L’estate narrata da Cesare Pavese è fatta di sole e di assoluto e si fonde in un tutt’uno con la donna amata.
La lirica Estate, contenuta nell’unica raccolta pubblicata in vita dal poeta Lavorare stanca (1936-1943), descrive un assolato pomeriggio estivo e una donna. Il tempo dell’estate, focoso e rovente, si fa così metafora di una grande passione.
Forse non tutti sanno che questa poesia, proprio come Mattino e Notturno, fu dedicata da Cesare Pavese alla traduttrice Fernanda Pivano, la donna da lui amata che tuttavia rifiutò, per ben due volte, di sposarlo.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia e alcuni retroscena di questa tormentata storia d’amore.
“Estate” di Cesare Pavese: testo
C’è un giardino chiaro, fra mura basse,
di erba secca e di luce, che cuoce adagio
la sua terra. È una luce che sa di mare.
Tu respiri quell’erba. Tocchi i capelli
e ne scuoti il ricordo.Ho veduto cadere
molti frutti, dolci, su un’erba che so,
con un tonfo. Così trasalisci tu pure
al sussulto del sangue. Tu muovi il capo
come intorno accadesse un prodigio d’aria
e il prodigio sei tu. C’è un sapore uguale
nei tuoi occhi e nel caldo ricordo.Ascolti.
La parole che ascolti ti toccano appena.
Hai nel viso calmo un pensiero chiaro
che ti finge alle spalle la luce del mare.
Hai nel viso un silenzio che preme il cuore
con un tonfo, e ne stilla una pena antica
come il succo dei frutti caduti allora.
“Estate” di Cesare Pavese: analisi
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Pavese apre la lirica con una descrizione folgorante. Il lungo pomeriggio estivo, ozioso e assolato, viene ritratto in una sinestesia di colori, suoni, odori che sembrano come erompere dalle parole stesse. Tutto è luminoso, pervaso dai raggi del sole estivo che sembrano cuocere la terra seccando l’erba. L’aria, dice poi Pavese, porta con sé il sapore di mare - l’elemento classico della stagione estiva.
Viene introdotta quindi la presenza della donna, che sembra fondersi con il paesaggio circostante in una dimensione panica come la Venere di Botticelli. Lei respira a fondo il profumo dell’erba e sembra abbandonarsi a un ricordo lontano.
Nella seconda strofa si verifica proprio la piena fusione tra la donna e l’estate. La calda stagione estiva sembra sussultare nel cuore della donna, scorrerle nel sangue come una viva passione. L’atmosfera si fa quindi sensuale, il sapore della donna amata viene paragonato a quello dei frutti maturi e dolci che cadono a terra con un tonfo pronti per essere mangiati.
Pavese affianca per analogia il massimo rigoglio della stagione estiva alla sua musa: è lei, afferma, il vero prodigio.
La conclusione della lirica assume invece un tono più malinconico. Il “pensiero chiaro”, che di nuovo evoca lo splendore dell’estate, si riflette nella mente della donna. Lei sembra essere afflitta da una pena, un’angoscia segreta che non può dire. Nel finale il poeta fa riferimento al ricordo dell’estate che esplode nel cuore proprio come la memoria di un’antica passione. Il succo dei frutti maturi caduti in quel pomeriggio estivo ora stilla quasi un veleno amaro, perché rievoca un momento perfetto ma ormai perduto per sempre.
“Estate” di Cesare Pavese: commento
Estate è la seconda poesia della raccolta Lavorare stanca (1936) che Pavese dedicò a Fernanda Pivano. La prima lirica a lei dedicata era proprio quella di apertura, Mattino, in cui il poeta evocava un paesaggio di mare fondendolo con la figura e la mente della donna. Fernanda nella poesia di Pavese diventa un elemento della natura stessa, si fonde con l’ambiente circostante sino a esserne la personificazione.
Cesare Pavese conobbe Fernanda Pivano quando insegnava letteratura al Liceo classico D’Azeglio di Torino. Correva l’anno 1934, Pavese aveva allora ventisei anni: lui era l’insegnante e la giovane Fernanda, futura traduttrice e poetessa, l’allieva. Lei era entusiasta delle sue lezioni e sul suo diario annotava che Pavese rendeva le parole di Dante e Guinizzelli “chiare come il sole”.
Si incontrarono di nuovo nel 1938 quando lui le portò alcuni libri che l’avrebbero fatta appassionare alla letteratura statunitense, tra cui Addio alle armi di Ernest Hemingway.
Pavese nominò per la prima volta Fernanda nel suo diario Il mestiere di vivere, il 26 luglio del 1940 con il nomignolo di Gognin, che in piemontese vuol dire “musetto” .
La storia d’amore tormentosa tra i due si sviluppò dal luglio al novembre 1940 per poi continuare fino alla morte dello scrittore, come profonda amicizia. Lui le propose due volte di sposarlo, ma lei rifiutò. Il frontespizio della copia originale di Feria d’agosto suggella le date dei due rifiuti opposti da Fernanda alle sue proposte di matrimonio: il 26 luglio 1940 e poi ancora il 10 luglio 1945.
La grande saggista e scrittrice, futura traduttrice dell’Antologia di Spoon River, sposò invece l’architetto e fotografo Ettore Sottsass nel 1949. Di Pavese, però, rimase sempre la musa. Era stata lei a ispirargli alcune delle poesie più belle, tra cui l’intramontabile Estate.
Dopo la morte di Pavese, Fernanda Pivano negò a Italo Calvino e a Lorenzo Mondo l’autorizzazione a inserire nell’epistolario di Cesare Pavese le lettere che il poeta e scrittore aveva inviato alla “signorina Fernanda”.
Le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza.
scrisse
Sono una parte dell’anima che non merita lo sgarbo della notorietà.
Cercò di tutelare la sua memoria sino alla fine dei suoi giorni. Del resto lui l’aveva eternata attraverso la poesia, trasformandola in un’invincibile estate; lei l’avrebbe portato nel cuore per sempre.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Estate”: la poesia di Cesare Pavese dedicata a Fernanda Pivano
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