Erede della ballad, componimento poetico su accompagnamento musicale diffuso nel Medioevo in Inghilterra, la canzone pop ha via via conquistato spazio e importanza a partire dal Ventesimo secolo.
In Italia il massimo tempio è dal 1951 Sanremo e la sua kermesse, che per una settimana monopolizza o quasi gli interessi degli italiani.
I testi delle canzoni di Sanremo nel corso di settanta anni hanno di riflesso espresso pensieri e cambiamenti sociali e culturali.
Grazie dei fiori (Festival di Sanremo 1951) fa uso del troncamento (fior amor) che ha un illustre precedente nel carducciano Pianto antico, ma, a parte lo stile desueto e retorico, racconta di un amore finito e della silente accettazione da parte della donna abbandonata.
Retorico e antiquato è anche il testo di Vola colomba (Festival di Sanremo 1952), che nasconde un accorato appello all’annessione di Trieste, territorio libero nel 1952.
Innovativo e onirico, vagamente magrittiano, è Nel blu dipinto di blu (1958), ma è la seconda metà degli anni Sessanta che segna la rivoluzione nella canzonetta sanremese con Ciao amore ciao di Tenco (1967), dedicata a chi è costretto ad abbandonare la propria terra e Il ragazzo della via Gluck (1966), prima canzone ecologista per continuare con il non sense di Rino Gaetano che con la sua Gianna (1978) racconta di una ragazza moderna e disinibita.
I due decenni successivi sono anni di riflusso che vedono nuovamente l’amore al centro dei testi, pur in un’interessante innovazione (un esempio è Vattene amore del 1990, che tra gattini e buffi appellativi si impone nell’immaginario collettivo).
La canzone impegnata si affaccia spesso tra i testi di Sanremo: Signor tenente (1994) di Giorgio Faletti e Pensa di Fabrizio Moro (2007), ambedue sulle stragi di stampo mafioso. I testi sono immediati, forti ma contribuiscono al cambiamento della canzone da festival.
Vince nel 2007 Simone Cristicchi con Ti regalerò una rosa, un’intensa canzone che riporta alla mente il dramma e la solitudine vissuta nei manicomi.
Recensione del libro
Festival di Sanremo. Almanacco illustrato della canzone italiana
di Eddy Anselmi
I cambiamenti socioculturali nei testi delle canzoni in gara al festival di Sanremo.
L’excursus sull’evoluzione testuale nelle canzoni sanremesi è volutamente ridotto, perché per definire ogni canzone in settant’anni di festival non basterebbe un’enciclopedia di dieci volumi come quelle tanto in voga negli anni Sessanta.
È interessante soffermarsi su alcuni testi degli ultimi cinque anni.
Il 2016 è stato particolarmente prodigo per quanto riguarda la gara destinata alle cosiddette nuove proposte.
Si impone Francesco Gabbani con Amen, originalissimo testo che venne così spiegato dall’interprete:
"In un sistema dove la frenesia comunicativa rende tutto superficiale, usa e getta, dove il rischio è quello di dare vita a paradossi (cit.”Gesù s’è fatto agnostico e i killers si convertono”), non dovremmo sperare in un miracolo che risolva tutto ... e cosi sia, ma semmai capire che il miracolo siamo proprio noi. Quando le cose intorno, per loro natura, non possono cambiare, siamo noi che dobbiamo cambiare atteggiamento nei confronti".
Gabbani fa il bis con Occidentali’s karma in cui vizi e virtù della società occidentale sono esaminati con ironia attenta scomodando tra gli altri Desmond Morris (La scimmia nuda) e Fromm, mentre la canzone Vietato morire, terzo posto di Ermal Meta, racconta la violenza domestica attraverso gli occhi di un bambino incitando alla disobbedienza civile, un testo forte e vergato con linearità.
Una rivoluzione accade nel 2019 con la vittoria di Mahmood che inserisce sonorità orientali e parole in arabo per un’altra storia di un genitore sbagliato.
Ultimo grande cambiamento quello dei Maneskin che vincono l’edizione 2021 con un testo di rottura non particolarmente pregno, ma che sottolinea i gap tra chi vuole schiacciare le individualità e chi invece vuole ribellarsi a questo dato di fatto.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Festival di Sanremo: l’evoluzione testuale delle canzoni
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