del canto per conoscerla / Non ho bisogno di mani per toccarla / e non ho bisogno del canto per conoscerla / e non ho bisogno del canto per conoscerla / non mi serve la vista che la sveli /
È fede.
Sembrerebbe una poesia che parla di autodeterminazione con quel reiterato “non ho bisogno”. È come se volesse mettere il suo amore per Bach in una teca e farlo ascoltare solo a chi ne ha le qualità adatte e la giusta sensibilità.
Questa sezione era titolata a “Il padre”, mentre nella sezione a “Il figlio” leggiamo Tua madre:
L’amore di tua madre / è stato dirti: / vai. / Perditi nella luce / non ti darò il mio destino / non mi darò il tuo destino. / A un certo momento / lieve lieve / di soprassalto / hai capito / e hai detto / vado. / Ti ho lasciato la mano / e sei scolato. In piedi, mi sono poi detta / oggi sono diventata obiettrice di coscienza / per me sola / per me e per te.
Come se non riuscisse a dimenticare e poi che ne facesse testimonianza: non lo scorderete forse mai del tutto. Poesia vibrante, civile.
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