Fu allieva di Pavese, che forse di lei ci ha consegnato il ritratto più letterario e, in qualche maniera, ne ha definito il destino. Fernanda Pivano nasceva a Genova il 18 luglio 1917, ma fu a Torino che scoprì sé stessa attraverso la letteratura, come una bussola che avrebbe orientato il suo cammino conducendola alla “scoperta dell’America”.
Tra i banchi del liceo classico Carlo d’Azeglio di Torino la giovane Fernanda ebbe il privilegio di ascoltare le lezioni di un professore ventiseienne che, quando parlava, sembrava Ernest Hemingway. Le sue letture riuscivano a rendere luminosi i versi di Dante, a chiarificare i sonetti di Guido Guinizzelli, mentre, tra una lezione scolastica e l’altra, quell’insegnante appassionato suggeriva agli studenti la lettura di un certo Walt Whitman. Quel professore singolare, in cui ardeva il sacro fuoco dell’ispirazione letteraria, era Cesare Pavese. Ancora non poteva saperlo, ma stava consegnando a una giovane donna la mappa divinatoria del suo futuro: come Cristoforo Colombo, Pavese guidava Fernanda Pivano alla volta del “sogno americano”. Eppure, come sovente accade, l’allieva avrebbe superato le aspettative del maestro.
Nella classe della quarta ginnasio del liceo D’Azeglio di Torino, assieme a Nanda - come già allora chiamavano tutti Pivano - c’era anche un altro brillante studente, un ragazzo schivo, più portato per la chimica che per la letteratura: Primo Levi, anche lui ebbe il privilegio di ascoltare le lezioni di Pavese, prima che venisse sostituito da un altro insegnante più in regola con il fascismo, che seguiva alla lettera i programmi scolastici stabiliti dal regime. L’avvenire era ancora sospeso sopra tutti questi personaggi - in quel momento ignari del loro futuro, dell’imminente minaccia nazifascista - mentre si parlavano tra i corridoi e le aule del liceo classico torinese.
È curioso analizzare questo singolare intreccio di destini: Cesare Pavese e Fernanda Pivano, due grandi nomi dell’Italia letteraria, forse entrambi non sarebbero stati gli stessi se non si fossero conosciuti. Il loro rapporto mutò, si ribaltò, subì imprevedibili scossoni e riassestamenti: lui si avviava alla vittoria del Premio Strega, al trionfo letterario, quindi a una morte precoce; lei partiva in sordina come traduttrice, per poi divenire giornalista, scrittrice, poetessa, giungendo alla veneranda età di novantadue anni con “ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto”.
“Dov’è Jones il suonatore/ Che fu sorpreso dai suoi novant’anni/ E con la vita avrebbe ancora giocato?”
Una delle più ardite scoperte letterarie di Fernanda Pivano fu l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, che avrebbe tradotto in segreto durante il fascismo e, in seguito, pubblicato sotto la guida del suo maestro Pavese. La raccolta poetica è stata portata al successo da Fabrizio De André che l’avrebbe musicata: anche lui genovese, di Fernanda fu amico e sodale, chiamandola spesso con sé sul palcoscenico per presentare la sua “Spoon River” custodita nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo (1971). Il suonatore Jones è De André, ma anche Fernanda, anche Cesare, c’è un poco di lui in ogni persona che “in un vortice di polvere” ha saputo vedere una gonna danzante in un “ballo di tanti anni fa”.
All’origine della riscoperta di Spoon River vi è, dunque, il sodalizio intellettuale tra Pivano e Pavese. Ma, a ben vedere, non possiamo raccontare la vita di Fernanda Pivano tralasciando l’influenza di Cesare Pavese - che non fu forse decisiva, ma di certo necessaria.
L’incontro tra Fernanda Pivano e Cesare Pavese
Si incontrarono dunque tra i banchi di scuola; ma in quell’occasione fu più Pivano a subire la fascinazione di Pavese, che lui di lei. Le cose cambiarono improvvisamente anni dopo, quando il professore si ritrovò davanti una brillante studentessa universitaria.
Nel 1938 Fernanda è una studentessa di Lettere che, nel tempo libero, frequenta il Conservatorio; Pavese ha da poco scontato il carcere per antifascismo, i suoi ideali sono un po’ ammaccati, è deluso dalla perdita della libertà, ma non ha certo smarrito la propria solida vocazione letteraria. Mai sottovalutare il peso delle circostanze: le persone sono le stesse, eppure tutto è mutato. Ora Pavese vede davvero Fernanda, come se fosse la prima volta, e se ne innamora perdutamente. Ha inizio un’intensa corrispondenza in cui lui si premura di consigliarle delle letture, rigorosamente autori americani: Whitman, Sherwood Anderson, Hemingway. Con il passare del tempo le missive di Pavese si fanno ardenti, scrive che desidera incontrarla, che vuole baciarla ed essere solo con lei; ma Fernanda non ricambia l’intensità di questa passione. Continua a essere affascinata intellettualmente dal professore Pavese, lo è meno dell’uomo malinconico, tormentato, diffida del fatto che lui voglia plagiarla, farne una creatura a sua immagine.
In alcuni scritti del suo diario, Il mestiere di vivere, l’autore narra della sua infatuazione tormentata per la ragazza che chiama, in dialetto, Gôgnin, ovvero “faccino”. Fernanda era cresciuta: aveva uno sguardo allungato da cerbiatta, la pelle di ceramica e nelle foto in bianco e nero sorride dolcissima, come se fosse del tutto inconsapevole del proprio fascino. Lei rideva e Pavese si struggeva, mentre annotava sul diario il suo amore frustrato e le dedicava poesie che incarnavano il suo essere sfuggente, imprendibile: “Ma vivi altrove”. Le dedicò liriche bellissime, tra cui la luminosa Estate.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
Negli anni Quaranta, Pivano era una giovane donna che inseguiva la propria indipendenza con un fare piuttosto controcorrente rispetto alle convenzioni dell’epoca. Era in continua guerra con i propri genitori - come ricorda lo stesso Pavese:
“Non se l’intende coi Suoi, ma studiando e lavorando si prepara il modo di farsi un’indipendenza.”
