Chiedilo all’amore
- Autore: Giuseppe Bianco
L’amore, nella sua accezione più semplice, va per strade e costruisce storie, quelle di tutti i giorni, anche queste dunque semplici, talvolta banali ma che assumono tra le pareti di un’anima un’eco violenta e assordante…perchè l’amore ha il potere di trasfigurare il banale in eccezionale. Questo lo sa bene Giuseppe Bianco, che ha pubblicato una raccolta di racconti intitolata "Chiedilo all’amore". Audace il tentativo di parlare ancora d’amore dopo che autori del passato e dei nostri giorni hanno già scritto centinaia di pagine lasciandole a noi, lettori spesso non per caso. Audace è comunque parlare d’amore, anche se mai lo avesse fatto prima qualcuno, perché l’argomento potrebbe risultare troppo personale, addirittura scontato e iperofferto in tutte le cotte, ma anche complicatissimo nelle sue infinite sfaccettature. L’amore, se proprio se ne vuole parlare, fa prendere posizioni, implica direzioni, suggestiona cervello, cuore e, negli scrittori, anche la penna o il computer, per arrivare verso mete, a cui altri non riusciranno mai a giungere. La scrittura sull’amore può essere fatta bene solo per amore della scrittura, in un gesto coraggioso e disinteressato, come è quello di un innamorato.
E Giuseppe Bianco è riuscito a coniugare coraggio ed abilità, insinuandosi nei risvolti di accadimenti, che riconducono appunto all’amore. Sono storie, quelle da lui narrate, che fermano la clessidra su momenti in cui l’amore fa da protagonista nella vita di chi si lascia ancora andare e, magari, trascinare dai sentimenti. E dunque l’amore viene inteso come fonte d’irradiazione di tutti i colori dell’arcobaleno. Come lo intende e narra Bianco, però, non è solo quello della grande passione, ma anche quello piccolo piccolo, che trova voce in un ricordo o in una vecchia canzone. La freschezza dei racconti sta proprio qui, nel raccontare un quotidiano spesso noioso che risorge grazie ad un battito in più del cuore che riesce a scuotere la pesantezza di giorni anonimi. Si fa spazio proprio in giornate grigie il potere dell’amore, che dà linfa e che magari cambia ottica e orizzonti indicando una nuova rotta. Talvolta l’amore può anche diventare opportunità di riflessione e far pensare, come quando il protagonista di "Un mondo di parole" confessa: "Vorrei che il mondo, anche senza capire perché, volesse tanto bene ai suoi figli, quanto ce n’è tra noi: all’orizzonte delle sue mattine ci sarebbero solo i riflessi di un sole nascente, mai il fumo delle bombe."
Bianco, tra l’altro, non utilizza descrizioni e parole struggenti che costituiscono la trappola mortale degli argomenti amorosi, ma rimane spesso fermamente saldo in un’ironica lucidità che diverte e che ammalia. Parole asciutte dunque, per un contenuto aeriforme che ha imparato a volare.
Recensione a cura di Carmela Scarpelli
Chiedilo all'amore
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Ogni recensione pone delle difficoltà per chi scrive e personalmente la difficoltà maggiore in questo caso è quella di trovare ancora una volta un criterio uniforme e obiettivo che possa penetrare tutti i campi che dobbiamo attraversare e che non resti una pura impressione del momento. Ecco allora che “Chiedilo all’amore” di Giuseppe Bianco ci si presenta come un puro caso di opera con una forte carenza formale e un’approssimazione dei termini che lo rende oltremodo superficiale per quanto riguarda il lavoro mentale impiegato per creare le situazioni che ci vengono presentare e lo sforzo consumato dal lettore per sentirsi parte di esse: ci si ritrova in delle situazioni talmente quotidiane, talmente convenzionali, con delle personalità così piatte e approssimative che raramente si sente nelle pagine il brivido di una scommessa gettata, la scommessa di un pensiero meditato e profondo espresso tramite una storia che in genere lo scrittore lancia come una rete speranzoso di raccogliere qualche interessato, qualche empatico o, perché no, qualche fanatico.
