Destinazione Freetown
- Autore: Marta Gerardi, Raul Pantaleo
- Genere: Fumetti e Graphic Novel
- Casa editrice: Becco Giallo
- Anno di pubblicazione: 2012
“Attraversiamo, rapidi, villaggi ed immensità. Moltitudini di umani che vivono di nulla in questo nulla. A guardarli si comprende la smania di fuggire. Eppure, nonostante tutto, qui si vive: nella poca acqua di quel pozzo, in un giorno di vita strappato al domani incerto. Povertà la chiamano; è vero, ma sono stato più povero nella solitudine delle città del ricco nord, ricevendo la compassione disattenta di qualche passante. Quella è povertà”.
Parole, immagini & poesia dal romanzo a fumetti di Kalhid, figlio di un dio minore, nero, africano, immigrato “di ritorno”. Uno che ha visto la faccia vera del “sogno italiano” da vicino, saggiata sulla (sua) pelle, da sveglio, e non gli è piaciuta granché, tanto che ha deciso di tornare sui suoi passi: rimpatriare prima che altri decidessero di rimpatriarlo, prima o poi. Il suo viaggio a ritroso, destinazione finale Sierra Leone - cuore nero e rosso sangue dell’Africa Centrale - attraversa così le tappe-simbolo di un continente in guerra (Sudan, Darfur), percorso di iniziazione e disvelamento insieme. Sono questi, in breve, plot e sostanza di “Destinazione Freetown” (Tamassociati, Raul Pantaleo, Marta Gerardi), sontuoso graphic novel edito da Becco Giallo, legato al filo doppio del Continente Africano e della "presenza" di Emergency in quelle zone (nel libro si evocano i Centri pediatrici di Port Sudan, Nyala, Bangui, e il Centro di cardiochirurgia di Khartoum).
Però adesso non fatevi strane idee: se vi sta venendo in mente una storia a fumetti tutta denuncia, sdegno civile & dolore, siete fuori strada. L’epopea rovesciata di Kalhid - infermiere africano, manovale e tuttofare a Milano, come da copione razzista - sfoggia forma e toni delicati, transiti evocativi (nel tratto del disegno, nel commento), persino una buona dose di humour, segno che è possibile vedersela coi “temi” forti tenendosi a distanza da retorica e compiacimento (mediatici, soprattutto). E non è che in “Destinazione Freetown” i grani classici del rosario terzomondista - camionette che tagliano il deserto, il porto franco libico, le carrette di mare, sopravvivenza da fantasmi di città - vengano sottaciuti. Tutt’altro. Torno a dire: ciò che manca in questo tragitto (anche esistenziale) Africa-Italia andata e ritorno, sono le strizzatine d’occhio al pietismo, l’affanno del luogo comune, la compassione distratta, che albergano spesso altrove.
“Destinazione Freetown” è un racconto a fumetti elegante, che apre ad ampi squarci di speranza, senza impantanarsi nella retorica, nel già visto, nello scontato (è giusto, per esempio, che un infermiere - anche se africano, soprattutto se africano - alla fine riesca a fare l’infermiere, nella sua terra, tra la sua gente). La prefazione al libro è di Cecilia Strada (Presidente di Emergency) che scrive, fra l’altro, non senza una punta di sacrosanta polemica:
“Kalhid viaggia contromano rispetto alla nostra idea (o al nostro stereotipo?) di viaggio migratorio. Un viaggio di ritorno, terribile quanto era stato quello di andata (…) Un viaggio che passa attraverso la miseria e la disperazione dei luoghi che la rotta dei migranti tocca. Ma che passa attraverso delle oasi di bellezza, serenità, efficienza. Sono i nostri ospedali, gli ospedali che Emergency ha costruito in Africa portando l’eccellenza in un continente abituato ad essere sommerso dagli scarti dei nostri vestiti, dei nostri computer, delle medicine scadute spacciate per aiuti umanitari e sugli scarti delle nostre pattumiere tossiche”.
Delle volte anche un fumetto può venirci utile (indispensabile?) per gettare uno sguardo sulla realtà dal suo lato più vero, per confrontarci con quello che – spesso – i telegiornali non raccontano o raccontano (ahiloro) con molta meno poesia.
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