Fernanda avrebbe rifiutato anche le insistenti proposte di matrimonio di Pavese. Lui ci provò per ben due volte: nel luglio del 1940 e, cinque anni dopo, nel luglio del 1945. In seguito avrebbe annotato le due date, con una croce accanto, sul frontespizio del libro Feria d’agosto.
Quando Italo Calvino supplicò Pivano di poter rendere pubbliche le lettere che Pavese le aveva inviato, lei rifiutò fermamente con questa risposta che ci permette di comprendere tutta la sensibilità del suo animo:
Le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza.
Forse, in cuor suo, Fernanda avvertiva rimorso per quel suo duplice diniego in seguito al suicidio di Pavese; ma fu sempre ferma nelle sue intenzioni, benché provasse riconoscenza per il suo maestro. Pavese non trovò mai pace alla sua inquietudine amorosa e fu tradito dall’ennesimo rifiuto, l’addio dell’attrice americana Constance Dowling.
Nel 1949, un anno prima del tragico suicidio del suo mentore, Fernanda si sarebbe sposata con l’architetto Ettore Sottsass. Lasciò Torino e si trasferì a Milano.
Grazie a Pavese aveva pubblicato per Einaudi la sua traduzione de L’Antologia di Spoon River di E.L. Masters, un lavoro che aveva svolto in segreto negli anni proibitivi del Fascismo.
Era l’inizio del suo “sogno americano”.
Fernanda Pivano: una vita da Spoon River all’America
Pivano si era laureata con una tesi in Letteratura americana su Hermann Melville, l’autore di Moby Dick, che fu premiata al Centro Studi Americani di Roma.
Nel 1943, dopo aver completato le sue prime traduzioni, Fernanda Pivano prese una seconda laurea in Filosofia e divenne assistente del professore Nicola Abbagnano. Nello stesso periodo iniziò a collaborare per diversi giornali e periodici, ottenendo l’iscrizione all’albo dei giornalisti.
Sottotraccia, intanto, nella sua vita correva la corrispondenza segreta con Cesare Pavese. Lui che le consigliava letture, lui che la consolava, lui che la incoraggiava; ma lei voleva spiccare il volo da sola.
Dopo la traduzione di Spoon River, si dedicò ad Addio alle armi di Ernest Hemingway, che le costò l’arresto, in quanto era un romanzo vietato in Italia dalla dittatura fascista. La curiosa vicenda di questa ragazza italiana di vent’anni - cui la traduzione delle sue opere costò la libertà - incuriosì Hemingway che la volle incontrare personalmente a Cortina. Lo incontrò in un albergo, lui si alzò da tavola per riceverla e la accolse a braccia aperte.
Mi vide, si alzò, mi venne incontro e mi abbracciò. Mi chiese: “Che cosa ti hanno fatto i nazi?” Aveva saputo che ero stata fermata dai tedeschi. Mi tenne a lungo abbracciata. Forse mi faceva la corte. Ma io a queste cose non ci pensavo proprio.
Sarebbe stato l’inizio di un’amicizia decennale, che incoronò Pivano traduttrice italiana di Hemingway. Nel 1956, dopo averne tanto letto e scritto, finalmente Fernanda volò alla scoperta dell’America. Sul suolo americano conobbe la cultura Beat degli anni Sessanta e decise di portarla in Italia: tradusse Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Lawrence Ferlinghetti. Parallelamente continuava il suo lavoro di giornalista: la sua intervista a Kerouac, andata in onda nel 1966, fece storia. Pivano non si limitò a tradurre i grandi classici americani, ma individuò i classici prima che divenissero tali, dialogando con alcune delle menti letterarie più geniali del suo tempo.
Con il marito Ettore Sottsass nel 1963 diede vita alla casa editrice East 128, che pubblicò in tiratura limitata alcuni giovani poeti americani.
La sua ricerca culturale non si interruppe mai, Fernanda continuò a coltivarla scrivendo saggi, articoli di giornale, recensioni, cui si aggiunsero libri di viaggio e di poesie, oltre che un’autobiografia. Ebbe la lungimiranza di intuire il talento di autori americani emergenti, tra cui Bret Easton Ellis, David Leavitt e Don DeLillo. Per le sue traduzioni, la sua infaticabile attività giornalista e letteraria, ottenne numerosi premi, tra i quali il Premio letterario Giovanni Comisso (1985), il Premio letterario internazionale Mondello (1992), il Grinzane Cavour (2003).
Faro guida nell’esistenza di Fernando Pivano erano sempre state le parole di Cesare Pavese, che le consegnò una preziosa lezione di vita - e di letteratura - ancora valida oggi per ciascuno di noi. I loro destini rimangono intrecciati, nonostante tutto, a rimarcare un legame che va oltre ciò che possiamo comprendere tramite le parole.
Si ritorna cioè a quanto le ho sempre consigliato: si faccia una vita interiore – di studio, di affetti, d’interessi umani che non siano soltanto di «arrivare», ma di «essere» – e vedrà che la vita avrà un significato […] È solo chi vuole esserlo, se ne ricordi bene.
Del resto, Fernanda lo conosceva a fondo il potere apotropaico delle parole, per questo motivo le trattava con cura, con riserbo, le conservava e celava allo sguardo altrui con pudicizia, perché “le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Fernanda Pivano nelle parole di Cesare Pavese: un legame letterario
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