Sin dalla prima storia, dove ascoltando una canzone il protagonista, sposato con una donna severa che non gli dona ormai più passione né soddisfazioni d’animo, ricorda la sua focosa e fulminea relazione con l’amante, si evince una scarsità di spessore nel delineare i contorti delle figure entro le quali dovremmo calarci: un marito nullafacente al quale viene chiesto di pagare una bolletta, un ultimo atto sessuale in una macchina e l’amore ritrovato che viene abbandonato quasi subito per paura. Paura che ritornerà costante nelle trame ma molto immotivata, quasi fuori contesto, messa lì, sembra, con concertazione per concludere una vicenda e non per un reale sviluppo psicodinamico. "Mi conosco e non voglio soffrire. Sono capricciosa, potrei sparire in qualunque momento e non sarebbe giusto per te". Tutto ciò che i personaggi pensano viene subito reso manifesto in parole, e quasi mai attraverso gesti, annotazioni o atmosfere più criptate; inoltre i discorsi diretti sono lunghi, spesso troppo lunghi per risultare realistici, soprattutto per dei personaggi così semplici e poco caratterizzati. La stessa struttura viene ripresa in “L’amore è una storia troppo grande”: fra un bicchiere e l’altro l’uomo ricorda la relazione con un’altra donna giunta al termine. Vi sono dei tentativi, in questi racconti che seguono lo schema dell’abbandono, di piazzare piccole mine d’ironia che dovrebbero rendere il lettore consapevole da una parte dell’amarezza e del tentativo dei protagonisti di affrontarla senza deteriorarsi di più, di sopravvivere ai colpi della vita, dall’altra, dal punto di vista narrativo, dovrebbero spezzare una tensione (difficile a dirsi, vista che la soglia minima di drammaticità non è neanche sfiorata) carica di dolore e rammarico. Tuttavia questi tentativi ogni volta risultano falliti semplicemente perché le battute sono così scontate e conosciute che dalle prime parole il lettore sa già perfettamente dove lo scrittore andrà a parare le prossime dieci righe. Ad esempio: il protagonista rivela alla sua donna la dolorosa realtà, c’è qualcun’altra nella sua vita. La donna non ribatte ma si allontana, lo fissa vitreo. Il protagonista dopo qualche perifrasi arriva all’esito scherzoso della cosa: <<è … è … mia madre!>>. Quindi è questo lo stile che viene usato, sia per quanto riguarda il tono estremamente basso, sia per la sintassi abbondantemente paratattica, il nodo lessicale che non tenta mai, neanche una volta, di inserire una sfumatura più difficile da cogliere, un arcaismo, un neologismo, una costruzione poetica, una coloritura particolare, una descrizione minuziosa di un ambiente in sintonia con lo stimmung della vicenda o con l’umore del soggetto trattato, un tecnicismo. Niente di tutto questo: più procederete nella lettura più vi accorgerete d’esservi battuti in una uniformità pressoché totale dal punto di vista formale della scrittura. Non incontrerete in questi racconti quel personaggio che supera le aspettative del livello medio, non troverete né un anticonformista né un polemico, solo semplici sagome appena abbozzate, piene del loro lavoro e della loro quotidianità. Di certo non è un reato non aspirare all’infinito né volere esprimere un intento polemico né lanciare una sfida innovativa, in delle novelle d’amore; ma è giusto avvisare per chi è interessato alle recensioni che niente di tutto quel "di più" oltre al minimo indispensabile del diegetico e del mimetico ha luogo in questa raccolta.
