Ogni anno il 27 gennaio si celebra il Giorno della Memoria, un momento che permette di concentrarsi su un periodo storico che spesso, per la sua brutalità, si vorrebbe cancellare dalla mente. Il Giorno della Memoria è invece stato istituito proprio per non dimenticare e per imparare dagli sbagli passati, in modo che la tragedia della Shoah non si debba ripetere mai più.
Il miglior modo per non dimenticare l’orrore della deportazione degli ebrei, dei campi di concentramento e della persecuzione razziale è quello di leggere le parole di grandi scrittori e poeti testimoni di quel tragico momento. Per questo celebriamo il Giorno della Memoria con una raccolta di frasi, citazioni e poesie di scrittori e personaggi famosi che hanno vissuto in prima persona quel tragico momento e ne sono diventati testimoni.
Giornata della Memoria: frasi e citazioni di scrittori sopravvissuti ai campi
Il 27 gennaio di ogni anno vengono commemorate le vittime dell’Olocausto, la data venne scelta perché il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz. Nel campo di concentramento i soldati scoprirono per la prima volta l’orrore dei campi di sterminio e liberarono i pochi superstiti presenti.
Si è stabilito quindi di ricordare proprio in questa data simbolica tutte le vittime della Shoah, così che il mondo non dimentichi mai cosa è stato l’Olocausto.
Nella Giornata della Memoria abbiamo quindi deciso di proporre alcune frasi, stralci di testi e poesie che raccontarono e ancora oggi raccontano l’orrore dei campi di sterminio. Di seguito troverete le parole di grandi scrittori che sono stati testimoni dell’Olocausto e che hanno vissuto sulla propria pelle l’orrore dei campi di sterminio.
Iniziamo ricordando uno degli scrittori che maggiormente si collega a questa ricorrenza: Primo Levi. Lo scrittore e chimico fu presente alla liberazione del campo di Auschwitz, dal momento che dal 22 febbraio 1944 venne imprigionato in quanto ebreo. Famosissima la sua poesia Shemà, studiata in tutte le scuole:
- Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa e andando per via,
coricandovi alzandovi;
ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.
- Sarà bene ricordare a chi non sa, ed a chi preferisce dimenticare, che l’olocausto si è esteso anche all’Italia, benché la guerra volgesse ormai alla fine, e benché la massima parte del popolo italiano si sia mostrata immune al veleno razzista. Primo Levi
- La strage è avvenuta localmente in Germania e non in Italia, e questo ha concesso alla maggior parte degli italiani di trovarsi un alibi facile, cioè "queste cose le hanno fatte loro, non le abbiamo fatte noi". Ma le abbiamo cominciate noi. Il nazismo in Germania è stata una metastasi di un tumore che era in Italia. È un tumore che ha condotto vicino alla morte la Germania e l’Europa, vicino al disastro completo. Primo Levi
- Non era semplice la rete dei rapporti umani all’interno dei Lager: non era riconducibile ai due blocchi delle vittime e dei persecutori. […] L’ingresso in Lager era invece un urto per la sorpresa che portava con sé. Il mondo in cui ci si sentiva precipitati era sì terribile, ma anche indecifrabile: non era conforme ad alcun modello, il nemico era intorno ma anche dentro, il «noi» perdeva i suoi confini. Primo Levi
Anche Mario Rigoni Stern fu testimone diretto. Lo scrittore fu infatti deportato nel campo di Hohenstein essendo un dissidente politico. Stern rifiutò di aderire alla Repubblica sociale di Mussolini e venne quindi deportato. Quando il campo di concentramento venne liberato Stern tornò a casa a piedi dalla Polonia, dopo due lunghi anni di prigionia.
- La memoria è necessaria, dobbiamo ricordare perché le cose che si dimenticano possono ritornare: è il testamento che ci ha lasciato Primo Levi. Mario Rigoni Stern
- Vi era un bel sole: tutto era chiaro e trasparente, solo nel cuore degli uomini era buio. Mario Rigoni Stern
- Qualcuno mi mette in mano un rasoio di sicurezza e un piccolo specchio. Guardo queste cose nelle mie mani e poi mi guardo nello specchio. E questo sarei io: Rigoni Mario di GioBatta, [...]. Una crosta di terra sul viso, la barba come fili di paglia, i baffi sporchi di muco, gli occhi gialli, i capelli incollati sulla testa dal passamontagna, un pidocchio che cammina sul collo. Mi sorrido. Mario Rigoni Stern
Una testimone preziosa è la scrittrice e politica italiana Liliana Segre, imprigionata nel campo di concentramento di Auschwitz nel febbraio del 1944. Nel campo di Auschwitz Liliana arrivò con suo padre, da cui fu immediatamente separata e che non rivide mai più, il padre di Liliana Segre morì il 27 aprile del ’44, mentre i nonni, qui deportati nel giugno dello stesso anno, vennero uccisi all’arrivo.
