Chi è l’equorea creatura di Eugenio Montale? Il poeta ligure nella sua prima raccolta, Ossi di seppia edita da Piero Gobetti nel 1924, ci presenta una delle figure femminili più indimenticabili della sua poetica, la prima cui si rivolge direttamente con il “tu”: è Esterina, la protagonista di Falsetto.
Dietro questo nome si nascondeva la vera Esterina Rossi, era lei la tuffatrice di Montale, con cui il poeta intrattenne una corrispondenza epistolare a partire dal 1922.
All’epoca lei era alla soglia dei vent’anni e il poeta la osservava tuffarsi a volo d’angelo dal trampolino di Quarto dei Mille a Genova. In una lettera inviata alla comune amica Bianca Clerici la definiva come la “scugnizza genovese”:
Saluti alla cara scugnizza - possibilmente in genovese.
In seguito le avrebbe fatto dono della poesia a lei dedicata, Falsetto, ed Esterina, ormai diventata donna, l’avrebbe conservata per tutta la vita in una cornice nel suo salotto. Le prime edizioni di Falsetto, nella raccolta Ossi di seppia, esibivano chiaramente la dedica: “A Esterina Rossi”, in seguito, dopo l’edizione Einaudi del 1942, sarebbe stata rimossa. Il poeta l’aveva trasfigurata nell’arciera Diana, in un’immagine di salvezza che traduce la forza stessa del vivere, la pura energia vitale.
L’Esterina di Montale è l’eterna ragazza, per sempre giovane e con il futuro in pugno, che ci ricorda i vent’anni che non abbiamo più e che pure temevamo di raggiungere. Lei è l’equorea creatura che nell’acqua si “ritrova e rinnova”, pulsante di giovinezza, di voglia di vivere, di possibilità di futuro.
Negli anni Eugenio Montale avrebbe continuato a scrivere a Ester, detta “Esterina”, mantenendo vivo il legame con lei persino quando era ormai un poeta affermato. Nel tempo i silenzi si fanno più lunghi, la corrispondenza si interrompe e poi riprende, ma non cessa. Nelle prime lettere Eugenio, che si firmava Eusebius (il suo falsus nomen tratto dal Don Giovanni), aveva sedici anni, chiamava Esterina “intrepida campionessa”, “passo di gazzella”, “pavoncella” o “galletto di marzo” per la sua allegria primaverile.
Queste immagini scherzose e giocose ci restituiscono in tutta la sua vividezza l’equorea creatura, l’intangibile protagonista di Falsetto che sembra vivere sempre in bilico tra mondo immanente e mondo trascendente.
Scopriamo testo e analisi della poesia dedicata a Esterina, Falsetto.
“Falsetto” di Eugenio Montale: testo
Esterina, i vent’anni ti minacciano,
grigiorosea nube
che a poco a poco in sé ti chiude.
Ciò intendi e non paventi.
Sommersa ti vedremo
nella fumea che il vento
lacera o addensa, violento.
Poi dal fiotto di cenere uscirai
adusta più che mai,
proteso a un’avventura più lontana
l’intento viso che assembra
l’arciera Diana.
Salgono i venti autunni,
t’avviluppano andate primavere;
ecco per te rintocca
un presagio nell’elisie sfere.
Un suono non ti renda
qual d’incrinata brocca
percossa!; io prego sia
per te concerto ineffabile
di sonagliere.La dubbia dimane non t’impaura.
Leggiadra ti distendi
sullo scoglio lucente di sale
e al sole bruci le membra.
Ricordi la lucertola
ferma sul masso brullo;
te insidia giovinezza,
quella il lacciòlo d’erba del fanciullo.
L’acqua è la forza che ti tempra,
nell’acqua ti ritrovi e ti rinnovi:
noi ti pensiamo come un’alga, un ciottolo
come un’equorea creatura
che la salsedine non intacca
ma torna al lito più pura.Hai ben ragione tu!
