Domenico Esposito, nato a Benevento nel 1986, vive a Cervinara (AV), dove è conosciuto anche con lo
pseudonimo di ‘Mito’. Ha sempre coltivato la vena di scrittore e poeta, cui crescendo si è aggiunta
la passione per la musica rap. Partecipa a numerosi concerti, si iscrive alla
facoltà di Storia presso l’Università Federico II di Napoli e scrive il suo primo
romanzo: ‘La città dei Matti’ pubblicato dalla casa editrice Mond&Editori. Conduce il programma
culturale ‘Polvere di Storia’ alla web radio ‘C.A.O.S.’, ispirata al movimento giovanile della Valle
Caudina nel quale è attivamente impegnato.
Domenico, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma
solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: ‘Mito’: un soprannome che hai scelto tu o l’ha scelto qualcuno per te? Raccontaci la storia del
tuo pseudonimo che è pure una bella responsabilità. Come si diventa un mito oggi secondo un
ragazzo dell’86 che decide di farsi conoscere proprio come ‘Mito’ e quali sono i tuoi di miti?
Sono stato io a sceglierlo, quando ho iniziato a fare rap. Mi serviva un nome d’arte per comporre
un gruppo (una crew, come diciamo nel nostro ambiente) e sentivo che tutti i rapper esordienti
imitavano qualcuno famoso, perdendo così originalità e stile, appunto perché volevano assomigliare
ai propri idoli. A me questo non andava bene, io di idoli non ne ho, ci sono soltanto degli artisti
che stimo (sia nella musica sia nella letteratura) e dai quali traggo insegnamenti, ma non ho nessun
mito, proprio perché non ho voluto rischiare di imitare qualcuno e quindi di non avere un mio stile
personale. Mi chiamo “Mito” proprio per questo: ognuno deve credere solo in se stesso e non avere
idoli. Mito è quindi idolo di se stesso.
- Seconda chiacchiera: Romolo, il protagonista del tuo romanzo, è alla continua ricerca di se
stesso. Guarda al passato per trovare spiegazioni alla sua attuale condizione di solitudine e
dà la colpa ai comportamenti superficiali di chi con lui ha avuto a che fare. Il personaggio di
Romolo potrebbe incarnare chiunque. Capita a tutti prima o poi di fare i conti con la propria
vita e coi rapporti con gli altri. Le tue esperienze sono analoghe a quelle di Romolo oppure hai
ancora fiducia nelle buone persone?
All’inizio del mio libro ringrazio tutti quelli che hanno creduto in me e che mi hanno sostenuto,
quindi direi che ho ancora fiducia almeno nella gente a me più cara che mi dimostra amore e affetto.
Romolo è un ragazzo timido che in passato è stato umiliato e che adesso è stato abbandonato. Egli
rappresenta il tipo di persona debole di carattere ma che non sopporta di esserlo. Rispetto a lui
sono stato più forte ma confesso che se non avessi scritto questo romanzo, forse quella forza non
l’avrei trovata nemmeno io. La questione però non riguarda tanto me, ma piuttosto le tante persone
che soffrono per la loro diversità che la società non ha ancora imparato ad accettare e che invece
di aiutare spesso scherniamo o alle quali restiamo addirittura indifferenti. Le vittime del bullismo,
per esempio: i professori, nelle scuole non fanno nulla se vedono un alunno più “debole” o magari
timido e introverso umiliato dai compagni più “forti”, anzi spesso, per divertimento ci si mettono
anche loro.
Questo è grave, una cosa incredibile forse, ma assolutamente reale. Il primo problema però siamo
noi che non facciamo niente, non sempre per cattiveria o per menefreghismo, ma semplicemente
perché non sappiamo assolutamente cosa fare e di questi forse sono io il primo.
- Terza chiacchiera: C’è un passaggio del libro in cui gli abitanti di questa fantomatica città
spiegano come i matti siano innocui rispetto a coloro che vengono considerati sani. Kerouac
scrive che l’unica gente possibile sono i pazzi, che bruciano come favolosi fuochi artificiali. Perché secondo te i ‘sani’ non riescono a bruciare? Cos’è che impedisce all’uomo di poter
essere esattamente e solo ciò che sente?