- Coltivare la Memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare. Liliana Segre
- L’indifferenza è più colpevole della violenza stessa. È l’apatia morale di chi si volta dall’altra parte: succede anche oggi verso il razzismo e altri orrori del mondo. La memoria vale proprio come vaccino contro l’indifferenza. Liliana Segre
- Mi fa impressione quando sento di barconi affondati nel Mediterraneo, magari 200 profughi di cui nessuno chiede nulla. Persone che diventano numeri anziché nomi. Come facevano i nazisti. Anche per questo non ho mai voluto cancellare il tatuaggio con cui mi hanno fatto entrare ad Auschwitz. Liliana Segre
- Nel 1944, quando fummo deportati a Birkenau, ero una ragazza di quattordici anni, stupita dall’orrore e dalla cattiveria. Sprofondata nella solitudine, nel freddo e nella fame. Non capivo neanche dove mi avessero portato: nessuno allora sapeva di Auschwitz. Liliana Segre
Elie Wiesel, scrittore naturalizzato statunitense, filosofo, saggista e Premio Nobel per la Pace venne deportato in quanto ebreo. Il 6 maggio 1944 Wiesel venne caricato su un treno merci insieme alla famiglia e dal ghetto di Sighet giunse ad Auschwitz. La famiglia Wiesel fu immediatamente separata, la madre e la sorella morirono poco dopo l’arrivo (probabilmente nelle camere a gas del campo) mentre lui e il padre furono costretti ai lavori forzati. Il padre di Wiesel morì poche settimane prima che l’esercito americano arrivasse a liberare il campo di Buchenwald, dove nel frattempo erano stati trasferiti.
- Chi ascolta un superstite dell’Olocausto diventa a sua volta un testimone. Elie Wiesel
- Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata.
Mai dimenticherò quel fumo.
Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto.
Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede.
Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.
Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto.
Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai. Elie Wiesel
- Volevano ad ogni costo uccidere l’ultimo ebreo sul pianeta. Oggi ci si potrebbe chiedere: perché la memoria, perché ricordare, perché infliggere un dolore tale? In fondo per i morti è tardi ma per i vivi no. Se non si può annullare il tormento, si può invece sperare, riflettere, prendere coscienza. Elie Wiesel
Come Liliana Segre anche Imre Kertész, scrittore ungherese, a soli 15 anni fu deportato ad Auschwitz e poi trasferito nel campo di Buchenwald come Wiesl. Kertész vi rimase fino alla liberazione del lager, avvenuta l’11 aprile da parte dell’esercito americano.
- L’uomo, quando ridotto a nulla, o in altre parole un sopravvissuto, non è tragico, ma comico, perché non ha il destino. Imre Kertész
- Auschwitz, le dissi, mi appare nell’immagine di un padre; sì, i due termini, Auschwitz e padre, risuonano gli stessi echi in me, e se l’osservazione è che Dio è un padre esaltato, allora anche Dio mi si rivela nell’immagine di Auschwitz. Imre Kertész
- I sopravvissuti rappresentano una specie separata, proprio come una specie animale. Imre Kertész
Nella lunga lista degli scrittori che vissero sulla loro pelle la deportazione c’è anche Boris Pahor, autore sloveno che dal 1944 verrà internato in vari campi di concentramento tra la Francia e la Germania.
- La coscienza si difendeva con tutte le forze dall’annientamento e respingeva l’immagine del forno; il cuore supplicava il miracolo di poter tornare, sia pure per un istante, nel mondo degli uomini. Sì, in quel momento pregai. Boris Pahor
- Come avevo potuto essere tanto stupido da introdurre fra i morti il ritratto di una persona viva! Un morto fra i vivi ci può stare, ma il contrario no. Lo scheletro abitante di un campo non può toccare i vivi neppure col pensiero! Una volta per sempre deve abbandonare tutto ciò che vive su un’invisibile isola di sogno, fuori dell’atmosfera terrestre, e non deve più avvicinarglisi né con l’immaginazione né col ricordo. Boris Pahor
Edith Bruck, scrittrice ungherese naturalizzata italiana, visse sin dalla giovinezza le ostilità delle leggi razziali. Ultima di sei figli di una povera famiglia ebrea venne deportata, insieme a tutti i suoi familiari nella primavera del 1944. Arrivò prima ad Auschwitz per essere poi spostata in vari campi di concentramento e venne liberata nell’aprile del 1945 a Bergen-Belsen.
