Gioite voi col canto. I madrigali a cinque voci di Gesualdo da Venosa
- Autore: M.Aurelia Mastronardi
I ‘madrigali a cinque voci’ di Gesualdo da Venosa, pubblicato a Potenza alla fine del 2003 per i tipi della EditricErmes, è tutto dedicato all’estro musicale del principe di Venosa.
Nipote per parte di madre dell’arcivescovo milanese Carlo Borromeo, e per parte di padre del cardinale Alfonso Gesualdo, Carlo dissipa i primi trent’anni della sua vita, compromettendosi nel duplice omicidio nei confronti di sua moglie Maria d’Ávalos e il suo amante Fabrizio Carafa. Lasciata Napoli per timore di ritorsioni, si trasferisce a Ferrara presso la corte estense. Qui in poco tempo allaccia rapporti d’amicizia con gli intellettuali e gli artisti che popolano quella corte: in particolar modo, rafforza l’ammirazione per Torquato Tasso, che conobbe già negl’anni napoletani, e decisiva risulta soprattutto la collaborazione diretta con Battista Guarini che, insieme al Tasso, costituiranno la preziosa matrice del suo linguaggio poetico-musicale.
Il saggio, quindi, traccia un profilo interessante della vicenda culturale, che sottende quella umana e intellettuale, di Gesualdo, corredando la prima parte del volume di opportuni richiami all’humus musicale coevo. Il discorso, organizzato secondo una efficace sebbene rapida focalizzazione degli ambienti culturali e musicali del «principe musico», e cioè Napoli e Ferrara, tende a dare rilievo, anche se in modo più sottaciuto, alle molteplici ‘contaminazioni’ musicali che resero prolifica e poliedrica la ‘fucina’ ferrarese: dalla Serenissima, infatti, giungeva Cipriano de Rore, maestro di Luzzasco Luzzaschi, a Ferrara nasceva il sublime Girolamo Frescobaldi, a Mantova, presso il ducato dei Gonzaga, operava Claudio Monteverdi e Jacques de Wert, l’ambiente napoletano, poi, proponeva compositori quali Jean de Macque, Giovanni Maria Trabaci e Ascanio Mayone. Eppure, fra questi, è proprio Gesualdo che potenzia quella singolare ‘contaminazione’ fra l’area napoletana e quella ferrarese, con esiti strepitosamente rivoluzionari, specialmente quando la scrittura musicale si coniuga con determinate scelte poetiche. I testi poetici (quasi 110) presi in esame dalla Mastronardi compongono l’intera raccolta di madrigali di Gesualdo, tutti costruiti a cinque voci, venuti fuori in 6 libri tra il 1594 e il 1611: essi sono per lo più di anonimi, laddove è possibile addirittura intravedere, dietro quella ‘voluta’ anonimia, poeti che di solito erano adombrati dall’autorità del principe - questo, in verità, già accadeva con compositori come ad esempio Pomponio Nenna, che è velato dal nome di Gesualdo in non pochi lavori -, anche se Tasso e Guarini dominano incontrastati i primi libri di madrigali, pagine queste di straordinario lirismo dove la musica risulta intessuta con un linguaggio volutamente corporeo e disadorno. Per di più, ascoltare i madrigali di Carlo Gesualdo da Venosa non è impresa facile: la tristezza, la malinconia, lo struggimento sono le realtà oggettive più ‘belle’ che riesce a far rivivere attraverso la musica. Il suo carattere, a tratti ipocondriaco, sembra pienamente barocco. Ma Gesualdo è l’ultimo «principe» del Rinascimento che, anziché «dipingere la musica», preferisce farla percepire attraverso una rinnovata emozione che solo il testo poetico può squisitamente contenere.
Il volumetto della Mastronardi riesce a fare letteratura anche attraverso l’insolita esperienza del «principe» di Venosa Carlo Gesualdo.
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