La razionalità, poiché essa a volte, paradossalmente, può portare all’irrazionalità. Questo è un
concetto che spiegherò dettagliatamente nel mio prossimo romanzo, intanto lasciami rispondere con
la citazione di una canzone di Edoardo Bennato quando dice “forse questo ti sembrerà strano, ma la
ragione ti ha un po’ preso la mano”.
Bisogna però stare attenti, molto attenti alla definizione di “pazzo” e su questo pongo l’accento più
volte nello scorrere del mio romanzo: esiste il pazzo che parla da solo e sbraita, il pazzo che vuole
vivere la vita fino in fondo per cercare di scoprirla, il pazzo che uccide, violenta, picchia e rapina
per divertimento e poi la definizione di pazzo più banale, nel senso di simpatico (di quest’ultima
definizione ho notato che se ne sta abusando molto, oggi è di moda definirsi pazzi per risultare
simpatici agli altri.) Purtroppo non ho ancora avuto il piacere di leggere Kerouac ma credo che
egli con quest’aforisma non intendesse i pazzi come coloro che sono realmente affetti da malattie
mentali, bensì quelli della seconda categoria che ho citato. La domanda che deve porsi, infatti, il
mio lettore è appunto “Romolo a quale di queste categorie appartiene?” e soprattutto “Io appartengo
a una di queste categorie”? I pazzi però per me sono quelli maltrattano le categorie più deboli e
indifese (chi insulta un infermo mentale o picchia un disabile per divertirsi), quelli per me sono i
veri pazzi, quelle per me sono le persone che nocciono alla società.
- Quarta chiacchiera: Oltre ai libri fai anche musica. Scrivi e canti pezzi rap che è un genere
che si fa spesso portatore di messaggi di protesta, del bisogno di esprimere il proprio
disappunto. Tu che hai appena ventiquattro anni cosa pensi dei tuoi coetanei e di chi
considera i giovani d’oggi come degli illusi senza possibilità e destinati a fallire?
Credo che i giovani d’oggi siano all’incirca gli stessi di ieri, ma magari avessero delle illusioni!
Significherebbe che almeno credono ancora in qualcosa, che hanno dei sogni da realizzare! Invece
sento dire da molti miei coetanei, soprattutto giovani di provincia, che la loro unica aspirazione
è emigrare. Non importa dove né a fare cosa, basta che se ne vanno. Questo mi rattrista molto
e l’emigrazione è una tematica che m’interessa parecchio. Nel romanzo un abitante della Città
dei Matti (fantomatica cittadina ispirata liberamente a Cervinara, il mio paese) dice al giovane
milanese che “tutti prima o poi se ne vanno da qui” perché chi non nasce matto, se non se ne va,
rischia di diventarlo. Come hai potuto vedere, io cerco sempre di essere impegnato nel sociale,
quando posso e la mia illusione e dei militanti del C.A.O.S. era di poter cambiare le cose, insieme
a tutti gli altri giovani della Valle Caudina…solo che quei giovani non erano così illusi appunto
e non ci appoggiarono e siamo rimasti in pochi ad avere degli ideali e a voler lottare. Seguire le
proprie aspirazioni e realizzare i propri sogni forse non è impossibile ma difficile e molto spesso
ci ritroviamo a fare i lavori che detestiamo di più, che non avremmo mai voluto fare e questo ci
risucchia tempo, energia e anche la forza di volontà per realizzarli, tuttavia non bisogna arrendersi.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il
mio invito, facendoti molti in bocca al lupo per il tuo futuro. Se vuoi lasciare un messaggio al
mondo intero, qui puoi farlo.
Crepi il lupo! Sono io a doverti ringraziare, soprattutto per l’invito a lasciare un messaggio al
mondo intero. Ne avrei molti da lasciare, tra cui quello di aiutarci gli uni con gli altri e di smetterla
di invidiarci o peggio ancora di essere cattivi per divertimento. Questo, sia chiaro, non lo dico
solo ai giovani, ma a tutti. Avrei tantissime altre cose da dire, ma preferisco esprimermi con i miei
romanzi e con le mie canzoni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Domenico Esposito "Mito"
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