L’articolo propone un’analisi delle origini di Ėduard Limonov come scrittore ribelle e attivista politico controverso. La conoscenza delle opinioni e della vita di questo poeta e romanziere russo può avere un’importanza non trascurabile nella comprensione di alcuni fenomeni della nostra epoca.
“Vivere senza essere amati da nessuno”, scriveva Elsa Morante (1912-1985) in Aracoeli (1982), è “la più nera infelicità terrestre”.
Nello stesso romanzo, l’autrice meditava:
Nella fanciullezza, però, ogni esperienza, per quanto nera, si lascia credere transitoria. E nessuna fanciullezza darebbe fede a un oroscopo che le dicesse: la tua sorte costante e definitiva sarà di vivere senza l’amore. Forse non è l’amore un elemento naturale della sostanza vivente? Gratuito? Ovunque distribuito, e necessario? Non è, insieme alla morte, promesso dalla nascita a tutti gli animali, compresi quelli brutti?
Molti giovani, oggi, pensano l’esatto contrario, e si ritengono condannati a una solitudine eterna. La rivoluzione sessuale del ’68, che si presentò come un sovvertimento volto a rendere i giovani del mondo “soggetti sociali”, e si manifestò sotto le apparenze di una massa colorata e varia, unita solo dal comune principio di contestazione dell’autorità, nacque negli Stati Uniti a metà degli anni Sessanta e si diffuse in Europa raggiungendo il suo apice col Maggio francese. Da allora la rivoluzione dei costumi è stata continua e progressiva, una serie di moti ideologici i cui effetti sono emersi nel corso dei decenni.
Nei fatti, alcuni critici della modernità osservano che al sesso è stata data una rilevanza mai avuta prima: è avvenuta una sessualizzazione di ogni ambito della vita, ma ad essa non è corrisposto un aumento dei rapporti sessuali, con la conseguente crescita del senso di frustrazione e di rabbia che si riscontra in una preoccupate fascia di giovani maschi insoddisfatti.
Il cambiamento sociale che ha investito il blocco occidentale dalla fine della Seconda guerra mondiale è stato in massima parte l’esportazione del cosiddetto “sogno americano”: la promessa della realizzazione del singolo attraverso traguardi e glorie strabilianti, trionfi lavorativi, sportivi, ma anche sessuali che il cinema a stelle e strisce ha propinato come mete di una vita soddisfacente e degna di essere vissuta. La sessualizzazione delle masse è stata ed è ancora un’occasione eccezionale per il capitalismo che, sempre a giudizio dei critici della rivoluzione, è infine il vero agitatore e l’origine della rivoluzione sessuale.
L’esposizione a richiami sessuali continua ad aumentare, ma non soddisfa in tutti il bisogno che essa stessa crea. Le radici del sogno americano affondano anche nel calvinismo: il successo nella vita ruota attorno a una visione del mondo in cui gli esseri umani sono divisi in dannati e salvati, poiché i segni della salvezza o della dannazione si riconoscono nel successo degli uomini nelle loro vite.
Nel suo romanzo Estensione del dominio della lotta (1994), Houellebecq introduce questa osservazione:
Come il liberalismo economico incontrollato, e per ragioni analoghe, così il liberalismo sessuale produce fenomeni di depauperamento assoluto. Taluni fanno l’amore ogni giorno; altri lo fanno cinque o sei volte in tutta la vita, oppure mai. Taluni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. È ciò che viene chiamato “legge del mercato”. In un sistema economico dove il licenziamento sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare un posto. In un sistema sessuale dove l’adulterio sia proibito, tutti riescono più o meno a trovare il proprio compagno di talamo. In situazione economica perfettamente liberale, c’è chi accumula fortune considerevoli; altri marciscono nella disoccupazione e nella miseria. In situazione sessuale perfettamente liberale, c’è chi ha una vita erotica varia ed eccitante; altri sono ridotti alla masturbazione e alla solitudine. Il liberalismo economico è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società. Altrettanto, il liberalismo sessuale è l’estensione del dominio della lotta, la sua estensione a tutte le età della vita e a tutte le classi della società.
Per comprendere Ėduard Veniaminovič Savenko (1943-2020), in arte Ėduard Limonov, come scrittore e poeta bisogna partire da questo genere di riflessioni.
