Elogio della follia
- Autore: Erasmo da Rotterdam
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Feltrinelli
Il proscenio ospita un unico protagonista. Erasmo da Rotterdam gli conferisce subito volto e vita: è la Follia che racconta se stessa, in Elogio della follia, testo straordinario ricco di riflessioni lucide e taglienti come lame.
Già dall’incipit, il monologo promette scintille:
“Qualsiasi cosa siano soliti dire di me i mortali, e infatti non sono così sciocca da non sapere quanto si parli male della follia anche da parte dei più folli, tuttavia sono io, io sola, ve lo posso garantire, che ho il dono di riuscire a rallegrare gli dèi e gli uomini”.
La Follia scioglie subito uno dei nodi più controversi (la ragione dell’elogio) e spiega che ha deciso di dedicarsi a questa autocelebrazione perché nessuno si conosce meglio di se stesso e per colmare il vuoto generato dall’ingratitudine dei mortali, che “godono dei miei benefici, ma nessuno mai, in tanti secoli, si è trovato che abbia espresso la sua gratitudine con un discorso in lode alla Follia”. Suggerisce un moto di tenerezza la Follia in questo passaggio, dal quale si evince una sorta di disagio e la sensazione che l’elogio possa assumere la forma dell’apologia – percezione smentita ai successivi giri di pagine.
La Follia racconta infatti che, così come tutti i beni, anche la vita stessa è un suo dono:
“Ma andiamo, quale uomo vorrebbe porgere il collo al capestro del matrimonio se facesse quello che consigliano questi saggi, ovvero ne considerasse, prima, gli svantaggi? O quale donna prenderebbe marito se conoscesse o pensasse ai pericolosi travagli del parto, e ai fastidi che comporta l’allevare i figli?”
La Follia governa le stagioni dell’esistenza umana - dall’infanzia alla giovinezza alla vecchiaia - allieta amicizie e matrimoni, nonché disciplina la società e le attività pubbliche.
Figlia del dio Pluto e della ninfa Neotete, la Follia gode a suo dire di un buon carattere che la induce a sorvolare sugli sgarbi subìti da uomini e dèi.
Nel suo lungo monologo, ha una parola per tutti: detrattori - comprensivi di tutte le categorie di sapienti - regnanti, cortigiani, vescovi, cardinali, sommi pontefici. Neppure la fede, la religione e la felicità sono esenti dal suo occhio impietoso.
“Ho brevemente passato in rassegna questi argomenti per dimostrare che nessun mortale può vivere felice se non è iniziato ai miei misteri e se io non sto dalla sua parte”.
La Follia si rivela infine così profondamente terrena da restare imbrigliata negli stessi vizi capitali che incatenano noi umani a terra.
Elogio della Follia
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Perché leggiamo i classici? E’ presto detto: per lo stupore di ritrovare in loro la nostra vita di ogni giorno. Volendoci cimentare anche noi nell’eloquenza e nel parlar forbito, potremmo sentenziare che “Gran perdita subisce lo sciocco che confina il passato nel novero delle cose stantie, da eliminare e dimenticare”. Non sembri inappropriata la sottile ironia che pervade la frase: è un semplice omaggio allo stile e alla personalità di un grande uomo, Erasmo da Rotterdam, che, pur essendo profondamente cristiano, oltre che convinto irenista, con i suoi strali diretti contro gli eccessi della chiesa e degli ecclesiastici aprì, in pratica, la strada alla riforma luterana, malgrado le posizioni divergenti e le successive tensioni e diatribe con lo stesso Martin Lutero.
L’arma di Erasmo per combattere la dissolutezza e la presunzione della chiesa non fu la rigidità luterana, ma, giustappunto, l’ironia. Quale altro approccio, in effetti, avrebbe potuto scegliere un irenista, un uomo di pace come lui? E della ricerca della pace è tutto intessuto questo suo scritto: non solo della pace intesa come mancanza di guerra, pratica bollata come la peggiore deviazione della mente umana, ma anche e soprattutto della pace con sé stessi, della tranquillità interiore e della contentezza del proprio stato. Come raggiungere una tale condizione? Ma con la follia, è ovvio.
Chi, infatti, troverebbe la forza per sopportare questa assurda vita, e per esserne perfino contento, se non utilizzasse una buona dose di follia? Chi si azzarderebbe a legarsi per la vita e generare figli, se non fosse la follia a guidare le sue azioni? Prova ne sia che i cosiddetti saggi sono cupi, tristi: la conoscenza non fa che generare scontento, poiché non riesce a spiegare il senso dell’esistenza, e l’assenza di risposte aumenta quella sensazione di frustrazione che solo la follia può scacciare.
Ma non sta all’autore o a un semplice oratore comporre l’elogio della follia: no, solo la stessa follia potrebbe essere folle a tal punto da tessere le proprie lodi senza l’appoggio di nessuno. Per meglio dire, con l’unico appoggio della propria eloquenza e di decine e decine di esempi da portare a un non meglio identificato uditorio. E, ovviamente, in tono ironico, scherzoso e allegro, anche quando si tratta di distruggere intere categorie di inconsapevoli folli a colpi di taglienti parole.
L’elogio ha la forma di un lungo monologo, che potrebbe senza grandi difficoltà essere portato su di un palco da un’attrice esperta (o da un attore, perché no? La follia non ha certo sesso), nel quale la stessa follia si presenta attraverso il racconto delle gesta di chi da lei viene colpito, si tratti di uomini comuni o di particolari categorie: la principale è sicuramente, come si è già anticipato, il clero. Del resto, un irenista come Erasmo non avrebbe mai potuto sopportare né giustificare l’atteggiamento di Giulio II, quel Papa guerriero che egli criticherà apertamente dopo la sua morte, in un dialogo satirico con San Pietro. Ma non solo i guerrafondai si meritano gli strali della follia: ugualmente si guadagna il suo biasimo chi accumula inutilmente ricchezze, chi cerca il senso della vita nella scienza, chi eccede nello studio e nella sete di conoscenza. Per ben altri scopi la protagonista vuole essere utilizzata: è chi gode della sottile incoscienza dell’amore, della contentezza e della semplicità che si aggiudica le sue lodi. E noi, che tipo di folli siamo?