Non siamo abituati a leggere un Giorgio Caproni amaro, distante dalle sue rime chiare, aperte e ventilate; eppure esiste anche un Caproni che risente degli influssi dell’ermetismo e si allontana dalle sue classiche figure retoriche sonore per affrontare, in maniera diretta, il dramma della caducità dell’esistenza umana e della solitudine dell’uomo resa manifesta nella raccolta dal titolo dantesco Il muro della terra (1975) e, in seguito, nella successiva Il franco cacciatore (1982).
In queste poesie Caproni riduce la sintassi all’essenziale e sembra richiamare la “parola-verso” di Ungaretti, riprendendo anche itemi chiave del poeta dell’Allegria .
Foglie di Caproni appare come un’eco dell’ungarettiana Soldati, dai versi del poeta livornese si riverbera lo stesso dolente struggimento, la medesima schiacciante e ineludibile verità ribadita e come riconfermata dall’uso sonoro della rima e dall’utilizzo dell’analogia. In questa poesia la sintassi di Caproni si fa essenziale e sembra riprodurre sulla pagina stessa - dominata da grandi spazi bianchi - il vuoto esistenziale che il poeta avverte nella propria vita.
Foglie, in particolare, è una poesia di mancanza e di assenza, in cui l’autore cerca di riprodurre lo scarto tra la singolarità irripetibile dell’essere e l’infinita vanità del tutto. L’eco leopardiana è evidente, ma ancora più incisivi sono i rimandi ungarettiani, oltre a Soldati possiamo cogliere in questa poesia anche dei rimandi alla struggente San Martino del Carso che, in maniera analoga, trattava i temi della morte e della memoria mettendo al centro la devastazione del cuore.
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
La poesia di Caproni si apre con un frase simile e pone la parola che dà il titolo alla lirica - “Foglie” - nella conclusione del componimento con un effetto sorprendente. Le foglie nella poesia di Caproni si fanno metafora dell’assenza, hanno un valore fantasmatico. E nel finale ritorna l’immagine del cuore - presente anche in Ungaretti - che anche qui viene personificato “il cuore vede”. Ma cosa vede il cuore? Caproni tramite l’opposizione cuore/mente vuole evidenziare l’opposizione inoppugnabile tra raziocinio e immaginazione, tra la verità effettiva e lo schermo delle illusioni.
“Foglie” di Giorgio Caproni: testo
Quanti se ne sono andati…
Quanti.
Che cosa resta.
Nemmeno
il soffio.
Nemmeno
il graffio di rancore o il morso
della presenza.
Tutti
se ne sono andati senza
lasciare traccia.
Come
non lascia traccia il vento
sul marmo dove passa.
Come
non lascia orma l’ombra
sul marciapiede.
Tutti
scomparsi in un polverio
confuso d’occhi.
Un brusio
di voci afone, quasi
di foglie controfiato
dietro i vetri.
Foglie
che solo il cuore vede
e cui la mente non crede.
“Foglie” di Giorgio Caproni: analisi e commento
Giorgio Caproni, come Ungaretti, per esprimere l’essenza del pensiero decide di ridurre le parole ai minimi termini: alcune parole, isolate, sono ripetute due volte, in particolare “tutti” che richiamando una ampia collettività vi oppone la solitudine individuale dell’uomo.
Centrale è la parola che dà il titolo alla lirica Foglie e ne racchiude il significato.
Le foglie, sin dai tempi di Omero, vengono utilizzate in letteratura come similitudine della caducità della vita. Nel VI libro dell’Iliade il poeta greco paragonava le foglie trasportate dal vento alle stirpi degli uomini che costantemente muoiono e poi rinascono. Tramite l’uso della metafora Omero sanciva la fragilità e anche la ciclicità della vita umana; le foglie avevano quindi anche un valore tutto sommato positivo, perché rappresentavano il costante rigenerarsi dell’esistenza in un processo di rinascita. Tempo dopo il poeta greco Minmerno da Colofone riprende la medesima figura retorica nella poesia Come le foglie, ma stavolta la riformula n un’accezione negativa, più pessimistica, per esprimere la precarietà dell’esistenza dell’uomo e il rapido svanire della giovinezza. Per Dante e per Virgilio, sul modello omerico, le foglie invece diventano metafora di abbondanza e moltitudine; sino ad arrivare al nostro novecento, con Ungaretti, che trasforma le foglie nella metafora tragica del destino umano.
Caproni riprende l’immagine proposta da Ungaretti, ma la amplia. Le foglie, nella lirica del poeta livornese, assumono un valore ambivalente di presenza-assenza, sono al contempo significante e significato. Se nella lirica Caproni svolge il tema in maniera nostalgica, ponendo al centro la fragilità e l’inconsistenza della vita umana, ecco che nel finale ci dona una sorta di risarcimento.
Foglie
che solo il cuore vede
e cui la mente non crede
Attraverso il dualismo oppositivo tra mente e cuore, Caproni sembra ribadire che esiste una verità che sfida il raziocinio e che solo il cuore conosce. Le foglie cui il poeta allude sono le care presenze delle persone amate scomparse, hanno dunque una esistenza non certificata, fantasmatica.
Eppure il cuore le vede, anche se non lasciano traccia nel mondo reale. Caproni ci lascia nel dubbio, divisi tra le due ragioni opposte tra mente e cuore. Eppure, è pur vero, che nella poesia è la verità del cuore a trionfare: “solo il cuore vede”. Allora la vita, possiamo dire, ha ancora significato perché la morte non è tutto se il cuore - la memoria umana - ricorda e conserva una traccia di ciò che è stato.
In una delle poesie più famose de Il muro della terra, Caproni scrive:
Ho provato anch’io. | È stata tutta una guerra | d’unghie. Ma ora so. Nessuno | potrà mai perforare | il muro della terra
In questi celebri versi Caproni sembra sancire, senza appello, la propria impotenza, la solitudine dell’uomo dinnanzi al proprio destino come nella celebre lirica Ed è subito sera di Salvatore Quasimodo. Certifica una lotta impotente, disperata, destinata alla sconfitta; eppure la stessa immagine ritorna, curiosamente, in Foglie in cui il poeta allude al “graffio di rancore/o il morso della presenza”, dunque la traccia della vita umana è violenta e trova il proprio manifestarsi nella ferocia quasi animale (graffio/morso), ma scopriamo che non svanisce del tutto. Caproni sembra tendere il finale della propria poesia come un arco, alla ricerca di una verità divina che non sarà mai rivelata, nel tentativo di affermare “una vita oltre la vita”. Il poeta lascia intatto il dubbio, affermando leopardianamente il primato delle illusioni e dell’immaginazione sulla realtà. L’anima dell’uomo appare quindi inequivocabilmente scissa tra materialismo e spiritualismo: a cosa credere? Alla verità scientifica secondo cui il corpo si consuma e logora, oppure alla verità umana che ammette l’esistenza di un’anima, di qualcosa destinato comunque a sopravvivere anche solo attraverso il ricordo?
Cos’è che vede il cuore? Un altro grande scrittore affermava che non si vede bene che con il cuore e l’essenziale è invisibile agli occhi. Non ci rimane che stabilire a quale verità credere: Giorgio Caproni lascia in sospeso il proprio giudizio affermando l’opposizione netta tra le due istanze, facendole sfidare a duello. Intanto, però, attraverso questi versi ci ha consegnato la sua personale visione del cuore. Le sue “foglie controfiato” si fanno presenza, si fanno voce.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Foglie”: l’amara poesia di Giorgio Caproni sulla caducità della vita
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