Chi era Ėduard Limonov
Ėduard Limonov nacque nella città russa di Dzeržinsk nel 1943, poi la sua famiglia si trasferì a Charkiv. Nel 1967, diventato un ragazzaccio turbolento con aspirazioni letterarie, arrivò a Mosca, ma non la trovò congeniale ai suoi desideri: così nel 1974 andò a vivere a New York. Sin da giovanissimo Limonov aveva un pensiero fisso: il sogno della gloria come artista e l’appagamento del suo appetito sessuale, che in lui tendevano a fondersi in un ideale di bella vita.
Fuggì negli Stati Uniti perché il mito statunitense aveva attecchito in lui; la propaganda capitalista era già penetrata nell’Unione Sovietica, diffondendo l’immagine del socialismo come sistema antimeritocratico e socializzazione della miseria.
Forse anche Limonov da ragazzo credeva che lo stato sovietico "fingesse" di pagare decentemente i lavoratori e che quindi fosse giusto fingere di lavorare o darsi direttamente al teppismo, come fece lui.
In America Eduard si svegliò poi sudato dal sogno statunitense: nessun successo immediato, niente belle donne per chi non è ricco... e così meditò la sua vendetta trasformandosi in una tarma che rode le travi del cosiddetto Occidente liberale e progressista. Tra sé meditava:
I progressisti si pavoneggiano come difensori degli ultimi, ma in realtà gli piacciono i vincenti: per questo perderanno, travolti dalla rivolta dei falliti.
Da qui la sua decisione di mettersi alla testa dell’esercito dei falliti del mondo per arrivare alla sua personale realizzazione artistica e politica, un ruolo di agitatore da svolgere a fini opportunistici, ma connaturato alla sua concezione della vita come lotta per sopravvivere (lezione appresa soprattutto durante il suo soggiorno newyorkese).
Limonov non si distingue per le sue effettive capacità di scrittura, ma per la sua spregiudicatezza e le sue provocazioni; la traduttrice Marina Sorina scrive:
Eduard Limonov: questo nome appena un anno fa non avrebbe provocato in Italia alcuna reazione. In Russia, invece, chi ama la lettura lo conosce. Anche chi non ama leggere, ma segue la politica, ne ha sentito parlare.
In effetti dobbiamo costatare che se un autore che ha iniziato a scrivere negli anni Sessanta, attualmente, è più conosciuto rispetto a decenni fa è perché è stato un precursore in alcune analisi sociali e politiche.
L’attivismo politico di Ėduard Limonov
Dagli anni 2000 ci si interroga sulla comparsa di “mutanti ideologici” che sintetizzano e superano le ideologie novecentesche, ma già durante gli anni Ottanta Limonov desiderava amalgamare punk e intellettuali di varia estrazione (perlopiù provenienti da partitini senza speranza) per formare dei gruppi paramilitari con cui tentare dei colpi di stato. Il 1° maggio del 1993 Eduard costituì in Russia il Partito Nazional Bolscevico, messo fuorilegge nel 2007 e quindi confluito nel movimento politico d’opposizione L’Altra Russia.
Manifesto dell’“homo violentus” e documento autobiografico esemplare dello scrittore russo è il suo Diario di un fallito, redatto intorno al 1977 e pubblicato nel 1982. In questa raccolta di appunti è riassunto il vitalismo dell’autore, le sue ossessioni e i suoi obiettivi di vita. Allora si considerava uno “scrittore dilettante”, un “cazzone di trentaquattro anni”, un “giovane poeta provinciale” che piange leggendo l’epistolario di Che Guevara.
A differenza di questi, però, Limonov rifiutava risolutamente la lotta di classe come strategia per salvare il mondo: era infatti convinto che fosse sciocco credere che gli oppressi, solo perché tali, fossero capaci di porsi alla guida di una società migliore.
Alla solitudine e alla scarsa disponibilità di splendide modelle con cui intrecciare relazioni scandalose, lo scrittore russo rispondeva accettando la sessualità in tutte le forme che gli si presentavano: omosessualità, sadomasochismo, prostituzione, rapporti con individui che non giudicava neppure attraenti. Del resto Limonov non è mai stato né razzista, né un odiatore degli omosessuali.
Al di là di questa smania di corpi, però, l’ideale massimo di Limonov non è mai il sesso, né il successo letterario in sé, ma sempre il sovvertimento dell’ordine politico, come annotava:
Col cazzo che riuscirete a fare di me un signor scrittore. Se per caso guadagno un milione, mi comprerò le armi per organizzare un colpo di stato da qualche parte.
