Confessioni di un malandrino. Autobiografia di un cantore del mondo
- Autore: Angelo Branduardi
- Genere: Musica
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Baldini+Castoldi
- Anno di pubblicazione: 2022
Non fatevi ingannare dall’aspetto etereo delle canzoni di Angelo Branduardi: il loro sottinteso letterario è in grado di pertubare. Sottesa all’altro e all’altrove, all’aura favolistica di molti brani, alligna in Branduardi la caligine trans-mediale dell’inquietudine ontologica. Si addensano le brume di stratificazioni ulteriori. Quasi mai rassicuranti. A prescindere dalla discendenza leggendaria, di quale oscura emblematicità sono portatori La pulce d’acqua, La bella dama senza pietà, Il signore di Baux, Il libro, Il bambino dei topi?, e potrei andare avanti di questo passo per molto ancora, provando a convincervi che Angelo Branduardi non è esattamente quello che la vulgata (come spesso le vulgate, alquanto pigra) sembrerebbe tramandarci. Il suo essere cantautore sui generis, musicista prima e più ancora che cantautore, lo rende prototipo inimitabile e inimitato: Branduardi altri non è che Branduardi, riconoscibile anche in Europa dalla chioma, la voce, le storie, il violino, più o meno come i brand di qualità. Branduardiano è un aggettivo artistico riconducibile solo a lui stesso.
L’affinità elettiva che lo lega al poeta russo Sergej Esenin (1895-1925) riguarda in primo luogo l’essere refrattario alla pedissequità: senza pose, per mera inclinazione naturale. È il 1975 quando Branduardi fa delle Confessioni di un teppista eseniniane un “manifesto” artistico-esistenziale da cui non deroga sino a oggi, al punto da titolare Confessioni di un malandrino la sua unica biografia, curata dal musicista-scrittore Fabio Zuffanti (Baldini+Castoldi, 2022). Un bel modo di riprendere le fila del discorso dopo la lunga sospensione temporale prodotta dal lockdown e la brutta depressione personale che l’ha seguita (come sta scritto).
Su scie similari, il libro promette e mantiene inquadrature frastagliate – pubblico/privato, sacro/profano, luci/ombre –, funzionali alla restituzione di una fisiognomica a sua volta articolata: dove finisce il compositore comincia la persona, e il collante di tutto sta nell’onestà con la quale Branduardi, e Zuffanti con lui, sovrintendono a tempi e climi dei racconti.
Due episodi di vita vissuta riferiti tra i tanti:
“Devo […] confidarvi che io sono da sempre appassionato di tecniche di registrazione e che, per apprenderle al meglio, mi recavo spesso negli studi di Plinio Chiesa, il fonico di parecchi miei dischi, solo per imparare. Andavo in incognito (era semplice, bastava mi facessi la coda), mentre magari stavano lavorando altre persone, e osservavo tutto per capire ogni segreto di quell’arte. Un giorno però rischiai di essere scoperto, a riconoscermi fu addirittura Raul Casadei, il quale chiese se per caso non fossi Branduardi. Gli fu risposto: ‘Si figuri se Branduardi viene qui a perdere tempo’. Fu molto divertente.”
Il secondo accadimento fa quasi invidia a un thriller. La citazione è lunga ma vale la pena, per cui mettetevi comodi.
“In occasione del concerto a Parigi successe anche una cosa piuttosto inquietante: il pomeriggio prima dell’esibizione ero con Luisa e a un certo punto si avvicinò una ragazza molto dolce ed educata che chiese se c’era modo di avere un biglietto. Vista la buona impressione che ci aveva fatto, la facemmo entrare e le permettemmo di assistere al soundcheck, con evidente gioia da parte sua. Poi non la rivedemmo più. Dopo qualche mese, una sera che ero a casa, sentii suonare il campanello, erano passate le ventuno e mi chiesi chi potesse essere a quell’ora. Andai ad aprire la porta e mi trovai di fronte quella stessa ragazza. Rimasi sbigottito e le chiesi cosa facesse lì. Lei mi disse che aveva lasciato la Francia per venirci a trovare con il proposito di diventare una sorta di governante, occuparsi di Sarah e del giardino, che all’epoca era grande tre metri per tre. Il mio stupore, misto a una certa preoccupazione, crebbe sempre più. Le dissi che non sarebbe stato possibile, che Luisa voleva badare da sola alla bambina e che al giardino ci potevo pensare io. A quel punto lei tirò fuori un coltello a serramanico, se lo mise sul polso e mi disse: ’Adesso voglio vedere cosa fai’.”
Che si tratti di aneddoti riconducibili a un’infanzia povera (parte della quale trascorsa tra i deandreiani carruggi di Genova), ai successi o agli insuccessi dei suoi lavori, agli incontri decisivi della sua vita, Angelo Branduardi non si risparmia, rovistando tra le anse dei ricordi, istituendo col lettore una relazione di tono autentico, quasi confessionale, che non lascia indifferenti. Fabio Zuffanti (imprescindibili i due volumi scritti su Franco Battiato) si ritaglia nella fattispecie il ruolo di co-regista, lavorando probabilmente sul montaggio. L’insieme è ottimo, affatto agiografico (merito non secondario), arricchito da una sentita prefazione di Stefano Bollani.
Confessioni di un malandrino. Autobiografia di un cantore del mondo
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