Cosa sono i ricordi? Qualcosa che abbiamo, oppure qualcosa che abbiamo perduto? Cosa significa ricordare? È un’azione che si compie in maniera consapevole, oppure è qualcosa che ci attraversa? La risposta più veritiera a queste domande, dettate una profonda analisi introspettiva, la troviamo in un’intensa poesia di Eugenio Montale, dal titolo Cigola la carrucola del pozzo, che traduce in una metafora perfetta il meccanismo della memoria.
Sanno essere i subdoli i ricordi, sono capaci di attraversarti la mente come un fulmine saettante in un cielo nero, trasportandoti - per un attimo - in un altro luogo e in un altro tempo, per poi lasciarti vuoto (o svuotato) a contemplare il tuo “niente”, ovvero un presente che, d’un tratto, appare irrimediabilmente insipido e inconsistente. “E per un istante ritorna la voglia di vivere a un’altra velocità”, cantava Battiato in coro con Alice; e se, in quella canzone, erano i treni di Tozeur a essere suggestiva similitudine del tempo in fuga e in transito, ecco che in Montale emerge un altro elemento che diventa il correlativo oggettivo del ricordo.
Il pozzo nella poesia di Montale diventa la perfetta metafora della memoria, dalla quale attingere l’acqua zampillante dei ricordi che, a tratti, illuminano la mente come lucide rivelazioni di un tempo che fu. Il valore intimo e struggente del ricordo è magnificamente espresso in questi versi che sono anche una riflessione sul tempo e sulla maniera in cui gli anni ci trasformano, ci cambiano, modificandoci insensibilmente con piccoli turbamenti invisibili, come dita che ci spettinano. Cosa resta alla fine? L’attimo perfetto di un istante perduto, l’eco lontana di una risata, un’immagine felice e al contempo labile, evanescente, come l’idea stessa di felicità.
Cigola la carrucola del pozzo è contenuta nella raccolta Ossi di seppia, pubblicata per la prima volta a Torino dall’editore ideale Piero Gobetti nel 1925.
Scopriamone testo, analisi e commento.
L’analisi metrica e tematica conclusiva è a cura di Maria Paola Macioci.
“Cigola la carrucola del pozzo” di Eugenio Montale: testo
Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.Accosto il volto ad evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro...Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.
“Cigola la carrucola del pozzo” di Eugenio Montale: parafrasi
La carrucola del pozzo stride,
l’acqua [del secchio] sale verso la luce che la pervade.
Appare tremolante un ricordo nel secchio pieno d’acqua,
l’immagine di un volto ride nel cerchio limpido del secchio.
Avvicino il volto alle labbra evanescenti:
il passato si deforma, diventa vecchio,
diventa estraneo…
Ah, la ruota che già torna a cigolare, ti riporta verso il fondo buio,
o visione, e ci divide una distanza.
“Cigola la carrucola del pozzo” di Eugenio Montale: analisi e commento
La poesia di Eugenio Montale si muove sulla base di un’orchestrazione perfetta e abilmente studiata: ogni parola è al posto giusto e le strofe seguono un andamento circolare, c’è l’ouverture, l’interludio e l’epilogo, tutto si muove insieme proprio come gli strumenti che rispondono ai gesti del direttore d’orchestra e seguono docili la partitura. Struttura e significato, in questo caso, formano un tutt’uno. Montale imita il movimento della carrucola del pozzo - che ha un andamento circolare, scende e poi sale e poi di nuovo scende. L’acqua, un elemento liquido, metamorfico, traduce l’essenza stessa del tempo (“Acqua uguale tempo”, del resto lo scriveva anche Brodskij ne Le fondamenta degli incurabili).
Metafora e realtà coincidono, sovrapponendosi. La profondità insondabile del pozzo ci restituisce l’antro oscuro - e inesplorato - della memoria umana: cosa contiene la nostra mente? Quanti ricordi sono custoditi nello spazio imperscrutabile dell’inconscio? Come mai a volte riaffiorano all’improvviso, in maniera involontaria?
