Figli della Stasi
- Autore: David Young
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Baldini+Castoldi
- Anno di pubblicazione: 2017
Chissà perché, non si riesce a fare a meno di immaginare Karin Müller come una versione giovane di Angela Merkel, senz’altro più carina ma vestita altrettanto goffamente, in tailleur senza forme e fantasia. Infatti, come la cancelliera della Repubblica Federale tedesca, la poliziotta di Berlino è nata e cresciuta nella Germania Est, la Deutsche Democratic Republic. A differenza però di frau Angela, transitata con tutto il bagaglio politico a Occidente dopo la caduta del Muro nel 1989, la bella Karin, anzi, il tenente Müller della Polizia Criminale (Kripo) lavora nella grigia Repubblica Democratica comunista. Nei libri, infatti, può accadere che l’azione retroceda di qualche decennio e si svolga nel 1975, l’anno in cui è ambientato il romanzo di David Young, “Figli della Stasi”, che circola in Italia da aprile 2017, edito da Baldini & Castoldi (pp. 380, euro 18,00).
L’autore è inglese, nato dalle parti di Hull, nello Yorkshire. Avviato agli studi scientifici nel Politecnico di Bristol, ha cambiato vita, per intraprendere quelli umanistici e laurearsi in Storia Moderna, senza rinunciare a sostenersi con lavori molto umili, prima di dedicarsi al giornalismo. Da cronista ha lavorato nelle redazioni di quotidiani di provincia, in un’agenzia di stampa londinese e per la BBC, prima di diventare corrispondente di network radiofonici e farsi prendere dalla sua passione per le crime novel. “Figli della Stasi” è la prima, il suo esordio. Col botto, visto il successo globale.
È anche la prima indagine di Karin Müller, l’unica donna - non ha nemmeno trent’anni – a dirigere una squadra omicidi in tutta la Germania falce, martello e compasso. Per un altro verso, riconosce non senza sconcerto d’essere anche l’unico ufficiale di polizia risvegliatosi in stato confusionale da eccesso di vodka nel letto di un subalterno, il sottotenente Tilsner, sposatissimo e con due figli. Anche la tenente è sposata. Sicché, meglio che Gottfried non sappia niente… ma nemmeno lei sa bene cosa dovrebbe ignorare, si è ritrovata nel talamo di Werner con la bocca impastata dall’alcol, ma tutta vestita.
Rispondendo alla telefonata del colonnello, che lo convoca d’urgenza sul luogo di un delitto, il sottoposto ha saputo nascondere la presenza clandestina della comandante. Ma Tilsner proprio non riesce a togliersi dalle labbra quell’inspiegabile sorrisetto beffardo e questo la disturba non poco.
Al tempo stesso, il Capo lo incarica di rintracciare l’introvabile compagna Müller e farla arrivare sul posto: un cimitero, davanti al Muro... il corpo di una ragazza… anche la Stasi sta raggiungendo il sito.
Strano, la Kripo e la polizia politica insieme per un caso che dovrebbe riguardare solo la polizia di frontiera? Karin per prima è sorpresa dalla collaborazione di due articolazioni ben distinte degli organi di indagine e sicurezza della DDR.
In soccorso ai lettori, occorre spiegare che la Stasi era la temuta struttura poliziesca del Ministero della Sicurezza Nazionale, mentre la Kriminalpolizei (Kripo) era la sezione anticrimine della Polizia del popolo, la Vopo.
Sempre a beneficio dei lettori, va detto che Karin Muller è bionda, ha gli occhi azzurri, un aspetto molto giovanile e un vuoto totale sulle ultime ore della notte, come si è visto. Più che un suggerimento è un ordine quello che impartisce a Tilsner: non può essere successo niente, quindi non è successo niente! Dopotutto la gonna era al suo posto ed è sufficientemente stretta da respingere approcci indesiderati.
Chi sta decisamente peggio di lei, ed è pure decisamente più giovane, è la vittima, nel camposanto di Mitte. A parte le pallottole che l’hanno colpita alle spalle e lo strazio degli arti lacerati dal filo spinato steso per scongiurare fughe a Berlino Ovest, il volto è irriconoscibile. Si direbbe dilaniato da un cane. Sangue abbondante e abbigliamento non invernale, ma quello che ha messo in azione tutti gli apparati del sospettoso regime filosovietico è che la giovane sembra sia stata colpita dal settore occidentale mentre cercava di raggiungere quello orientale. Non si è mai visto: Karin sa bene che il complesso confinario serve a fermare chi tenta la fuga dalla Germania comunista verso la libertà, non viceversa.
La detective apprende che alla povera adolescente sono stati strappati occhi e denti, come se si volesse rendere impossibile un riconoscimento. Accanto sono state trovate tracce delle gomme di una Volvo limousine, la tipica autovettura di rappresentanza dei pezzi grossi della Repubblica Popolare.
Certo che più che collaborare, la Stasi sottopone la Omicidi a un controllo asfissiante sulle indagini e sui risultati.
Per quello che sappiamo della vita di Karin, con Gottfried va da schifo. Pochi mesi di punizione politica (trasferito come insegnante tutt’altro che volontario in un riformatorio) lo hanno invecchiato, trasformandolo in un anziano professore brontolone. Va via di casa, la pianta.
Sorpresi? E che dire dei risultati dell’autopsia? Strangolamento manuale, le lesioni e ferite di arma da fuoco sono posteriori alla morte. Il sangue è stato applicato dall’esterno. Simulato. E non è umano, ma animale.
È quanto basta per correre ad acquistare il romanzo?
Figli della Stasi: La prima indagine di Karin Müller
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