Quattro versi e soltanto sedici parole per dire Estate; non è il compito delle vacanze di uno studente svogliato, ma il capolavoro di un grande poeta. Salvatore Quasimodo con poche frasi, nude e illuminate, ci consegna un folgorante ritratto della stagione estiva.
L’autore siciliano sembra replicare con estrema efficacia l’operazione svolta precedentemente da Ungaretti nella celeberrima Mattina, che è la poesia preferita degli studenti pigri ma anche il manifesto più autentico dell’Ermetismo.
Proprio come il componimento ungarettiano anche Estate di Salvatore Quasimodo è una poesia essenziale, telegrafica nella sua brevità, che però è capace di racchiudere un mondo intero e porgerlo intatto, nella sua luminosità abbagliante, davanti agli occhi del lettore.
Per descrivere l’atmosfera radiosa e pulsante della stagione estiva Quasimodo si serve di un simbolo che diventa parola assoluta: le cicale, proprio loro, quegli animaletti - spesso invisibili - che annunciano l’avvento dell’estate e ne sono anche la formidabile colonna sonora. Estate è dove sono le cicale, nascoste nel folto dell’erba, che con il loro frinire assordante ci danno alla testa, diventano un concerto che scandisce il battito del cuore. Quando le cicale accordano il loro canto ecco che iniziano i “giorni del sole”, fatti di quel giallo caldo e abbacinante fissato per la prima volta su tela da Cézanne e Van Gogh.
Tutto il resto è luce, e ce lo dice la poesia di Quasimodo con una splendida sintesi espressiva.
“Estate” di Salvatore Quasimodo: testo
Cicale, sorelle, nel sole
con voi mi nascondo
nel folto dei pioppi
e aspetto le stelle.
“Estate” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
Ciò che Salvatore Quasimodo esprime nei quattro versi perfettamente simmetrici di Estate è un sentimento di profonda comunione con la natura, una sorta di epifania.
Nell’incipit le cicale sono chiamate “sorelle”, proprio come nel Cantico delle Creature (Canticum o Laudes Creaturarum, Ndr) attribuito a San Francesco d’Assisi. Da qui si assiste a una forma di metamorfosi panica in cui il poeta immagina di confondersi con gli animali, quasi diventando un loro simile.
Il sentimento di fratellanza con il creato è una delle sensazioni più positive trasmessoci dalla ridente stagione estiva e Quasimodo lo rende manifesto nella sua poesia epigrafica.
La parola qui è spogliata del suo significato e ridotta a pura espressione, anzi, a “pura luce”, tutta racchiusa tra il bagliore accecante del sole e il riflesso pallido delle stelle che rilucono splendenti nelle lunghe sere estive (l’estate è infatti la stagione di Sirio, la stella più brillante del firmamento che illumina pure le notti senza luna, Ndr). D’estate la notte sfuma nel giorno e l’alba ha i riflessi perlacei di una conchiglia.
La poesia di Salvatore Quasimodo potrebbe essere riadattata per un interessante esercizio scolastico o un compito per le vacanze: “cari studenti, riuscite a descrivere l’estate in quattro versi?”
Sembra una richiesta semplice, in realtà richiede uno sforzo di sintesi e concentrazione notevole ed è un’utilissima palestra di scrittura, più efficace di un tema, perché insegna a non indugiare nella prolissità. Salvatore Quasimodo è riuscito a racchiudere l’essenza dell’estate in una manciata di parole, come se catturasse in pugno il bagliore di una lucciola.
Accogliamo la sua poesia come una sfida a fare altrettanto, a lasciarci guidare nella scrittura dalle sensazioni dell’estate: dai, proviamoci anche noi, provateci.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Estate” di Salvatore Quasimodo: un ritratto estivo in quattro versi
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