- Nascere per caso
nascere donna
nascere povera
nascere ebrea
è troppo
in una sola vita.
Edith Bruck, Versi vissuti - Poesie (1975-1990)
Il poeta italiano premio Nobel Salvatore Quasimodo, il maggior esponente della poetica dell’Ermetismo, scrisse un solo componimento dedicato all’immensa tragedia della Shoah.
La poesia si intitola Auschwitz e fu pubblicata all’interno della raccolta Il falso e vero verde (1956). Il componimento fu scritto pochi anni dopo la rivelazione dell’orrore dei campi di sterminio nazisti e vuole essere un monito contro l’antisemitismo.
Ne riportiamo un estratto:
- Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
amore, lungo la pianura nordica,
in un campo di morte: fredda, funebre,
la pioggia sulla ruggine dei pali
e i grovigli di ferro dei recinti:
e non albero o uccelli nell’aria grigia
o su dal nostro pensiero, ma inerzia
e dolore che la memoria lascia
al suo silenzio senza ironia o ira.
Salvatore Quasimodo, 1954
Una testimonianza preziosa, forse meno nota, è quella della scrittrice olandese Etty Hillesum. Etty è solo una giovane donna di ventotto anni quando inizia a scrivere le pagine del suo Diario (composto di undici quaderni scritti fitti, Ndr) che diventeranno il racconto della sofferenza vissuta dagli ebrei negli anni delle persecuzioni razziali. Etty Hillesum inizia a scrivere ignara, parlando del suo innamoramento per il professor Julius Spier, quella che sarà una testimonianza preziosa dell’Olocausto. Etty Hillesum morirà ad Auschwitz il 30 novembre 1943, ma le sue parole vivono ancora.
- Non esiste alcun nesso causale fra il comportamento delle persone e l’amore che si prova per loro. Questo amore del prossimo è come un ardore elementare che alimenta la vita. Il prossimo in sé ha ben poco a che farci. Etty Hillesum
- Sappilo, Dio: farò del mio meglio. Non mi sottrarrò a questa vita. Continuerò ad agire e a tentare di sviluppare tutti i doni che ho, se li ho. Non saboterò nulla. Di tanto in tanto, però, dammi un segno. E fa’ in modo che esca da me un po’ di musica, fa’ in modo che trovi una forma ciò che è in me, che lo desidera così tanto. Etty Hillesum
- Dobbiamo combatterle giornalmente, come insetti, quelle piccole numerose preoccupazioni circa il domani, perché esauriscono le nostre energie. Etty Hillesum
- La coscienza del bene che c’è stato nella vita - anche nella mia vita - non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa sempre più parte di me. Voglio stare in mezzo ai cosiddetti orrori e dire comunque che la vita è bella. Etty Hillesum
- Certo, accadono cose che un tempo la nostra ragione non avrebbe creduto possibili. Ma forse possediamo altri organi oltre alla ragione, organi che allora non conoscevamo, e che potrebbero farci capire questa realtà sconcertante. Io credo che per ogni evento l’uomo possieda un organo che gli consente di superarlo. Etty Hillesum
- Voglio essere un cuore pensante. Etty Hillesum
Impossibile non inserire tra le testimonianze dell’Olocausto le pagine di Anne Frank, la giovane ebrea diventata simbolo della Shoah con il suo Diario. Dopo anni nascosti in una soffitta Anne e la sua famiglia vennero deportati. Anne, la madre e la sorella Margot rimasero un mese ad Auschwitz-Birkenau, morirono di tifo esantematico a pochi giorni l’una dall’altra.
- A noi giovani costa doppia fatica mantenere le nostre opinioni in un tempo in cui ogni idealismo è annientato e distrutto, in cui gli uomini si mostrano dal loro lato peggiore, in cui si dubita della verità, della giustizia e di Dio. Anne Frank
- È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Anne Frank
- Se un cristiano compie una cattiva azione la responsabilità è soltanto sua; se un ebreo compie una cattiva azione, la colpa ricade su tutti gli ebrei. Anne Frank
- Viviamo tutti, ma non sappiamo perché e a che scopo; viviamo tutti coll’intento di diventare felici, viviamo tutti in modo diverso eppure uguale. Anne Frank
Ricordiamo infine la struggente poesia Un paio di scarpette rosse scritta dalla poetessa e partigiana italiana Joyce Lussu.
Nel componimento Lussu racconta il terribile destino dei bambini nei campi di concentramento nazisti utilizzando un oggetto inanimato, un paio di scarpette rosse.
Di seguito ne riportiamo un breve estratto:
- C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
Joyce Lussu, 1945
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giorno della Memoria: frasi, poesie e citazioni sulla Shoah
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