Spesso la vicenda editoriale di un libro è l’esito di un processo di metamorfosi; un percorso sotterraneo, simile a un fiume carsico, che sottoponendo il progetto di partenza a un percorso di lenta erosione, lascia emergere alla fine un prodotto compiuto diverso e più fedele all’idea originaria, e sorprendentemente combaciante al profilo e alla storia dell’autore.
Dall’intervista all’autobiografia: il nuovo libro di Branduardi
All’inizio, come ricorda il coautore Fabio Zuffanti, Confessioni di un malandrino. Autobiografia di un cantore del mondo doveva essere un libro intervista dedicato a uno dei più originali e poliedrici artisti della musica italiana contemporanea, Angelo Branduardi. Al termine di una lunga sequenza di conversazioni e oltre venti ore di registrazioni telefoniche, è apparso chiaro che la forma più efficace e naturale del libro non poteva che essere quella di un lungo, incessante cantare affidato alla voce del protagonista, Angelo Branduardi, e alla sua rievocazione di una vita colma di doni, suggellati da una ricerca incessante nel segno di una creatività rigorosa e appassionata. Difficile, anche per il lettore meno robusto o a corto di fiato, interrompere l’atmosfera particolare che si crea in queste pagine fin dal primo rigo: come se a ciascuno fosse dato immaginare Angelo "che raccoglie intorno a sé un gruppo di persone e comincia a raccontare la sua storia, proprio come avrebbe fatto un trovatore in una piazza "(dall’Introduzione di Zuffanti). Un’atmosfera del resto ben nota agli spettatori e ai fan più assidui dell’artista milanese.
Link affiliato
Dall’intervista al racconto autobiografico dunque, e in questa lenta, progressiva conversione di un progetto editoriale non è solo la forma del libro a mutare. Forse è proprio nel genere autobiografico, prima ancora che in quello romanzesco, che i lieviti dell’immaginazione producono gli esiti narrativi più originali e felici. Intendiamo in particolare quella prerogativa di rievocare qualcosa che credevamo già di conoscere e che mediante la trama di un’esperienza narrata acquista il sapore entusiasmante e formativo di una riscoperta.
È ciò che avviene attraversando come un breve/lungo viaggio queste pagine, assecondando le cadenze e gli strappi della voce narrante, restando in ascolto silente, tacendo le domande, che restano invisibili e silenziose proprio come lo sguardo attonito e rapito di un pubblico compartecipe durante un concerto, in attesa che tutto si sveli nella ritualità magica e fiabesca di una melodia conosciuta e al contempo presaga di nuove rivelazioni.
Pur essendo modulato come un carme continuo, il racconto si snoda e organizza in una sequenza coerente di capitoli introdotti da un titolo evocativo di versi celebri del grande compositore e corredato da occhielli e sottotitoli che ne contestualizzano tempi e vicende, e che ricordano per l’appunto nello stile lieve e arabescato le pagine indimenticabili dei libri di favole della nostra infanzia. Per inciso, Branduardi stesso, nel memorabile incipit del suo racconto, invita i suoi lettori a stare "comodi e inebriati dal magico profumo della carta stampata che compone il libro che avete tra le mani". Esordio magnifico, icastico, e non dissimile dalla fortunata immagine di copertina del suo primo album (Angelo Branduardi, RCA, 1974), in cui è già tutto presente e centrato: la capigliatura inconfondibile, immortalata anche dai versi della poesia che inaugura il percorso autoriale di Branduardi e dà il titolo al libro (Confessioni di un malandrino); il vestimento minimal che contrasta efficacemente con lo sguardo, quello sguardo un po’ da bambino, che contiene la paura e la timidezza, e allo stesso tempo la forza e la determinazione che ne hanno guidato i passi su sentieri sempre diversi, orientati per parafrasare un suo album, all’Altro e Altrove, verso la piena maturità creativa, intellettuale e umana.
Con elegante coerenza di visione e rara consapevolezza autocritica Branduardi attinge non di rado dal suo idioletto il termine "carisma". È la definizione che meglio rappresenta i molti talenti che Angelo ha saputo ricevere nella sua vita, e inebriandosene, abbeverandosene (per citare un altro termine pregnante che ricorre nella narrazione) trasformarli in doni da elargire e condividere con il suo pubblico, determinando un’ascendenza e un’influenza indiscutibile e positiva, di sapienza, di bellezza, di fascino e di altissima poesia, che ha illuminato e arricchito intere generazioni.
I maestri dell’artista
È significativo che il titolo dell’album di esordio coincida con il nome vero dell’artista, nonostante le pressioni e le resistenze di manager e case discografiche che tentarono di semplificarlo e banalizzarlo per renderlo più commerciale. Come non ricordare, tra le pagine più felici di questo racconto che si articola nel percorso di formazione verso la meta più ardua, ossia la realizzazione di sé (nome compreso), l’influsso benevolo e fatale della figura paterna, così pudicamente maieutica e decisiva nel riconoscimento e nella scelta del piccolo Angelo della carriera musicale a cui intrecciare vita e destino; e i non pochi maestri che ne hanno accompagnato per un breve ma decisivo tratto il percorso: si pensi al violinista Augusto Silvestri, che gli trasmise, ancora fanciullo, la prima fondamentale folgorazione per lo "strumento del diavolo"; il poeta Franco Fortini, suo professore alle Superiori (con quel pizzino "che, quando eravamo a scuola un giorno mi mise sul banco. C’era scritto: Non perdetelo il tempo ragazzi /non è poi tanto quanto si crede / Date anche molto a chi ve lo chiede/ Dopo domenica è lunedì"). E ancora, il grande produttore e musicista Paul Buckmaster, che accetta di collaborare con il giovane sconosciuto senza aver ascoltato neanche una sua canzone, accorgendosi (come ser Brunetto Latini nei confronti dell’allievo Dante) del dono di Angelo dopo aver letto una sua lettera ("Tu hai un dono appena nato di parlare agli uomini e agli animali. Io sono qui soltanto per aiutarti a coltivarlo. Tutto quello che ti dico e ti insegno tu devi ascoltarlo e poi scordarlo, perché io ti posso dare soltanto delle cose che hai già dentro"). E poi Luisa, la moglie, compagna della vita e preziosa collaboratrice nella stesura dei testi e nella condivisione delle stesse passioni.
C’è un profumo peculiare, in queste pagine, che resta incollato ai polpastrelli e alla memoria. Forse è quello stesso profumo di "Futuro antico" che introduce una delle opere più meritorie di Branduardi; un paradosso fulminante, per chi come Angelo ama i paradossi; forse un ponte gettato tra la realtà e il sogno, in cui consiste il talento, folle e visionario, ma al contempo sincero e onesto, di ogni vero artista che abbia qualcosa da raccontare a se stesso, al suo pubblico, e finanche al buon Dio, per convincerlo "a mettere da parte le punizioni e a sedersi con noi per ascoltare questa storia".
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Confessioni di un malandrino: l’autobiografia di Branduardi dal libro-intervista alla forma del cantare
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Saggistica News Libri Baldini+Castoldi Musica Recensioni di libri 2022 Angelo Branduardi
Lascia il tuo commento