Per spiegarlo Montale non ricorre alla psicologia, ma a una metafora: ricordare è come attingere dell’acqua dal pozzo oscuro della memoria, ecco che il ricordo sale alla luce con fatica, cigolando, e poi ritorna nel buio da cui è venuto.
Ogni elemento della poesia ha una funzione precisa, diventa un correlativo oggettivo delle sensazioni del poeta: il pozzo è la memoria, il secchio colmo d’acqua è il ricordo, il lento cigolare della carrucola è lo sforzo compiuto dalla mente. Ma c’è un’altra spiegazione, meno meccanica e che sfugge alle regole della metrica e all’analisi stringente delle figure retoriche, ed è ciò che intimamente ci commuove di questa poesia: la riflessione sul tempo che sempre ritorna come un leitmotiv nelle liriche di Montale e forse trova l’apoteosi nella bellissima La casa dei doganieri con l’immagine suggestiva “di chi va e di chi resta”.
L’immagine che ride, evanescente nel ricolmo secchio, traduce una percezione di felicità vicina, eppure per sempre perduta, riflettendo l’assalto doloroso dei ricordi che non attraversano mai la mente senza lasciare traccia. La domanda inespressa, tuttavia presente, è: che ne è stato di quel momento? Dove è finita quella persona che sorrideva in un momento di felicità condivisa? Il passato, risponde Montale, appartiene ad un altro.
Montale e la riflessione sul tempo
Si tratta di una curiosa riflessione, poiché noi siamo abituati a dire che “noi siamo il nostro passato”, che quel tempo è parte di noi, invece il poeta ligure afferma un’ineludibile verità: il passato non ci appartiene più, noi non siamo più chi eravamo, eppure di quel passato resta una traccia nella memoria, una costante. Montale oppone alla forza inoppugnabile del ricordo l’azione distruttiva e corrosiva del tempo che tutto travolge e tutto consuma. Diventiamo persone diverse nel corso della nostra vita, cresciamo e ci modifichiamo attraverso cambiamenti impercettibili (non siamo più i bambini che eravamo; chi sono ora quei bambini?), a tratti persino incoerenti, ma qualcosa ci unisce per sempre a ciò che siamo stati: ad esempio un volto che ride e, d’un tratto, si riaffaccia alla mente con un’evidenza splendente ricordandoci che siamo stati felici senza accorgerci, persino senza capirla la felicità.
Ed è proprio questo lo scacco, l’inganno amaro che Montale traduce in poesia: nel momento in cui l’io lirico cerca di accostare al volto l’immagine che ride nel cerchio del secchio, ecco che quest’ultima traballa e infine svanisce dissolvendosi in uno sfarfallio di luce e la carrucola cigola, pronta a tornare nell’atro fondo.
La caratteristica transitoria ed evanescente dalla felicità viene riportata da Montale con un’esattezza così puntuale da risultare annichilente. Il pozzo diventa una soglia, un uscio dischiuso tra due realtà spazio-temporali d’un tratto comunicanti.
I ricordi, dunque, sono qualcosa che abbiamo perduto? Il dubbio rimane, rafforzato dall’ambigua conclusione della lirica. I ricordi hanno una consistenza fantasmatica, somigliano a visioni, a miraggi, proprio come quelli che popolano la città di Tozeur cantata da Battiato.
Visione, una distanza ci divide.
Tra noi e il nostro passato c’è una distanza incolmabile. La conclusione di Cigola la carrugola del pozzo di Montale è drammatica, sembra solcare la pagina come un grido o come un singhiozzo. Afferma l’atroce evidenza degli amori impossibili, perduti, condensa in un solo verso la verità del “tempo perduto” che la letteratura - proprio come la carrucola del pozzo montaliana - si affanna tanto, da Proust in poi ma in realtà ancora prima di Proust, a ricercare e ricreare.
