Dopo la caduta di New York
- Autore: Manuel Cavenaghi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Gremese
- Anno di pubblicazione: 2019
C’era una volta in Italia il cinema di genere. I film uscivano sulla scia imitativa dei blockbusters americani. Lo spaghetti-western prospera sui canoni del western a stelle e strisce (e poi li trascende). L’horror e la fantascienza USA diventano adulti e la risposta italiana sono pellicole dello stesso tipo, pensate apposta per il botteghino. Prodotti medio-bassi, ma di buon appeal, girati da artigiani che sanno il fatto loro (Fulci, Margheriti, Lenzi, Martino, ecc.), prima che il reiterarsi di commediuole e cinema d’autore sancisca di fatto l’estinzione del fenomeno e dell’industria cinematografica made in Italy. Soffermarsi sulle pagine di 2019. Dopo la caduta di New York (Manuel Cavenaghi, Gremese, 2019), significa farsi un’idea di come – tra i Sessanta e gli Ottanta del Novecento - funzionavano le cose. Torno a dire: produttori-sceneggiatori-registi - discreto talento e faccia tosta idem - allettati dai titoli popolari di successo americani confidano nel bis tricolore. Un profluvio di titoli. Per limitarmi alla fantascienza e al post-atomico, specifici di questo saggio: Scontri stellari oltre la quinta dimensione, Ecce Homo. I sopravvissuti, La città dell’ultima paura, Rats. Notte di terrore, e poi – appunto - 2019. Dopo la caduta di New York, per Manuel Cavenaghi riassuntivo dei canoni del genere. Così Antonello Geleng che ne ha curato le scenografie, rivanga genesi e intenti dello scult movie:
Nasceva (Dopo la caduta di New York, ndr) come risposta italiana al film di Carpenter 1997: Fuga da New York. Avevamo un po’ di soggezione, perché dovevamo confrontarci con un capolavoro della Storia del cinema. In quel momento era agli albori il filone post-atomico e in Italia era scattata una competizione interna tra i cineasti per realizzare il progetto più eclatante.
A volerla raccontare fino in fondo, scritto in anticipo sul film di John Carpenter circolava già un soggetto per il film, ma:
al produttore sembrò un’idea troppo rischiosa, proprio perché originale. Solo dopo il successo di Carpenter quella stessa idea non sembrò più una follia. Il nostro destino, insomma, è la ripetizione del già noto.
Parole che, tra le righe, ribadiscono il modus operandi dell’epoca.
Messa ancor più in soldoni, le ragioni del successo di ...Dopo la caduta di New York si riconducono, anzi tutto, al mestiere di Sergio Martino. Capace di governare una sceneggiatura affastellato di topoi del genere e dei generi popolari: cavalli e astronavi, auto corazzate e moto idem, cyborg, guerrieri vetero-medievali, uomini-scimmia e uomini divoratori di topi. Sullo sfondo di una New York barbara e futuristica al contempo, ricostruita ad hoc per la visibilia, dal summenzionato Geleng. Gli esiti artistici non saranno da Oscar, ma 2019. Dopo la caduta di New York può segnalarsi a buon diritto tra i film-emblema di una stagione cinematografica e, perché no, anche sociale, irripetibili (a causa della guerra fredda negli anni Ottanta si conviveva con la paura della bomba atomica). Attraverso interviste, analisi e contributi pubblicistici dell’epoca, il saggio approfondisce retroscena e contenuti del film, con succosi quanto apprezzabili sconfinamenti in anni, ambiti e pellicole similari. Uscito per la collana “I cult del Grande Cinema Popolare” di Gremese, il libro è peraltro scritto ottimamente e corredato da numerose foto in b/n e a colori.
2019. Dopo la caduta di New York di Sergio Martino
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