Figli della polvere
- Autore: Colin Winnette
- Genere: Avventura
- Categoria: Narrativa Straniera
- Anno di pubblicazione: 2016
Dovreste prendermi alla lettera: finite di leggere questo articolo, sellate il cavallo e correte di corsa a comprare “Figli della polvere” di Colin Winnette (Edizioni Clichy, 2016). E’ uno dei romanzi più avvincenti-scritto-a-dovere che mi è capitato di leggere da molte lune in qua (se volete proprio saperla tutta, Winnette ha qualcosa da insegnare persino agli ultimi e penultimi Stephen King). Si tratta di un romanzo western. Di quelli che non mancano un colpo: epici e poetici al tempo stesso. Iper-violento ma senza compiacenze alla Tarantino. Un western non-canonico, nonostante se la veda coi canoni del filone. Affollato di anti-eroi come probabilmente un trenino old west all’ora di punta. Shakespeare e tragedia greca adattati al cinema di frontiera. E Colin Winnette che si rivela un asso nell’alternare climax, contro-climax ed espedienti narrativi. Che sa tenerti legato alla poltrona come nemmeno i pellerossa al palo delle torture, anche se nel romanzo di pellerossa non c’è nemmeno l’ombra.
Cowboy e pistole fumanti, invece, quanti ne vuoi. Per non dire di mandriani. E assassini di professione. E sceriffi male in arnese. E un dottore beone. E almeno un paio di donne svezzate dalla dura vita di frontiera. La traccia principale muove dalla fuga di due fuorilegge. Sono fratelli, si chiamano Brooke e Sugar, e con mani, lame e pistole ci sanno fare al punto da guadagnarsi da vivere come assassini su commissione. Sono braccati, dunque. E in un bivacco improvvisato, di notte, un ragazzino si risveglia tra loro. Il piccolo è decisamente messo male: mezzo nudo, e dice di non ricordare nemmeno il proprio nome. Per il tempo che avranno da passare assieme i due lo chiameranno Bird, e ne vedrà più di brutte che di belle. A questo punto stop e mani in alto, amici miei: col racconto la faccio finita qui. Per possibili, ulteriori idee che potreste farvi sul libro non avete che da fidarvi sulla (mia) parola: è un incessante susseguirsi di colpi bassi e colpi di scena, classicismo e pulp fiction come dio comanderebbe, se mai ci fosse un dio in grado di comandare. I topoi del western sono esibiti in un sorprendente alternarsi di piano-sequenza: risse, revolver, legami virili (e altri… un po’ meno), carrozze assaltate dai banditi, saloon poco raccomandabili, vigliacchi, vendette, brutti ceffi, agguati, cavalli al galoppo, tradimenti.
Prima di cominciare a scrivere di “Figli della polvere” mi sono ripromesso di rinunciare al termine “rivisitazione” e non lo farò. Del resto Colin Winnette riesce ad attestarsi molto oltre lo stereotipo: al punto da inaugurare quasi un genere suo: il western come ontologia, né più né meno che una parabola sulle prove a ostacoli che ti presenta la vita.
In altre parole: “Figli della polvere” è western moltiplicato in modo esponenziale, e dunque enfatizzato, verista, nichilista, crudele, disincantato. Tra le pagine si intravedono i numi tutelari - Patrick de Witt, Corman Mc Carthy, Robert Coover - ma si vede soprattutto Colin Winnette, giganteggiare senza cadute di tono, sorretto da uno stile serrato, musicale al punto da suonare lirico. E da dialoghi, molto semplicemente, da incorniciare. Da qualsiasi punto di vista la vogliate mettere, “Figli della polvere” è quindi un romanzo da non perdere. Un grande romanzo destinato a non farsi dimenticare.
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