Un tempo i Malavoglia erano numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza.
È l’esordio del romanzo di Giovanni Verga: I Malavoglia.
Siamo nel 1881 quando la Sicilia è divenuta unitaria agli inizi della storia nazionale.
La realtà è quella dei pescatori di Aci Trezza che, sulla costa orientale dell’isola, conducono la vita sul mare e si esprimono con proverbi e sentenze.
Verga è fuori dalla società capitalistica in via di industrializzazione ed è dentro il fatalismo col suo Verismo che trascrive impersonalmente il documento umano, stando dalla parte di quei vinti appartenenti ad una società patriarcale: isolata e chiusa. Immobile.
Nella presentazione dell’opera così egli chiarisce la finalità dello scritto:
Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosia dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio.
La famiglia dei Malavoglia: personaggi e trame
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Il testo comincia con la presentazione della famiglia soprannominata “Malavoglia”. Toscano, in effetti il cognome. Padron ‘Ntoni è il buon patriarca coi suoi pregi e limiti: uomo saggio dalla ferrea volontà, “il dito grosso” della casa; suo figlio Bastiano è detto Bastianazzo, essendo grande e grosso; poi viene la moglie Maruzza, gran lavoratrice, buona massaia e piccina chiamata “la Longa”.
Di seguito, in ordine di anzianità, i cinque nipoti: ‘Ntoni, il maggiore di vent’anni, “bighellone” che dal nonno riceve ancora scappellotti; Luca più giudizioso di lui; Mena soprannominata “Sant’Agata” perché sta sempre al telaio; Alessi un “moccioso tutto suo nonno”; Lia piccolina e ancora “né carne né pesce”.
In un primo tempo i Malavoglia sono quelli della prosperosa casa del nespolo e della barca chiamata “Provvidenza”. Grande la pena della famiglia alla partenza di ‘Ntoni che nel dicembre 1863 viene chiamato per la leva di mare: insofferente costui ad ogni disciplina e fatica. Intanto, padron ‘Ntoni, preso dall’ansia del miglioramento, col negozio dei “lupini” si mette in un affare che gli fa tradire le esperienze di vita degli antichi. Questo il traffico: comperare i lupini a credenza, trasportarli via mare per venderli a Riposto, dove un bastimento di Trieste avrebbe preso il carico.
I lupini in effetti erano avariati; ad ogni modo la prestazione che Padron ‘Ntoni aveva combinato con lo zio Crocifisso, detto “Campana di legno”, avrebbe fruttato la grossa somma di quarant’onze. Tutto il paese partecipa al loro negozio e ciascuno degli abitanti dice la sua:“- Un affar d’oro” vociava Piedipapera.
Con Bastianazzo c’è pure Menico e la Provvidenza è già in mare, ma nell’animo di padron ‘Ntoni va crescendo un malessere:
“Il nonno s’affacciò ancora due tre volte sul ballatoio, prima di chiudere l’uscio, a guardare le stelle che luccicavano più del dovere, e poi borbottò: -
Mare amaro!”, come a voler preannunziare la tragedia che si sarebbe avverata.
La tensione narrativa si accresce quando comare Maruzza all’imbrunire coi figlioletti va ad aspettare sulla “sciara”:
donde si scopriva un bel pezzo di mare, e udendolo urlare a quel modo trasaliva e si grattava il capo senza dir nulla.
La morte di Bastianazzo con la perdita della Provvidenza è una sciagura per i Malavoglia. Al funerale soltanto loro:
Seduti sulle calcagna, davanti al cataletto, piangono dirottamente e il cruccio di padron ‘Ntoni è di dover pagare il debito dei lupini. Da parte sua, la Mena per la morte del padre “si sentiva il cuore che gli sbatteva e gli voleva scappare dal petto […].”
Preso dal rimorso, padron ‘Ntoni dirà:
Egli è andato perché ce l’ho mandato io come il vento porta quelle foglie di qua e di là, e se gli avessi detto di buttarsi dal faraglione con una pietra al collo, l’avrebbe fatto senza dir nulla.
La dote di Sant’Agata se n’è andata colla “Provvidenza”:
Quelli che erano a visita nella casa del nespolo, pensavano che lo zio crocifisso ci avrebbe messo le unghia addosso.
La tristezza di Mena nasconde un rasserenamento, perché il pagamento dei lupini, non ancora effettuato, ritarda il matrimonio con Brasi Cipolla; ciò le consente di non perdere la speranza di sposarsi con Alfio. Lirica la metafora dell’ulivo grigio che stormisce a significare la fugacità del loro amore.
Due gli episodi significativi: il ritorno di ‘Ntoni che arriva col berretto sull’orecchio e la camicia con le stellette, nonché il ritrovamento della “Provvidenza”:
L’avevano rimorchiata a riva tutta sconquassata, così come l’avevano trovata di là dal capo dei Mulini, col naso fra gli scogli e la schiena in aria.
È don Franco a dire: “bella provvidenza che avete!”, mentre padron Fortunato Cipolla insiste:
Questa è ora buona da ardere.