E ancora aggiungeva:
Questo sì che è un lavoro: rovesciare i governi. Raffinato, eccitante. E fai un sacco di quattrini.
Limonov si rivolse perciò a tutti i minuscoli e agguerriti gruppi di reduci che rifiutarono il riflusso nel privato proprio degli anni Ottanta, il poeta amava “l’odore dei piccoli giornali estremisti che incitano a distruggere e a non costruire nulla”, i comizi semideserti:
Sì, mi schiero con il male, con i giornali stampati con il ciclostile, con i movimenti e i partiti senza speranza. Assolutamente senza. Mi piacciono i comizi frequentati da due-tre persone, la musica cacofonica di musicisti mancati, con le facce segnate dal fallimento permanente. Continuate a suonare, carissimi...
Così Limonov aspirava a scavalcare, o addirittura a cavalcare, l’atomizzazione della società da cui tuttora il progressismo spera di creare il vuoto necessario per estinguere ogni forma di resistenza.
Il rifiuto del progressismo e dello stile di vita statunitense si manifestò in Eduard col suo convinto avvicinamento al patriottismo russo e alla fede nella Terza Roma come potenza conquistatrice, destinata a espandersi anche oltre i territori dell’Unione Sovietica e dell’Impero Zarista, e quindi a far crollare il progetto dell’egemonia globale di Washington.
Considerato tra i maggiori scrittori russi contemporanei, in più occasioni Limonov ha dichiarato di non amare i grandi romanzieri russi; egli faceva parte di una nuova generazione di letterati che si ispiravano piuttosto al cinema e alla cultura pop del cosiddetto Occidente (tra tali artisti possiamo annoverare anche Aleksej Ivanov).
La fama di Limonov
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Lo scrittore russo Nikolaj Gogol, in Anime morte (1842), descrive la senilità con queste parole:
È minacciosa, terribile la vecchiaia che vi aspetta, e non restituisce mai nulla! La tomba è più caritatevole di lei, sulla tomba si legge: “Qui è sepolto un uomo!” ma non si legge nulla sui freddi, insensibili tratti dell’inumana vecchiaia.
Ed era questo tipo di invecchiamento a spaventare Limonov. Nel Diario di un fallito si legge:
“Mai e poi mai pubblicheremo il tuo libro sovversivo, col cazzo, non ti solleverai mai dalla merda e dal fango. Creperai da operaio sottopagato, che ogni mattina si alza per andare a Long Island, berretto in testa, pensieroso...”
Tra le sue volontà il narratore esprimeva anche quella di morire da combattente:
“Datemi una fine violenta in dono alla mia vita. Fate scorrere il mio sangue, uccidetemi, torturatemi a morte, tagliatemi a pezzi! Non può esistere Limonov vecchio! Fatelo nei prossimi anni. Preferisco che sia fatto di aprile o di maggio!”
Fu forse ricercando tale destino che lo scrittore cercò di architettare un colpo di stato in Kazakistan, piano che gli costò l’arresto in Russia nell’aprile del 2001. Nel 2014, con i disordini in Ucraina, Limonov (come tutta l’opposizione politica russa di un qualche peso) si schierò a favore della linea di politica estera di Putin.
Il progressismo occidentale, accecato dall’antiputinismo, con logica machiavellica, arriva a cercare ovunque tra i nemici del governo della Federazione Russa dei presunti “eroi” da celebrare: lo ha fatto con i terroristi musulmani ceceni, lo ha fatto con i neonazisti ucraini, lo ha fatto con i neonazisti bielorussi, lo ha fatto con il nazionalista e razzista Aleksej Naval’nyj e ha provato a farlo anche con Limonov.
Tuttavia, i progressisti non si sono resi conto subito che Limonov era semplicemente un estremista propugnatore della rinascita della potenza russa e quando lo hanno scoperto hanno cercato di correggere il tiro bollandolo come “un Putin all’ennesima potenza” e “un ribelle di regime”, ma ciò non ha fatto che contribuire alla crescita della fama del romanziere, il quale, se non è riuscito a morire in battaglia, si è trovato invece a raggiungere il massimo della notorietà poco prima di spegnersi.