L’estrema brevità dei periodi talvolta porta a supporre che alcune di queste frasi sarebbero perfette come sms, ma sms che nel caso di citazioni risulterebbero di sicuro poco originali, come: "Volevo solo dirti che potrai essere la lampadina di un’altra insegna o stare nella curva opposta alla mia, potrò confonderti con la nebbia o non incontrarti più, tu sarai sempre l’altra parte di me. Vorrei che tu restassi qui!". Per quanto riguarda l’aspetto dei riferimenti meta letterari, in un luogo troviamo la parola “idee” con l’asterisco (pag. 55) con tanto di leggenda, "concetto platoniano" al luogo di "platonico", insieme a una frase di Picasso subito segnalata in basso con un’altra nota. In alcune pagine del racconto “Carpe diem. Memorie di un pesciolino rosso” l’urlo prolungato della moglie del protagonista viene reso con moltissime lettere appiccicate una dopo l’altra, a mo’ di fumetto ("Piiiiieeeeeetttttttttttrrr" ecc.) e in “L’inaspettata traiettoria di un pensiero erotico”, dopo una sequela di storie travolgenti impossibili con le varie amanti (tra l’altro viene spontaneo chiedersi se non sarebbe stato meglio per tutti questi protagonisti divorziare e iniziare una nuova vita o per tutte queste donne evitare le solite litanie del "non possiamo", visto e considerato che ai nostri tempi è così inattuale descrivere il matrimonio come un elemento permanente e sarebbe stato molto più realistico descrivere una, anche e soltanto una, storia d’amore che si consuma di sé, finisce per i problemi interni della coppia e non per il solito peregrinare da gatto in calore dell’uno o dell’altro partner) si ritrova da solo a masturbarsi ed esclama in conclusione: "Hmm, è proprio vero, il primo amore non si scorda mai!".
Vorremmo inoltre riportare le prime quattro righe del racconto più breve della raccolta, dal titolo “Stranamore”, uno di quei monologhi senza trama che riassumono forse meglio il pensiero dell’autore e la sua visione spontanea del sentimento:
"Sei dentro di me, ti sento e vorrei mandarti un SMS, ma per dirti le cose che mi girano in testa ci vorrebbero un display grande quanto un televisore! Per dirti quello che sai già non c’è bisogno di tanto spazio, bastano solamente tre lettere: TVB (Ti voglio bene). "
In un periodo di grave crisi dello sforzo letterario, che sposa sempre di più le esigenze di mercato, e di superficialità anche nelle storie d’amore degli adolescenti, (perché ci viene subito spontaneo pensare che questa complessità di pensieri al massimo possa addirsi ad un pubblico veramente giovane), che non hanno più sentore delle responsabilità dell’amore, del peso delle parole e dei loro significati, ove assistiamo ogni giorno a “Ti amo” sventolati nelle pubblicità dei detersivi e dei bucatini della prima marca di pasta che passa dinnanzi ai nostri occhi, una tale approssimazione e una carenza simile di contenuti nel campo delle piccole case editrici e di autori meno noti è un grave indice della nostra direzione futura. Una volta scrivere racconti era un modo per non scrivere romanzi, perché i romanzi erano troppo scontati e pieni di luoghi comuni. Una volta le piccole case editrici sostenevano gli autori più giovani o esordienti in quanto ribelli, in quanto profughi della lingua e dello sperimentalismo, in quanto estremi o in quanto conservatori così timidi dal risultare mitologici, accademici o arcadici. Ci ritroviamo di fronte invece a un nuovo fenomeno, libri che probabilmente non sono stati scritti con nessuna ambizione di innovare o modificare il percorso della letteratura italiana né hanno la pretesa di inserirsi nei ciottoli delle sue forme. In poche parole, racconti che parlano d’amori “usa e getta” e non di grandi sentimenti, che sono grandi proprio in quanto ogni sfumatura ne ha altre mille che ne contiene altre tremila.
chiedilo ad un sogno cosè l amore....io l ho fatto....ho implorato ai miei sogni che non voglio piu sognare....per evitare i confronti con i miei risvegli e la mia realtà....per nn guardare piu quel viso cosparso di lacrime dolenti...in questo libbro mi sn ritrovata spesse volte e vorrei lasciare un pensiero all autore...sn un puntino insignificante al tuo fianco ma..........ti amerò per sempre