Totale l’onestà della famiglia i cui membri si danno da fare lavorando instancabilmente perché si pagasse il debito a zio Crocifisso e si riparasse la barca.
La sorte si accanisce con loro; c’è il tentativo di espropriazione della casa del nespolo, mentre Luca parte per fare il soldato.
Quando giunge la notizia della sua morte:
Alla Longa le rimase quella spina che l’aveva lasciato partire colla pioggia, e non l’aveva accompagnato alla stazione.
Con la riparazione della “Provvidenza” i Malavoglia si rimettono a lavorare non più a giornata; se le anime del Purgatorio li aiutano possono togliersi il debito dei lupini. Nel frattempo parte per raggiungere una località lontana compare Alfio e il saluto con Mena che piange è romantico:
La poveretta piangeva cheta cheta, colla mano sugli occhi, e se ne andò insieme alla Nunziata a piangere sotto il nespolo, al chiaro di luna.
La malasorte dei Malavoglia
Eventi tragici si abbattono nel momento in cui i Malavoglia stanno riacquistando la speranza del miglioramento. La festa del fidanzamento di Mena con Brasi viene oscurata dalla morte di Luca, avvenuta poco prima e giunta la notizia ad Aci Trezza proprio il giorno della festa: si era in guerra fra l’Italia e la Prussia e Luca era imbarcato sulla corazzata “Re d’Italia” che il venti luglio aveva partecipato alla battaglia di Lissa dove la nave venne rapidamente affondata nel mare verso Trieste, dopo essere stata speronata e squarciata. A riferire l’accaduto sono due soldati di Marina che, di passaggio per Trezza, tornavano in congedo. Tutti partecipano alla triste notizia:
- Quei poveri Malavoglia, - diceva incontrando sulla piazza Campana di legno, - Dio gliela mandi buona! Hanno la jettatura addosso!. Dall’accertamento fatto da padron ‘Ntoni, il nome di Luca è sulla lista dei morti: - Son più di quaranta giorni, - concluse l’impiegato, chiudendo il registro. - Fu a Lissa; che non lo sapevate ancora?.
Alla morte di Luca, la casa del Nespolo pare crollare:
- Avete visto padron ‘Ntoni – aggiungeva Piedipapera, alludendo all’azione legale contro la famiglia.; - dopo la disgrazia di suo nipote sembra un gufo tale e quale. Adesso la casa del nespolo fa acqua davvero da tutte le parti, come una scarpa rotta, e ogni galantuomo bisogna che pensi ai suoi interessi.
Col cuore straziato, la casa infine è ceduta ai creditori, ma viene conservata la Provvidenza. Sperano i Malavoglia di lavorare ancora, mentre comare Venera si rifiuta di dare la figlia Barbara in moglie a ‘Ntoni. Amara ormai la condizione di vita:
I Malavoglia stavano sempre stavano sempre colla porta chiusa ancor essi, poveretti, nella casuccia del beccaio che avevano presa in affitto, sulla strada del Nero.
Un’altra malasorte si abbatte sulla famiglia: una tempesta coglie in alto mare ‘Ntoni, il nonno e Alessi, sulla Provvidenza. Siamo in uno dei brani più vivi e concreti del romanzo:
All’improvviso il vento si mise a fischiare al pari della macchina della ferrovia, quando esce dal buco del monte, sopra Trezza, e arrivò un’ondata che non si era vista da dove fosse venuta, la quale fece scricchiolare la Provvidenza come un sacco di noci, e la buttò in aria.
Padron ‘Ntoni, che stava per morire, lentamente si ristabilisce fino a imbarcarsi coi ragazzi. L’attivismo della famiglia è inesauribile: ciascuno si dà da fare per guadagnare qualcosa e la Provvidenza viene rattoppata:
Facciamo come le formiche, - diceva padron ‘Ntoni; e ogni giorno contava i denari, e andava a girondolare davanti la casa del nespolo, a guardare in alto, colle mani dietro la schiena.
La parabola dei Malavoglia e la sua morale
‘Ntoni vuole però andarsene dal piccolo mondo di Aci Trezza e in lui prende sempre più corpo quella sua “vaga bramosia dell’ignoto”: l’irrequietudine alla ricerca del meglio. Sta qui il divario tra la vecchia e la nuova generazione che infrange la legge della tradizione, tant’è che il nonno gli dice di mettere da parte il suo bisogno di evasione.
- Ad ogni uccello il suo nido è bello, sentenzia: Vedi quelle passere? le vedi? Hanno fatto il nido sempre colà, e torneranno a farcelo, e non vogliono andarsene.
Parlando col figlio, la Longa confida a ‘Ntoni che sente le forze venirle meno:
Mi sento vecchia! Ripeteva, mi sento vecchia! […]. Il cuore si stanca anche lui, vedi; e se ne va a pezzo a pezzo come le robe vecchie si disfanno nel bucato. Ora mi manca il coraggio, e ogni cosa mi fa paura; mi pare di bevermi il cuore, come l’onda vi passa sulla testa, se siete in mare. Tu vattene, se vuoi; ma prima lasciami chiudere gli occhi.
