Diario di guerra di un caduto sul Carso. 9 ottobre 1916
- Autore: Antonio Poli
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2015
“Soldato Antonio Poli 89° Fanteria, 11a Compagnia, 3° Battaglione, 3° Plotone 12a Scuadra (sic). Al Sig. Antonio Barsanti Borgo a Mozzano per Corsagna (prov. di Lucca). In caso di mia morte prego che il contenuto di questo e partecipazione sia fatta al sopra nominato il quale farà opera meritoria a consegnare e partecipare ciò alla mia famiglia”.
Oggi quel “contenuto” è il testo del breve Diario di guerra di un caduto sul Carso. 9 ottobre 1916 (100 pagine) pubblicato dalla casa editrice indipendente lucchese Tralerighe Libri, di Andrea Giannasi, nel 2015, a cento anni dalla fine del primo conflitto mondiale, nel quale sono morti oltre 650mila soldati come il fante Antonio Poli, mugnaio di Corsagna, frazione elevata di un comune della media valle del Serchio, nell’estrema Toscana settentrionale.
L’immagine è ritratta in copertina: un militare in divisa, di aspetto più giovane dei suoi trentuno anni d’età, volto regolare, grandi occhi, baffetti curati con le punte all’insù, vecchio stile. Marito, padre e nonno (in questo caso senza provare le gioie dell’esperienza). Anche bisnonno, in particolare di Grazia Lucchesi, attratta fin da bambina dalla scatola di legno che la nonna conservava sopra l’armadio della camera da letto. Ogni volta che da nipote curiosa chiedeva con insistenza di poter vedere cosa contenesse, veniva accontentata.
“Ci sedevamo sul letto, l’apriva e ne estraeva una sacchetta di cotone color verde militare, tagliata in alto da una scheggia di granata e macchiata di sangue”.
Custodiva oggetti semplici. Un paio di forbici, un piccolo orologio da taschino, un apriscatole, cartoline postali, immagini di Madonne e un piccolo memoriale di guerra, in cui il bisnonno aveva annotato episodi al fronte.
Era tenero riascoltare la storia del per sempre trentunenne Antonio. La nuora raccontava di quel suocero sfortunato morto sul Carso, che non aveva mai conosciuto e di quel marito, Sabatino (il nonno di Grazia), già orfano di madre ad appena due anni e un anno dopo anche di padre. Gli oggetti erano gli unici ricordi che aveva del babbo.
Il legame con la memoria di Antonio Poli è maturato col tempo e ha condotto alla decisione di “fare uscire” dalla scatola quelle note, datate tra il luglio e fine di settembre 1916 e vergate dal soldato con un lapis violetto, in calligrafia alcuni momenti chiara altri frettolosa, per raccontare ai familiari la sua importante esperienza di guerra, combattuta in prima linea e con coraggio, sull’Altopiano di Asiago, poi sul Carso. A casa aveva lasciato tre figli piccoli e l’anno prima era rimasto vedovo di moglie, morta di parto.
Nulla è stato modificato, il diario viene riproposto com’è stato scritto: poche pagine dalle quali non affiorano mai stati d’animo negativi, di disperazione e di risentimento. È conciso, diretto, non troppo sgrammaticato. Omette considerazioni e opinioni, tantomeno sulla guerra e sulla condizione dei soldati. Riporta solo fatti, eventi, le avversità, il sole, le corvè da assolvere, il tempo perso, i bombardamenti, qualche assalto e il bilancio asciutto dei feriti e caduti.
"Giungiamo in trincea dopo un 15 ho 20 minuti ci viene dato l’avanti eravamo in 10 appena usciti abbiamo avuto in mano 5 austriaci prigionieri: seguitammo al grido di Savoia, varcato il reticolato già sfasciato dalle nostre bombarde sopra la trincea nemica fu un attimo; avemmo fra noi 5 ho 6 feriti, ma in si pochi e mentre avanzano i nostri compagni facciamo prigionieri in totale di 362 più qualcuno dopo. Avanziamo così in 3 chilometri circa e teniamo fino a ore 18 dopo di che siamo costretti a ripiegare nella nostra trincea per il numero soverchiante nemico, e non ci giungono in tempo i rinforzi: per timore di un accerchiamento ci ritiriamo sotto una fitta grandine di proiettili ma avendo altro che pochi feriti leggieri. In tutta la giornata 4 morti e un 50 feriti fra i quali un 15 gravi. Durante la notte abbiamo avuto 3 Contrattacchi falliti per il nemico".
Nella III Armata Antonio Poli combatté nel Triestino a Doberdò con l’89º Reggimento Fanteria Salerno, unità decimata dai continui attacchi tra il maggio 1916 e l’ottobre 1917 e per tre volte ricostituita con nuovi rincalzi. Il fante lucchese arrivò in linea a luglio, partecipando a durissimi scontri. Suo malgrado, fu tra i protagonisti della seconda distruzione dell’89° Reggimento, cadendo il 9 ottobre del 1916, all’inizio dell’ottava battaglia dell’Isonzo, colpito in petto da una scheggia di granata, nel corso di azioni che provocarono pesanti perdite, tanto agli italiani all’attacco che agli austroungarici in difesa, ma non portarono ad alcun risultato sul campo.
Grazie a un compaesano barelliere, Giulivo Pieroni, il corpo di Antonio fu recuperato e sepolto a Ferleti, paesino sul Carso. Riesumato dopo sette anni, raggiunse la stazione di Borgo a Mozzano, accompagnato da una ghirlanda di garofani composta dalle Signorine della Scuola Normale di Udine.
Sempre a Pieroni si deve la custodia e consegna alla famiglia della sacchetta e dei materiali, in una scatola di legno che aveva contenuto l’occorrente per fare la barba ai ricoverati degli ospedali da campo.
“Il diario di guerra di Antonio Poli si legge in meno di un’ora, ma lascia dentro qualcosa che vale tutto il nostro tempo, anzi siamo noi ad essere in debito con lui. E siamo in debito anche con Grazia che ha deciso di condividere queste memorie del bisnonno che - pur facendo male - insegnano lezioni di vita importantissime”.
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