Di Eugenio Montale si citano sempre le poesie più scolastiche, come Meriggiare pallido e assorto, I limoni, Spesso il male di vivere ho incontrato e l’immortale Ho sceso dandoti il braccio. C’è anche un’altra poesia tuttavia meritevole di attenzione. Viene spesso citata a brandelli, data la sua lunghezza, scomposta in estratti più brevi adattabili al mordi e fuggi costante di questa nostra epoca social.
Si intitola Dora Markus, ed è una della poesie più belle di Eugenio Montale. Parla di una donna, Dora, un’ebrea-austriaca perseguitata dal regime nazista. Dora viene ritratta in due momenti distanti e tuttavia cruciali della propria vita: giovinezza e vecchiaia.
Sullo sfondo della tragedia della guerra e delle persecuzioni razziali, Montale ci dona questo intramontabile ritratto di donna, addentrandosi nelle complesse sfumature dell’animo femminile e traendone un personaggio immortale dalla complessità estrema.
Chi è veramente Dora Markus? È l’inquietudine dell’anima che non cessa mai di parlarci, potremmo dire. Una donna immaginaria, una donna fantasma, che ancora vive in questi versi restituendoci una malinconia struggente, la vibrazione di un tormento interiore che non conosce pace, proprio come una “tempesta che turbina e non appare”. AutoTURN 9 https://abcoemstore.com/product/transoft-autoturn-9 improve your presentations to clients and stakeholders by taking advantage of the realistic 3D vehicles.
L’ispirazione per la scrittura di Dora Markus venne a Montale grazie a una fotografia mostratagli dall’amico Bobi Bazlen. Il poeta tuttavia non conobbe mai quella donna “un’amica di Gerti dalle gambe meravigliose”, come scriveva Bazlen nel biglietto allegato all’immagine. La “Gerti” in questione era Gertrude Frankl Tolazzi, cui Montale dedicò molte poesie tra cui la celeberrima Carnevale.
Il biglietto di Bazlen si concludeva con una richiesta esplicita:
Si chiama Dora Markus. Falle una poesia.
Montale obbedì e la scrisse. Sarebbe stata pubblicata soltanto molti anni dopo nella raccolta poetica Le occasioni (Einaudi, 1939) che preannunciava nelle sue cupe atmosfere la guerra imminente.
La foto in bianco e nero mostrava solo le gambe d’avorio di quella donna misteriosa, Dora Markus. Montale avrebbe potuto elogiarne la bellezza esteriore, ma non lo fece, decise invece di sondarne gli abissi dell’interiorità. La proiettò in un luogo e in un tempo precisi, rendendola così la donna-simbolo di un’intera epoca che si stava sgretolando a causa della furia diabolica di Hitler.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
Dora Markus di Eugenio Montale: testo
Fu dove il ponte di legno
mette a Porto Corsini sul mare alto
e rari uomini, quasi immoti, affondano
o salpano le reti. Con un segno
della mano additavi all’altra sponda
invisibile la tua patria vera.
Poi seguimmo il canale fino alla darsena
della città, lucida di fuliggine,
nella bassura dove s’affondava
una primavera inerte, senza memoria.E qui dove un’antica vita
si screzia in una dolce
ansietà d’Oriente,
le tue parole iridavano come le scaglie
della triglia moribonda.La tua irrequietudine mi fa pensare
agli uccelli di passo che urtano ai fari
nelle sere tempestose:
è una tempesta anche la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
Non so come stremata tu resisti
in questo lago
d’indifferenza ch’è il tuo cuore; forse
ti salva un amuleto che tu tieni
vicino alla matita delle labbra,
al piumino, alla lima: un topo bianco,
d’avorio; e così esisti!II
Ormai nella tua Carinzia
di mirti fioriti e di stagni,
china sul bordo sorvegli
la carpa che timida abbocca
o segui sui tigli, tra gl’irti
pinnacoli le accensioni
del vespro e nell’acque un avvampo
di tende da scali e pensioni.La sera che si protende
sull’umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d’oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.La tua leggenda, Dora!
Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d’oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l’armonica guasta nell’ora
che abbuia, sempre più tardi.È scritta là. Il sempre verde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino…
Ma è tardi, sempre più tardi.
Dora Markus di Eugenio Montale: testo e analisi
Dora Markus, come si evince dal testo, è divisa in due parti che furono scritte da Montale in due momenti distinti. La prima parte risale al 1928-1929 quando il poeta ricevette la lettera dell’amico Bobi Bazlen che includeva la fotografia delle gambe di Dora.
La seconda parte, invece, fu composta ben tredici anni dopo: nel 1939. Montale affermò di aver dato al personaggio di Dora Markus “un centro” di cui era sprovvisto. La poesia fu inserita nella cupa raccolta Le occasioni (1939) che inaugurava una nuova stagione poetica dell’autore ligure. In questi versi, dedicati alla critica letteraria ebrea americana Irma Brandeis soprannominata “Clizia”, Montale rivendica la possibilità di trovare un varco, una via di fuga, un’epifania attraverso le occasioni.