‘Ntoni rinunzia a partire. Il colera fa le sue vittime e di colera muore la madre. Finita l’epidemia, diminuiscono i soldi raccolti che sarebbero stati utilizzati per comperare la casa del nespolo e ‘Ntoni vuole andarsene ad ogni costo. Nell’attimo della partenza:
Le vicine venivano ad una ad una a salutare compare ‘Ntoni, e poi stettero ad aspettarlo sulla strada per vederlo partire. Egli indugiava col fagotto sulle spalle, e le scarpe in mano, come all’ultimo momento gli fossero venuti meno il cuore e le gambe tutt’a un tratto. E guardava di qua e di là per stamparsi la casa e il paese, ogni cosa in mente, e aveva la faccia scomposta come gli altri.
La solitudine regna ormai sovrana in casa. Inevitabile l’impoverimento dei Malavoglia a seguito della partenza di ‘Ntoni. Padron ‘Ntoni vende la Provvidenza e va a giornata col nipote Alessi da Fortunato Cipolla.
Ed è proprio la personalità di Alessi, depositario della religione familiare, a delinearsi in netta contrapposizione col fratello maggiore ‘Ntoni, il cui ritorno avviene in pessime condizioni: di notte e senza scarpe, vergognandosi di farsi vedere, ma il nonno e i fratelli l’accolgono festosamente anche se il suo comportamento è fuori della norma. Mantenuto dalla Santuzza, proprietaria dell’osteria, si mostra allegro e impreca contro “la mala sorte infame”, manifestando una rivolta contro la tradizione dei padri.
Anche Lia comincia ad apparire peggio del fratello ‘Ntoni; tutto l’opposto della sorella Mena, va maturando un senso di ribellione al focolare domestico.
Rissoso, ‘Ntoni raggiunge l’apice della rovina, partecipando ad un’azione di contrabbando. Lo scontro con le guardie ha i suoi effetti:
La pistola di Don Michele partì in aria, ma egli stramazzò come un bue, colpito al petto. ‘Ntoni allora voleva fuggire, saltando meglio di un capriolo, però le guardie gli furono addosso, intanto che piovevano le schioppettate come grandine, e lo gettarono a terra.
Il nonno si reca a Catania dall’avvocato Scipioni per chiedergli di difenderlo al processo e quando giunge il giorno del dibattimento il paese intero va al tribunale mosso da una morbosa curiosità. Lia, presa dalla disperazione per il disonore, fugge da casa.
Un mondo si dissolve con la morte di padron ‘Ntoni in ospedale, solo all’albergo dei poveri, e un altro avanza segnato da rovine.
Alfio Mosca, che torna malarico in paese, sa della sorte di Lia e dove si trova, dedita alla prostituzione: “l’aveva vista coi suoi occhi” e l’andava raccontando alla Nunziata, mentre avvertiva con malinconia tutti i cambiamenti avvenuti:
Uno che se ne va dal paese è meglio che non ci torni più.
Alfio Mosca avrebbe voluto prendere come moglie la Mena: “un bel partito per lei col mulo che ci aveva”. Ma lei:
Ora sono vecchia, compare Alfio – rispose -, e non mi marito più.
Mena ora sente il peso della famiglia con le responsabilità e le colpe di ciascuno.
Il contrasto è irrimediabile: si fronteggiano la rasserenante positività di chi rimane fedele alla religiosa casa del padre, Alessi e Nunziata che abitano nella casa del nespolo ormai riscattata, e il fallimento di chi si è ribellato per mutare stato.
Si contrappongono l’onesta saggezza proverbiale del nonno che tenta di recuperare il possibile nel comportamento di ‘Ntoni; dall’altra, la spavalderia del giovane, mantenuto dalla Santuzza e dedito al contrabbando.
La chiusura del libro è affidata al ritorno di ‘Ntoni dopo cinque anni di prigione:
Una sera, tardi, il cane si mise ad abbaiare dietro l’uscio del cortile, e lo stesso Alessi, che andò ad aprire, non riconobbe ‘Ntoni il quale tornava colla sporta sotto il braccio, tanto era mutato, coperto di polvere, e colla barba lunga.
Lo sguardo e la memoria s’intrecciano; osservando le stanze e gli oggetti della casa affiorano i ricordi e la nostalgia prende il sopravvento, ma ‘Ntoni, “il vinto dei vinti”, non resta: decide di andar via e chiede a tutti di essere perdonato.
Se ne sta a contemplare il mare, prima di lasciare il paese:
Soltanto il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai faraglioni, perché il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo tutto suo di brontolare, e si riconosce subito al gorgogliare che fra quegli scogli nei quali si rompe, e par la voce di un amico.
La parabola dei Malavoglia di Giovanni Verga mette in luce il naufragio dello sforzo di uscire dal proprio stabile guscio, dal “paese-nido”. Di qui il forte richiamo del radicamento: per chi infrange la legge della tradizione, inevitabilmente la sconfitta prevale sull’ansia di riscatto. Il mare nero ostacola l’avventura, ha voce amica solo quando lambisce la riva del paese.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Giovanni Verga: “I Malavoglia” e la legge della tradizione
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