

Che cos’è il trash
- Autore: Giuseppe Previtali
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2025
In principio era il Trash. O meglio: in principio era già la sua natura eccessiva anche se non ancora speculata. Molto prima che la televisione ne formatizzasse il sostrato osceno (C’è posta per te, Avanti un altro, Storie criminali, Prova del cuoco, Grande fratello e progenie similari); e la critica ne sdoganasse le sgrammaticature attraverso fenomenologie di cinepanettoni, mondo movies, western-gialli-horror all’italiana, la poetica Trash aveva già individuato il suo deforme progenitore in Plan 9 from outer space di Ed Wood. Correva l’anno 1959, e ciò per dirvi che i primi esempi di trash-culture affondano nella seconda metà del secolo scorso, e la loro diffusione è avvenuta in maniera esponenziale, di pari passo alla mediatizzazione del reale e alla proletarizzazione dei format televisivi. Arruolati come fisionomie da audience, i nuovi mostri del videodrome quotidiano si attestano come espressione dell’indecente che è in loro; protesi contingenti del piano di occupazione onto-spazzaturale che dall’acuta demistificazione di senso (in)compiuto di Blob e Cinico TV attecchisce nelle coscienze alienate dell’homo videns (Giovanni Sartori). Ma la galassia televisiva non è il solo ambito di immanenza trash. Allo stato attuale, la televisione se la gioca coi media digitali, terreno fertile di mondezza concettuale declinata per opinionismi-populismi-complottismi-velleitarismi, metro di misura del (de)grado sociale cui si è giunti. Fine dell’inciso.
Prossimo ma non sinonimo delle categorie estetiche del Camp e del Kitsch, il Trash rintraccia la sua popolarità all’interno di una dialettica meta-significante; nel suo porsi come serbatoio estetico al tempo stesso attraente e repellente. Sulla scorta della definizione fornita dal teorico Tommaso Labranca - “emulazione fallita di un modello alto” –, l’ambito formale del trash ingloba espressioni di discutibile caratura artistica e proprio per ciò di fascino sottile e irrivelabile (tornando agli esempi cinematografici, i monster movie giapponesi, le saghe zombi e i sequel all’italiana di Alien e Terminator; la serie B americana di John Waters e Russ Mejer, ma l’elenco sarebbe presso che infinito).
Il saggio di Giuseppe Previtali Che cos’è il trash, uscito nel 2025 per la collana “Le Bussole” di Carocci, si muove (a proprio agio) all’interno delle coordinate teorico-pratiche della categoria, affrontandone la sfuggevolezza, che in altri termini potrebbe definirsi refrattarietà di appartenenza a un genere altro che il genere trash. Un filone di coordinate mimetiche e per ossimoro non giudicabile in toto. Al netto dei pregiudizi estetici, un conto sono i Pomodori assassini (Attack of the Killer Tomatoes!, 1978) di John DeBello, e un altro il cosiddetto Poliziottesco italiano che, nelle sue espressioni più riuscite, costituisce una plausibile fotografia degli anni di piombo. Per limitarmi a due esempi.
Come indicato da Giuseppe Previtali in coda a questo suo minuzioso compendio critico di storia e cultura trash:
Nel corso di queste pagine si è avuto modo di evidenziare come il trash sia progressivamente andato incontro a un processo che lo ha condotto a essere percepito come un fenomeno culturale autonomo e rilevante. A partire dai testi pioneristici di Cartmell e collaboratori (1997) e Simon (1999), passando attraverso la sistematizzazione di Labranca (1994; 1995), quella del trash è divenuta con il tempo una categoria estetica riconoscibile, che anche se spesso incrocia la traiettoria con altri temi culturali (come il kitsch, il camp), fa riferimento a un ben definito archivio di oggetti, pratiche e fenomeni. Il contesto digitale ha certamente dato un impulso forte al riconoscimento della dignità del trash, non solo perché ha permesso l’emersione di specifici luoghi in cui le sue manifestazioni potessero non solo tornare (o continuare) a essere visibili, ma anche perché ha favorito un vero e proprio processo di storicizzazione delle sue forme, oltre che di costruzione di una comunità di estimatori.
In conclusione: con taglio, passo e intenti accademici (Previtali è ricercatore all’Università di Bergamo, insegna Cinema e cultura visuale), Che cos’è il trash ne (rin)traccia la fenomenologia, declinata in parallelo all’ambito visuale contemporaneo, di cui i Bmovies sono specchio dilatato e metro di misura insieme. Sottotraccia a questa direttiva principale, il testo esplora anche il nostro rapporto con le immagini (l’atto di vedere wendersiano) che proprio la sovrabbondanza semantica del Trash consente, talvolta, di chiamare allo scoperto.

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