L’estate è rossa, come la bandiera comunista, nei versi del poeta ungherese Attila József. La sua lirica pare un paesaggio bucolico, un ritratto campestre, ma nel finale sfuma in una visione oscura, in un presagio di morte, che ricorda la poesia pascoliana.
Le luminose “pianure d’oro” dell’introduzione presto lasciano il posto a un’immagine fortemente simbolica: “la lama della falce”, emblema del Partito comunista in cui lo stesso autore militava con strenua convinzione politica. La falce e il martello erano uniti e sovrapposti nello stemma del Partito; il martello rappresentava gli operai, mentre la falce esprimeva il lavoro agricolo dei contadini, coloro che faticavano su quelle stesse pianure d’oro che venivano decantate nell’incipit della lirica.
Era uno dei “senza niente”, figlio di un operaio e di una lavandaia, cresciuto con la rabbia del poco, ma avvezzo ad aguzzare l’ingegno per trasformare ogni occasione in opportunità. Poeta anarchico e ribelle, Attila József si suicidò nel 1937; i suoi versi sono considerati dei capolavori immortali della letteratura ungherese.
Ufficialmente pare che József si fosse ucciso buttandosi sotto il treno alla stazione di Balatonszárszó; ma in molti non credono a questa tesi, anzi, sostengono che la sua fine sia stata violenta, non dovuta a un suicidio né a una distrazione fatale, ma decretata da motivi politici. Aveva soli trentadue anni e, nella sua vita, non si era mai rassegnato all’infelicità. I suoi versi sono attraversati da un’energia rivoluzionaria, dal fuoco vivo di una volontà imperiosa che non ha mai accettato di essere sopita o spenta tra fumi ardenti di braci ormai estinte.
Lo dimostra l’ Estate rossa di Attila József in cui le parole si intrecciano sino a divenire concetto, sino a divenire simbolo, nel trionfo di una bandiera e di un’esclamazione battagliera: “Compagni, miei”. No, dopotutto, Attila József non era morto da solo.
“Estate” di Attila József: testo
Pianura d’oro, ranuncoli, campo
Che ondeggia leggermente. Con argentea
Serenità fa tremolare il pioppo
Un venticello: si dondola il cielo.Viene la vespa, viene, annusa un poco,
Brontola e si dirige sulla rosa
Canina, che adirata si ritrae,
L’estate è rossa, ma gracile ancora.Ma sempre più crescono i bocci in fiore,
Ma sanguina, sonnecchia sulla spiaggia,
La fragola, le spigole van frusciando
Sulla fronda è accucciata la tempesta.Così si compie la mia estate, rapida.
Il vento corre sul carro infernale
Brontola il cielo, sfavilla di lampi,
Compagni miei, la lama della falce.
“Estate” di Attila József: analisi e commento
In apparenza Estate di Attila József ci sta narrando lo scompiglio provocato da un temporale estivo, la violenza dei lampi che squarciano il cielo funestando l’apparente calma del paesaggio. Solo nel finale appare chiaro che quello del poeta è, in verità, un canto di rivoluzione: la “mia” estate, afferma l’autore, puntualizzando, attraverso l’uso dell’aggettivo possessivo che si tratta di un paesaggio tutto interiore, di una sorta di “profezia privata”. L’estate è “rossa” come la bandiera comunista: il poeta non sta cantando la bellezza di un paesaggio, ma un credo politico.
L’estate di József sanguina, infine cova in sé una violenta tempesta che sembra capace di sovvertire l’ordine del mondo. Nell’impeto del temporale a trionfare è un simbolo: la bandiera con la falce, il rosso del Partito comunista. Quel simbolo ispira la ribellione di un intero popolo, come esemplifica quell’esortazione niente affatto casuale: “Compagni miei”.
La poesia di Attila József è intessuta di metafore e di similitudini che esprimono soprattutto un intenso sentimento di comunione con gli ultimi della terra, coloro che si battevano per conquistarsi un proprio diritto alla felicità. La rivendicazione di József è sotterranea a ogni suo verso, alimenta una contestazione per una società in cui non vedeva giustizia. Le sue poesie erano alimentate da sogni segreti, da ideali, ma soprattutto da una forma di generosità che poteva provenire solo da un cuore puro. “Compagni miei”, scrive nel finale di Estate: due parole capaci di scardinare l’ipocrisia imperante, Attila József rivendicava che la felicità non può essere privata se non è anche collettiva. Credeva nella poesia come forma di rivoluzione, József, persino il paesaggio ai suoi occhi si trasfigurava, mutava dinnanzi ai suoi occhi, sino a lasciar intravedere - confuso, ma vero - il suo sogno.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Estate”: la poesia rossa di Attila József
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