Limonov e il Donbass
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Già nel Diario di un fallito i nazionalisti ucraini sono canzonati in questi termini:
Ricordo le fattorie sommerse dal fiore dei ciliegi, circondate dai campi di grano saraceno. Vi è mai capitato di attraversare un campo di grano saraceno? E come ci si può intendere, se voi non avete mai attraversato un campo di grano saraceno seduti su un carro? Dalla vegetazione rigogliosa che circonda le fattorie uscivano i vecchi coi grandi cappelli di paglia, ci invitavano a entrare nelle loro case fresche e pulite, offrivano da mangiare del miele e del pane caldo. Ho vissuto tutto quel che fa impazzire gli ormai canuti nazionalisti ucraini qua, da questo lato dell’oceano, quel che li fa rigirare nel letto mille volte ogni notte. “L’Ucraina non è morta”, e non morirà mai, finché persone come mister Savenko (il mio vero cognome) fanno casini su questa terra. E comunque non sono un nazionalista ucraino”.
Nel 1977 il poeta punk non avrebbe nemmeno potuto immaginare lo smembramento dell’URSS, avvenimento che lo traumatizzò e lo spinse a prendere le armi.
Se non fosse scomparso il 17 marzo del 2020, Limonov sarebbe quasi sicuramente tornato nel Donbass coi “filorussi”, forse al fianco di Steven Seagal in un’apoteosi dell’epica statunitense da film d’azione di serie B improvvisamente rivoltatasi contro la stessa “civiltà” che l’ha originata. O forse il romanziere russo avrebbe tenuto discorsi ai volontari come un nuovo D’Annunzio.
Nei territori delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, Limonov ci era già stato più volte dal 2014, e durante il giro di presentazioni di libri che tenne in Italia nel 2019 ammise apertamente di aver “litigato” con entrambi i governi. Questa allusione fa riferimento, con tutta probabilità, all’allontanamento dei battaglioni nazionalbolscevichi voluto dai governi delle repubbliche popolari nel 2016.
Quella di Limonov è una biografia che aiuta più di quanto si possa credere a capire alcune forme di ribellione dei nostri tempi, di cui egli fu senza dubbio un precursore. Spesso liquidate come anarcoidi o condannate a restare imprigionate in cerchie ristrette, queste forme di rivolta antiatlantista sono il risultato di processi culturali su cui sarebbe necessario interrogarsi maggiormente e non sottovalutare: non è da escludere che delle guide carismatiche riescano a porsi a capo delle “rivolte dei falliti”. Non sarebbe poi stupefacente se, a dispetto delle sue effettive capacità come narratore e verseggiatore, Limonov assumesse nei futuri studi sulla letteratura dei nostri anni un peso superiore a quanto molti oggi possano credere.
Gli aforismi di Ėduard Limonov
Per concludere proponiamo alcune frasi pronunciate da Limonov nel 2019, che chi scrive ha potuto ascoltare personalmente tramite la mediazione offerta ai presenti da un interprete.
Eccole radunate come degli inquietanti aforismi:
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“Io ero una persona adulta quando sono entrato in carcere, ne sono uscito più intelligente. Ho avuto la possibilità di vivere insieme a persone semplici, amici del popolo russo, sono stato ben accolto da loro. Comunque lo raccomando anche ai giovani!”
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“Sono stato di recente in Mongolia ed è stato molto interessante. Può succedere qualcosa lì, e in altri vasti paesi dell’Asia centrale.”
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“Non ci sarà mai nessuno scontro tra i russi e i cinesi, siamo buoni amici. Molto vicini. Combatteremo fianco a fianco. I cinesi sono un grande esempio di saggezza di governo, gli europei lo impareranno presto.”
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“La Russia in futuro dovrà combattere una guerra più grande di quella nel Donbass, sarà una guerra interna, guerra di sopravvivenza contro l’Islam.”
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“La missione storica dei popoli russi è riconquistare Costantinopoli: il nostro progetto greco. Arriveremo dal Caucaso e dai Balcani insieme. Il tempo non ha importanza, la Turchia soccomberà.”
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“A chi vuole organizzare una sommossa urbana consiglio di garantirsi subito il controllo dei centri commerciali, lì c’è tutto il necessario per portare avanti una rivolta: difese, cibo...”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ėduard Limonov: ritratto di un provocatore dei nostri giorni
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