Il tema principale della raccolta è quello del viaggio e i personaggi principali sono proprio le donne ebree perseguitate che cercano salvezza sullo sfondo del conflitto mondiale ormai imminente. L’altro tema importante, che ritroviamo anche in Dora Markus, è dato dalla memoria: in queste poesie Montale afferma l’impossibilità di recuperare il passato, persino attraverso lo scavo operato attraverso la scrittura.
Dora Markus parla anche del tempo. Nella prima parte del componimento, scritta nel 1928, troviamo la giovane Dora che si muove sullo sfondo di una Ravenna bizantina. La immaginiamo ferma sul ponte di legno di porto Corsini, mentre un vento autunnale le scuote i capelli, mentre con un dito indica la lontana Carinzia, sua patria vera.
Dora è un personaggio scisso dalla nostalgia, che sembra abitare contemporaneamente in due mondi diversi che non possono in alcun modo comunicare tra loro. La duplicità della sua anima si manifesta nel dissidio tra desiderio e inquietudine. Il poeta la paragona ai gabbiani “gli uccelli di passo”, che urtano ai fari nelle sere tempestose.
Il contrasto tra la dolcezza esteriore della giovane Dora e la sua inquietudine interiore, già adulta che cela una maturità precoce, viene espresso attraverso una meravigliosa espressione ossimorica:
è una tempesta anche
la tua dolcezza,
turbina e non appare,
e i suoi riposi sono anche più rari.
A questi sentimenti ambivalenti che agitano il suo animo, Dora oppone l’indifferenza del cuore ormai ridotto alla calma piatta di un lago. Governare i moti del cuore, chiudervi a doppia chiave la sua nostalgia per la “patria vera”, è l’unico modo per la giovane donna per sopravvivere. Sottomette l’onda travolgente dei suoi sentimenti a un tenace autocontrollo. A tratti tuttavia il suo tormento, la sua tempesta interiore, si rivela mostrando l’inquietudine che si nasconde dietro i suoi atti gentili, dolci, apparentemente quieti di ragazza.
Per placarsi Dora stringe forte un amuleto - simbolo concreto in cui possiamo ritrovare la celebre poetica dell’oggetto di Montale - che rappresenta la sua salvezza. È quell’oggetto portafortuna a darle coraggio, a consentirle di resistere all’indifferenza arida cui ha ridotto il suo cuore.
Nella seconda parte della poesia ritroviamo la stessa Dora Markus ormai anziana. Anche l’ambientazione è cambiata: la donna non sosta più sulla riva di un paesaggio lacustre, ma si trova nella tranquillità domestica della sua casa. Sullo sfondo udiamo il rumore dei motori in una sera di città che lentamente si abbuia.
L’animo della donna sembra essersi placato, ormai dimentico degli urti tempestosi della giovinezza. Dora ripercorre con la memoria gli “errori passati”, la sua storia che ormai è “leggenda” e pare appartenere a un’altra persona. Ora lei ha adottato uno stile di vita austero e composto, simile a quello dei suoi antenati, che la scrutano implacabili dai ritratti d’oro appesi alle pareti.
Quel momento trascorso sul ponte di Ravenna, in compagnia del poeta, non è che un ricordo lontano. La giovinezza sembra appartenere ad un’altra. Tutto appare fuori tempo poiché un’altra minaccia grava sul presente: la guerra ormai imminente espressa dall’armonica guasta nell’ora che abbuia.
La “fede feroce” del nazismo prepara la tragedia dell’Olocausto. Dora avverte la minaccia vicina e, ancora una volta, si aggrappa ad un altro oggetto salvifico rievocando il gesto compiuto in gioventù. Al posto dell’amuleto ora c’è l’alloro sempreverde della cucina a darle conforto.
Il poeta allora le pone una domanda terribile che sembra racchiudere il destino della protagonista:
Distilla veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino...
Ma è tardi, sempre più tardi.
Che ne sarà di Dora Markus nell’epoca tragica delle persecuzioni di Hitler? Montale non lo dice. Tuttavia non lascia scampo: “Ma è tardi, sempre più tardi”, negli ultimi versi Montale sembra esprimere sia l’inesorabilità del tempo che fugge - la giovinezza ha ormai ceduto il passo alla vecchiaia - sia l’ora più buia della guerra ormai alle porte. Sarà quel reteiterato “sempre più tardi” a scandire le ultime strofe della poesia, come una tragica premonizione.
Dora Markus ci appare quindi come un fantasma, che ha lasciato la sua unica traccia in una foto color seppia, una delle tante vittime dell’Olocausto che ora sono nel vento. O forse si è salvata? In realtà ancora ferma sul ponte di legno di Porto Corsini mentre addita la sua “patria vera”.
Quel che è certo è che la sua leggenda vive ancora, nel palpito immortale del cuore, nella “dolce ansietà” profondamente umana che Montale le ha donato attraverso i suoi versi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Dora Markus”: una delle poesie più belle di Eugenio Montale
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