Tutta la scrittura è in fondo un’azione della memoria, lo erano persino i graffiti degli uomini primitivi, disegnati sulle pareti oscure delle grotte come ferite nel tentativo di lasciare una traccia destinata a durare. Anche il ricordo è una ferita, talvolta quando riaffiora fa sanguinare la mente, ma poi se ne va, si cicatrizza, rimane solo il presente, mutevole e incerto, a ricordarci la nostra essenza transitoria e mutevole. Cosa sono i ricordi, dunque? Qualcosa che abbiamo - e anche qualcosa che abbiamo perduto per sempre - la poesia di Montale si nutre di questa contraddizione e la rende concreta, riesce ad eternarla conservandola sul fondo del pozzo.
“Cigola la carrucola del pozzo”: analisi metrica e figure retoriche
Cigola la carrucola del pozzo è una poesia in endecasillabi a rime irregolari composta da un’unica strofa, sebbene all’ottavo verso sia presente uno scalino metrico.
Vi si ravvisano varie figure retoriche, ovvero:
- allitterazioni in r (carrucola, ricordo, ricolmo, stride ecc.)
- anastrofe (Cigola la carrucola, Trema un ricordo ecc.)
- metafora (Trema un ricordo, ti ridona all’atro fondo ecc.).
- Ai versi 8-9 stride/la ruota costituisce un enjambement, mentre i termini "cigola" e "stride" hanno valore onomatopeico.
“Cigola la carrucola del pozzo”: i temi principali della poesia di Montale
Eugenio Montale compose Cigola la carrucola del pozzo probabilmente nel 1924 e la inserì nella sezione Ossi di seppia, la seconda della raccolta omonima pubblicata nel 1925.
Come sempre accade in Montale, gli aspetti e i momenti apparentemente più semplici e banali della quotidianità suscitano in lui sensazioni profonde e riportano a galla ricordi sopiti.
Nell’acqua raccolta da un secchio che sale da un pozzo attraverso una carrucola cigolante, gli sembra di vedere riflessa l’immagine di un volto caro, ma è solo un attimo, un’illusione.
Nell’avvicinare le labbra ad esso con l’intento di stabilire un contatto, il viso scompare, si allontana, ed ecco che già il secchio è di nuovo giù, nel fondo buio, a segnare una distanza incolmabile fra passato e presente.
Al centro della lirica troviamo la memoria, intesa non come consolazione e risorsa, come pure spesso si riscontra fra i poeti, gli scrittori e gli artisti in generale, bensì come mera illusione e addirittura causa di sofferenza.
Il senso del tempo e, principalmente, del suo scorrere inesorabile che travolge tutto e tutti, è un concetto fortemente presente in Montale, ma diversamente da quanto accade per altri autori, egli non trova rifugio nel ricordo che, anzi, costituisce un ulteriore motivo di tormento.
Il tempo non si può fermare, né il passato può tornare e l’impressione che ciò avvenga dura soltanto un attimo, superato il quale il dispiacere non fa che aumentare.
Per dirla con Bàrberi Squarotti e Jacomuzzi:
Il perdersi dei volti familiari, delle persone amate, dei momenti di gioia, nell’incapacità della memoria a trattenerli vivi in sé dopo che sono spariti o trascorsi, e l’angoscia, la disperazione che ne deriva, sono uno dei grandi temi di Montale.
Gli oggetti, le azioni e le situazioni descritte nel componimento assumono una evidente connotazione simbolica.
Il pozzo rappresenta la dimensione della memoria.
Ciò che essa fa riemergere non è il passato così come è stato, ma una sua deformazione, così come pure la persona non è più quella che era una volta.
L’angoscia scaturisce proprio dalla constatazione che tutto ciò che è stato non potrà mai tornare.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Cigola la carrucola del pozzo” di Eugenio Montale: la poesia sul valore del ricordo
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