Ford: Sentieri selvaggi
- Autore: Giaime Alonge
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Carocci
- Anno di pubblicazione: 2024
Texas, nel 1868. Tre anni dopo la fine della guerra di secessione Ethan Edwards torna a casa trovando ad attenderlo la sua famiglia. Il fratello Aaron, la cognata Martha, i nipoti Ben, Lucy, Debbie e Martin (figlio adottivo della coppia) che ha sangue pellerossa e verso il quale, per questo motivo, Ethan cova una certa ostilità. Ethan Edwards odia gli indiani e, fra i tanti sentimenti che sottace, il disprezzo per i pellerossa è quello più evidente. Comincia assecondando queste ombreggiature Sentieri selvaggi, uno dei vertici del western americano e di John Ford in assoluto. All’uscita del film non furono però soltanto rose e fiori: l’avere assegnato al reazionario John Wayne il ruolo di protagonista non contribuì a dissipare le accuse di ambiguità ideologica piovute sul regista; e quelli riconosciuti oggi come punti di forza della pellicola - la densità e le sfumature della trama, la complessità psicologica del protagonista, la funzionale dilatazione temporale degli avvenimenti - resero Sentieri selvaggi un western anomalo, di comprensione non immediata (si veda la sottile relazione tra Ethan e la cognata Martha, all’epoca sfuggita alla lettura della maggior parte dei critici e degli spettatori).
Come intuito da Giaime Alonge nella diffusa e acutissima lettura della pellicola pubblicata per Carocci (“Ford: Sentieri selvaggi” (2024), se nella fluviale filmografia di John Ford (ben 137 film) proprio Sentieri selvaggi viene considerato il lavoro fondamentale è proprio per l’atipicità esibita rispetto ad altri western del regista.
Sentieri selvaggi è privo, per esempio, dell’apodittica classicità di Ombre rosse. Così come è privo del nitore morale di Furore, o del rigore stilistico di Sfida infernale. Insomma, secondo Alonge sarebbero stati proprio le zone d’ombra e i supposti difetti formali della pellicola a far sì che potesse guadagnarsi col tempo lo statuto di capolavoro. A permettere che più di ogni altra espressione dello specifico fordiano suscitasse dibattito in ambito accademico persino ai giorni nostri.
In modo limpido, pure se contenutisticamente pregante e stratificato, il saggio di Giaime Alonge dimostra dunque quanto complessa, articolata e per certi versi spiazzante possa risultare la visione di Sentieri selvaggi. Una pellicola capace di rivelare, fra le altre cose, molti aspetti della genesi – socio-antropologica – della nascita della nazione americana.
Un film di tale densità richiede tempo, oltre che un po’ di apertura mentale […] Se anche Sentieri selvaggi fosse davvero razzista (cosa che non è, come vedremo nel corso dell’analisi), avremmo comunque il diritto di definirlo un capolavoro. Sentieri Selvaggi è un film del 1956, non si può pretendere che i suoi personaggi rispondano agli standard etico-politici contemporanei […] Sentieri selvaggi oggi è al centro di uno scontro violento, animato da forze che si ritengono progressiste e che pretendono di porre rimedio ai torti della società escludendo dal dibattito pubblico e dalla ricerca scientifica opere che, secondo i parametri odierni, esalterebbero il razzismo o il patriarcato.
A parte che, a tal proposito, sarebbe opportuno ripristinare la vecchia accezione a-morale dell’opera d’arte, queste ultime parole di Alonge rivelano molto della pasta intellettuale di cui è fatto (insegna Storia del cinema al DAMS di Torino) e i focus contro-tendenti attraverso cui inquadra il capolavoro fordiano.
A seguito di un dettagliato lavoro di analisi - sceneggiatura, lavorazione, miti fondativi, personaggi, registri narrativi, aspetti tecnico-formali del film - Giaime Alonge consegna alla bibliografia di John Ford uno dei testi più sentiti, accurati e meno pedissequi in circolazione. Lettura consigliata, non soltanto ai cinefili.
Ford: «Sentieri selvaggi»
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