Pensatina dell’antimetafisicante e Pronta replica, o ripetizione (e conferma) sono due poesie di Giorgio Caproni, molto utili per indagare il rapporto tra io, Dio e nulla nel pensiero del poeta.
Le due poesie fanno parte de Il conte di Kevenhüller, in cui viene descritta una gran caccia al Mostro, alla Belva, che ha ucciso anche due bambini. Ma il direttore della Gran Caccia è morto (il protagonista non esiste più) e la Bestia è anche dentro noi: si rischia di finire per sparare a sé stessi. Tra una descrizione per sommi capi della caccia ed epigrammi fulminei si manifesta quindi l’ultima poesia caproniana.
Pensatina dell’antimetafisicante: testo e analisi
“Un’idea mi frulla,
scema come una rosa.
Dopo di noi non c’è nulla.
Nemmeno il nulla,
che già sarebbe qualcosa”.
La poesia è composta da cinque versi rimati tra il quinario e l’ottonario. Il significato, intriso di pessimismo totale e terribilità, stride con la musicalità.
La parola "nulla" viene ripetuta due volte, viene ribadita; "dopo di noi" significa dopo l’umanità ma anche dopo la vita terrena. Noi quindi in questo terzo verso siamo tutto, ma un tutto destinato a finire perché carnali e mortali. Negli ultimi due versi Caproni (1912-1990) è ironico, se pensiamo alla domanda "Perché l’essere piuttosto che il nulla?". Qui anche il nulla è già qualcosa per la mente umana. Per la mente umana è impossibile giungere a un nulla che sia davvero nulla assoluto. Se chiudo gli occhi non avrò il buio assoluto ma dei fosfeni. Il silenzio assoluto non è reale; c’è sempre qualcosa che lo scalfisce nella vita quotidiana... e così via.
Pronta replica, o ripetizione (e conferma): testo e analisi
“E allora, sai che ti dico io?
Che proprio dove non c’è nulla
– nemmeno il dove – c’è Dio”.
Questa poesia è composta invece di soli tre versi non rimati. Un doppio quinario precede un novenario e un ottonario. Da notare che il primo verso finisce con "io", il secondo finisce con "nulla" e il terzo finisce con "Dio". Questo è secondo Caproni forse l’intero modo di conoscere l’assoluto, il trascendente per l’essere umano: io, nulla, Dio. Bisogna attraversare il deserto del nulla per arrivare infine a Dio, bisogna anche equiparare il nulla a Dio secondo il poeta.
Ma questa è solo una possibile chiave di lettura tra le tante. I versi di Caproni sono apparentemente liberi. In realtà sottostanno alle leggi della metrica. Il poeta insieme a Sandro Penna fa parte della lirica antinovecentesca, caratterizzata dal rispetto delle forme chiuse.
La filosofia nella poesia di Caproni
Né capisco per credere né credo per capire: né Sant’Agostino né Sant’Anselmo. Piuttosto né capisco né credo. Oppure capisco il nulla e credo al nulla. Il poeta non è ateo né credente. Intellettualmente vuole mostrarsi rigorosamente agnostico, che sospende il giudizio e coltiva il dubbio. Ma più probabilmente è uno che non crede nel tutto e neppure nel nulla, ma crede nel poco, nel qualcosa, nel "Nulla che c’è".
Caproni filosofeggia pur non essendo filosofo e allo stesso tempo è un grande poeta che vuole negare la stessa poesia, spolpando e scarnificando il più possibile, rimanendo solo con l’idea stessa, con la quintessenza della poesia, con il suo "pensiero poetante". Il poeta non vuole irregimentare il suo pensiero, che non ammette limitazioni di nessuna sorta e può spaziare dovunque, contemplare e meditare tutto. Però di fronte a questo mistero, di fronte all’ineffabile, all’assurdo della vita e del mondo ecco la speranza comunque del trascendente.
Quella di Caproni è stata definita poesia della "crisi gnoseologica". Nella vita secondo Caproni viene negata qualsiasi Aletheia, nessuno può procedere togliendo veli per arrivare appunto alla verità. Però è proprio un limite mentale umano (ovvero quello per cui tra l’io e il nulla c’è sempre un’impurità fisiologica, il nulla non è mai nulla assoluto) che può ammettere la speranza dell’esistenza di Dio. Se è vero che la ragione non può provare l’esistenza di Dio, è altrettanto vero che l’esperienza umana non può percepire il nulla. E se poi il Nulla Assoluto (quello che noi non possiamo nemmeno immaginare perché non comprende le categorie di spazio né di luogo) fosse Dio? Forse il poeta sembra dirci che abbiamo sbagliato completamente a cercare Dio nel Tutto. Forse dovevamo fare il percorso inverso. Dovevamo cercare l’opposto, ovvero il nulla.
La poesia come gioco intellettuale serissimo
Questi due componimenti formalmente riducono tutto all’osso. Ma concettualmente arrivano al non plus ultra del pensiero, dell’astrazione. Viene qui raggiunto il massimo dell’ideazione. Caproni raggiunge la vetta e sfiora l’inarrivabile, sembra a tratti quasi toccare l’irraggiungibile; gioca anche qui con i paradossi, ma il suo è un gioco intellettuale serissimo. In questo caso esprime un paradosso che è sia una verità controcorrente, come definiva il paradosso Roberto Gervaso in un suo aforisma che un corto circuito della logica. Bisogna concentrarsi mentalmente per capire questi pochi e scarni versi.
Come scrive in un’altra sua breve poesia, se è vero che Dio non c’è è proprio allora che gli esseri umani devono amarsi, cioè affratellarsi di fronte a questa tragedia, di fronte a questa solitudine avversa, cosmica, apparentati da un destino comune terribile.
Lo stesso Caproni, però come ebbe a scrivere, pregava ogni sera per sua moglie. Laddove l’intelligenza non arriva, può arrivare la fede. E il cerchio si è chiuso non con la ragione ma con un atto di fede o forse meglio di speranza di un miscredente. Il poeta tormentato e inquieto non crede nella dicotomia Dio oppure il nulla, ma in questi versi il nulla è Dio.
Però la concezione di Dio di Caproni è costellata di revisioni, correzioni, ravvedimenti o forse meglio ripensamenti. Per il poeta è lecito contraddirsi, ritornare sui propri passi in un continuo processo dialettico con la sua coscienza. Più tardi, ovvero nel 1984, avrebbe scritto in Credo in un dio serpente:
"Dio, se c’è, è un dio serpente, un dio che non remunera, non redime. Cristo, infatti, non è mai presente nelle mie poesie… Dice Monod che "l’uomo è nato per caso, ai margini di un universo insensibile ai suoi crimini e alle sue musiche". È una frase bellissima, che rende bene la mia idea di Dio. Dio mi appare proprio come quell’universo insensibile... che da tempo abbiamo tutti ucciso nella nostra coscienza".
Qualcuno sostiene che chi ha la poesia non ha bisogno della fede. Ma forse la stessa poesia non è in fondo un atto di fede, una preghiera recitata a un pubblico sconosciuto, forse proprio dinanzi a Dio?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Io, Dio e il nulla: due poesie di Giorgio Caproni a confronto. Analisi e commento
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