Non turbare
di ubbie il sorridente presente.
La tua gaiezza impegna già il futuro
ed un crollar di spalle
dirocca i fortilizî
del tuo domani oscuro.
T’alzi e t’avanzi sul ponticello
esiguo, sopra il gorgo che stride:
il tuo profilo s’incide
contro uno sfondo di perla.
Esiti a sommo del tremulo asse,
poi ridi, e come spiccata da un vento
t’abbatti fra le braccia
del tuo divino amico che t’afferra.Ti guardiamo noi, della razza
di chi rimane a terra.
“Falsetto” di Eugenio Montale: analisi e commento
L’Esterina di Montale, minacciata dai vent’anni, quindi dal sopravanzare della soglia dell’età adulta, sembra vivere in un eterno presente. Nei versi si compie un’autentica metamorfosi della giovane in una divinità, avviene una fusione panica con il mare che il suo “divino amico”. Esterina diventa infine un’equorea creatura, che noi esseri umani - della “razza di chi rimane a terra” - possiamo soltanto guardare e ammirare. L’autore la paragona in una climax progressiva a un’alga, a un ciottolo (dunque cose inanimate che non sentono il male di vivere) e infine la mitizza trasfigurandola in divinità: l’equorea creatura. Lei rimane perennemente raffigurata nell’atto di tuffarsi, in bilico tra due mondi, sospesa al di là del tempo e dello spazio.
La poesia si apre con un’apostrofe: l’autore si rivolge direttamente a lei, a Esterina che appare “minacciata” (la connotazione è volutamente negativa) dall’incedere dell’età adulta e il tempo pare chiudersi su di lei come una “grigiorosea nube” nella quale gioia e dolore si mescolano, come suggerisce la contrapposizione dei colori. Sin dal principio la giovane viene paragonata a immagini divine o mitologiche: lei risorge dalle ceneri come l’araba fenice e poi appare come l’arciera Diana con il viso scolpito e proteso al futuro. Lei non sembra essere sottoposta all’azione corrosiva del tempo: la giovinezza splendente di Esterina vive solo nel presente, non contempla la vecchiaia né la morte (il presagio delle elisie sfere). Gli avvertimenti interposti nella poesia appartengono alla voce del poeta, non a quella della giovane che sembra vivere senza temere il futuro, “La dubbia dimane non t’impaura”, nel tempo eterno dell’estate. “Hai ben ragione tu!” conviene infine il poeta e da questo momento la sua voce tace, svaniscono gli avvertimenti angosciosi e le premonizioni, vengono descritte soltanto le azioni di lei che si imprimono anche nella mente del lettore come una visione duratura.
Infine è Esterina con la sua presenza quasi ultraterrena a dominare la scena e a prendere il sopravvento: dopo averla vista distesa sullo scoglio al sole come la lucertola evocata da Montale in Meriggiare pallido e assorto, ecco che torna ad appartenere al suo elemento, il mare, l’acqua che la tempra e la rinnova. Avvertiamo nel finale la scissione definitiva tra Esterina e il poeta: lei è immersa nel suo “eterno presente”, mentre Montale - e noi con lui - abitiamo un tempo altro, soggetto all’azione corrosiva e all’affanno. Esterina, l’equorea creatura, aderisce completamente alla forza vitale dell’esistenza. Quel suo tuffo dal trampolino, sospeso in una sorta di fermo-immagine mentre il suo profilo si incide netto sulla superficie perlacea del mare e poi, ecco, lei ride e spicca il volo lanciandosi nell’acqua, è un’epifania di giovinezza.
Immaginiamo Esterina così, eternamente sospesa sulla soglia dei suoi vent’anni, una promessa di vita che ancora deve realizzarsi, il suo nome conserva tutte le possibilità irradiate dal futuro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Falsetto” di Eugenio Montale: la poesia per Esterina, equorea creatura
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