Dizionario della dissoluzione
- Autore: John Freeman
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2020
“C’è qualcosa di profondamente sbagliato nel mondo”.
È questa la premessa da cui muove Dizionario della dissoluzione di John Freeman (Black Coffee, 2020, traduzione di Leonardo Taiuti), saggio uscito recentemente per la fiorentina Black Coffee. Un incipit quanto mai limpido, con un messaggio netto, chiaro e preciso. Quasi un avvertimento per il lettore.
Tuttavia per parlare di questo libro conviene partire dalla fine, dall’ultimo lemma di questo dizionario. Alla voce Z di “Zygote” infatti l’autore scrive:
“Ho scritto questo libro, tra le altre cose, per orientarmi in un mondo in cui la retorica è stata sabotata da atti vandalici, e il mio scopo è individuare l’interruttore del linguaggio, premerlo e riaccendere le luci. Chiamatelo spirito, chiamatela anima, sta di fatto che dentro di noi c’è qualcosa di più grande del nostro io, e quest’entità si è tramutata in azione ed è entrata a far parte della società solo grazie al linguaggio. È e sarà sempre una questione di linguaggio. Sopravviviamo respirando ed esistiamo esprimendoci, comunicando – ossia trasformando il respiro in parole e frasi comprensibili agli altri. Questa nostra capacità è sotto attacco in tutto il mondo”.
In un’epoca di nazionalismi, di disuguaglianze, di emergenze ambientali, di tagli ai principali servizi per la comunità come l’istruzione o la sanità pubblica, Freeman cerca di ricostruire un lessico della cittadinanza attiva che ci invita ad agire contro l’individualismo esasperato che esalta il culto dell’Io contro quello del Noi, contro l’impero dei social media e della superficialità dell’informazione, contro l’apatia e l’indifferenza verso la politica ai quali i governi attuali ci stanno abituando in nome dell’uomo forte e solo al comando. L’intelaiatura di questo breve compendio di lessico civico ruota quindi attorno ad alcune parole-chiave: "Body" (corpo), "Decency" (decoro), "Fair" (giusto), "Giving" (dare), "Hope" (speranza), "Love" (amore), "Questions" (domande). Voci essenziali che hanno il compito di aiutarci ad alimentare la speranza di un futuro migliore, più giusto da consegnare alle prossime generazioni; e per farlo abbiamo quindi bisogno di recuperare il senso della comunità, di tornare ad abitare con il proprio corpo gli ambienti che contraddistinguono la socialità umana:
“Possiamo dare vita a una cultura pervasa dall’idea che il corpo sia anche un contenitore di gioia, che una delle più intense manifestazioni di gioia sia la resistenza. Perché sappiamo tutti che la felicità non si esprime in solitudine. Perfino chi non è credente farebbe fatica a negare il potere di questo sentimento, la forza dei corpi stretti gli uni agli altri nella gioia”.
Partendo dal presupposto che il linguaggio è il primo veicolo di socialità, il mezzo con il quale riusciamo a fissare la realtà e a interrogarla, il motore del dialogo con l’altro, Dizionario della dissoluzione si propone il nobile impegno di recuperare il valore perduto delle parole, oggi sempre più urlate ma private del loro valore intrinseco e profondo, di difenderlo dagli abusi cui è sottoposto ogni giorno dal potere costituito. Scrive infatti l’autore:
“Essere cittadini oggi significa anche vigilare sugli abusi perpetrati ai danni del linguaggio. Bisogna annotarli, raccontarli e opporvi resistenza, per mantenere le condizioni che garantiscono un trasferimento di speranza. Una possibilità di cambiamento”.
Per assolvere a questo compito così importante, Freeman ci consegna quindi un breviario di educazione civica in 26 lemmi con un unico obiettivo: tornare a vivere una cittadinanza attiva, a intessere relazioni fra persone, ad abitare tutti insieme una società che oggi ci vuole invece diffidenti, egoisti e talvolta indifferenti distaccati da ciò che ci circonda. Per generare gioia e speranza, per produrre un cambiamento significativo al corso delle cose, “per decifrare il mondo e immaginarne uno nuovo” perciò non possiamo far altro che iniziare a batterci per una società che metta da parte l’Io e faccia spazio al Noi, alla collettività che si nutre e si basa sull’amore, sulla gentilezza e sul donarsi spontaneamente, che sappia fare uso del linguaggio in chiave inclusiva e non divisiva.
In breve, pertanto:
“L’atto più radicale e di speranza che si possa fare in quanto cittadini è amare profondamente, liberamente e in abbondanza, e magari far sì che chi riceve tutto quest’amore ne abbia in abbondanza per sé e sia costretto a donarlo a sua volta. È in questo modo che si costruisce una società fondata sul decoro, al di là delle leggi e della continua ricerca della giustizia. Abbiamo tutti delle riserve d’amore inutilizzate. Mettiamole a disposizione, ce n’è bisogno”.
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