Francesco Redenti, La situazione in Italia nel 1857 attraverso una caricatura dei personaggi dei Promessi Sposi; "Il fischietto", 20 gennaio 1857 / Public domain, via Wikimedia Commons
La nota domanda “Carneade, chi era costui?” è divenuta ormai di uso comune, capita di sentirla da persone di buona cultura che vogliono strappare un sorriso o usare l’ironia in una conversazione.
Ciò perché questo motto ha in realtà un’origine letteraria che è utile riscoprire non solo per rileggere un celebre passo di un grande classico della letteratura italiana, ma anche per comprendere perché questa frase possa anche far sorridere.
Anche se il significato dell’interrogativo Carneade, chi era costui? non è difficile da intuire, rileggerlo con attenzione ci permetterà di apprezzarne le sfumature e capire in che modo e perché viene utilizzato ancora oggi.
Scoprire chi ha detto per primo la celebre frase Carneade, chi era costui?, poi, ci permetterà di tratteggiare la psicologia di un rinomato personaggio letterario ma anche di rispolverare rapidamente un capitolo poco noto della filosofia antica. Già che ci siamo posti la domanda, non possiamo negarci il gusto di trovare anche un’appropriata risposta.
Cosa significa la domanda “Carneade, chi era costui?”
Prima di scoprire l’origine di questo modo di dire, guardiamo al linguaggio comune e chiediamoci quali sono le situazioni in cui potremmo utilizzarlo. In genere chi cita questa frase lo fa per ammettere bonariamente la propria ignoranza riguardo a un personaggio citato o richiamato dall’interlocutore. Se parafrasassimo il nostro proverbio otterremo una domanda come:
Chi era questo perfetto sconosciuto che, però, dovrei conoscere?
Chi si è posto la nostra fatidica questione è stato prima colto alla sprovvista e dimostra poi stupore perché riconosce che dovrebbe conoscere la persona di cui si parla o il personaggio richiamato nel discorso, anche se non gli sovviene nulla. Ha la vaga impressione di averlo sentito nominare, si rende conto che dovrebbe sapere chi è, ma ha un vuoto di memoria, per quanto si sforzi non riesce ad associare quel nome a nulla di noto e allora, per uscire dall’empasse in modo scherzoso, tira in ballo Carneade, che diventa, appunto, lo sconosciuto per antonomasia, e si chiede chi fosse.
Il nostro modo di dire, allora, si rivela di grande utilità quando ci troviamo a parlare con qualcuno che ne sa più di noi, o che tenta di metterci in difficoltà nominando una personalità, reale o letteraria che sia, con cui non abbiamo familiarità.
Certo, se ce ne usciamo con la frase Carneade, chi era costui? riconosciamo la nostra beata ignoranza in materia ma questo potrebbe anche essere un atteggiamento più costruttivo di quel che sembra a prima vista. Alla fin fine perché mentire, fingendo di essere al corrente del personaggio citato? A che pro? Probabilmente solo per gettarci in un’oscurità ancora maggiore, man mano che il discorso procede. E allora, chiediamoci a cuor leggero Carneade, chi era costui? Se, in tal modo, non brilleremo per la profondità della nostra cultura quanto meno riusciremo a far sorridere la persona con cui parliamo e a uscire dal momentaneo imbarazzo in cui siamo, involontariamente, finiti.
Carneade, chi era costui?: una citazione manzoniana
Come già anticipato la domanda si ritrova in uno dei testi più celebri della letteratura italiana: apre, infatti, l’ottavo capitolo dei Promessi Sposi, l’immortale romanzo di Alessandro Manzoni che mette queste parole in bocca allo stupito Don Abbondio. Rileggiamo il passo, concedendoci qualche riga in più per coglierne il significato complessivo:
"Carneade! Chi era costui?" ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata. "Carneade! questo nome mi par bene d’averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli; ma chi diavolo era costui?" […] Quello su cui meditava in quel momento don Abbondio, […] era un panegirico in onore di san Carlo […]. Il santo v’era paragonato, per l’amore allo studio, ad Archimede; e fin qui don Abbondio non trovava inciampo; perché Archimede ne ha fatte di così curiose, ha fatto dir tanto di sé, che, per saperne qualche cosa, non c’è bisogno d’un’erudizione molto vasta. Ma, dopo Archimede, l’oratore chiamava a paragone anche Carneade: e lì il lettore era rimasto arrenato.
Carneade, chi era costui?: chi l’ha detto?
Mentre legge un discorso in onore di San Carlo Borromeo il nostro pavido curato interroga sé stesso (“ruminava tra sé”), non può fare a meno di porsi la nostra domanda perché la memoria vacilla, dal momento che, come comprendiamo giusto qualche riga dopo, la sua è un’erudizione tutt’altro che vasta. Vaghi ricordi affollano la mente di Don Abbondio, che sicuramente ha già sentito quel nome, lo riconduce al mondo classico (“un letteratone del tempo antico”) ma le imprese che costui ha compiuto, in confronto a quelle di Archimede, non devo esser state così curiose da impressionare il nostro mediocre uomo di chiesa.
Il quadretto che prende forma in queste poche righe ha la chiara funzione di lumeggiare meglio un lato secondario di Don Abbondio, uno dei personaggi meglio tratteggiati da Manzoni nei tanti episodi del suo romanzo in cui fa la sua comparsa.
Il nostro curato, infatti, oltre a non essere un cuor di leone, non era di certo neanche un uomo di studi, piuttosto qualcuno che la letteratura la usa per diletto (leggeva “un pochino”), spinto da un collega che gli allungava un libro dopo l’altro, così alla rinfusa, quasi per aiutarlo a riempire quel tempo in cui l’unico vero pericolo da scampare era non tanto la noia, quanto piuttosto il rischio di incorrere in pasticci che avrebbero compromesso la sua prudente routine. Come dimostra bene il seguito del capitolo, infatti, meglio sarebbe stato per il povero Don Abbondio, continuare a ruminare sui suoi amletici dubbi piuttosto che ricevere la visita di Tonio e Gervaso, e affrontare poi l’incombenza di un matrimonio a sorpresa.
Chi era Carneade?
A onor del vero, piuttosto che un “letteratone” Carneade era un filosofo greco, originario della città di Cirene, visse ad Atene tra la fine del terzo e la fine del secondo secolo avanti Cristo. Da bravo scettico sosteneva convintamente che fosse impossibile conoscere con certezza alcunché, e pertanto sospendeva il giudizio su tutte le cose. Più che solida riteneva la conoscenza solo probabile ed era famoso per la rapidità con cui cambiava idea su molte cose.
Lo dimostra bene l’episodio più celebre della sua vita, l’ambasciata a Roma, compiuta insieme a due concittadini nel 155 a.C., in seguito a una multa comminata agli ateniesi per il saccheggio della città attica di Oropo. Fu in quel frangente che Carneade prima affermò che la giustizia fosse come una legge naturale sulla quale si fondava tutta la vita associata, poi, dopo pochi giorni, sostenne che la giustizia fosse estremamente variabile, in base ai popoli e alle epoche, e quindi quanto mai lontana dalla saggezza. Proprio per questo spiegò, poi, che se i Romani avessero voluto dimostrarsi davvero giusti avrebbero dovuto restituire i loro beni alle popolazioni sottomesse e andarsene in povertà, a costo però di risultare stolti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Carneade, chi era costui?”: significato e chi l’ha detto
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