I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia. Perché Aldo Moro doveva morire?
- Autore: Ferdinando Imposimato
- Genere: Storie vere
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2013
Il “caso Moro” è un mistery infinito: l’ennesima sua variante in salsa scoop si rintraccia nell’indagine di Ferdinando Imposimato “I 55 giorni che hanno cambiato l’Italia” (Newton Compton, 2013), dove l’assunto che più di tutti farà tremare le vene ai polsi dei suoi lettori è questo: aldilà dei brancolamenti nel buio, delle perquisizioni all’acqua di rose, dei vaticini medianici, chi doveva sapere sapeva benissimo della “prigione” di via Montalcini in cui era detenuto Aldo Moro e lo sapeva al punto che il blitz dei militari era ormai pronto, solo una questione di ore. Tutto questo fino all’8 maggio del 1978, quando ai reparti appostati per l’azione è dato l’ordine di levare le tende e tornarsene a casa.
Stando alla ricostruzione di Imposimato (che dell’omicidio Moro è stato a lungo Pubblico Istruttore) in quei giorni, a Roma, era peraltro un gran via vai di intelligence nazionali e internazionali, ufficiali e occulte: c’erano - dalla parte dei presunti “buoni” - i servizi segreti inglesi, tedeschi, Gladio, nonché l’immancabile P2; mentre dall’altra - quella delle Brigate Rosse - si davano da fare i terroristi della RAF, la Stasi e - in forma occultamente indiretta - il KGB in persona.
Plausibile o meno che siano queste grandi manovre all’ombra del Cupolone (l’inchiesta di Imposimato è oltremodo documentata), dà comunque da pensare l’amarcord di Steve Pieczenik - braccio destro di Kissinger e autentico motore del Comitato di crisi istituito dopo la strage di via Fani -, riportato nell’introduzione di Antonio Esposito:
“Le Brigate Rosse avrebbero potuto rilasciare Aldo Moro e così avrebbero senza dubbio conquistato un grande successo, aumentando la loro legittimità. Al contrario, io sono riuscito con la mia strategia, a creare una unanime repulsione contro questo gruppo di terroristi e allo stesso tempo un rifiuto verso i comunisti (…) Il prezzo da pagare è stata la vita di Moro (…). La trappola era che loro dovevano uccidere Aldo Moro. Loro pensavano che io avrei fatto di tutto per salvare la vita di Moro, mentre ciò che è accaduto è esattamente il contrario. Io li ho abbindolati a tal punto che a loro non restava altro che uccidere il prigioniero (…) La decisione di fare uccidere Moro non è stata una decisione presa alla leggera (…) Cossiga ha saputo reggere questa strategia e assieme abbiamo preso una decisione estremamente difficile, difficile soprattutto per lui. Ma la decisione finale è stata di Cossiga e, presumo, anche di Andreotti”.
Gulp! Come scriveremmo se fossimo in un fumetto: l’omicidio di Moro altro non sarebbe che l’ennesimo “delitto italiano”, consumato dalle Br col beneplacito del gotha politico e le immancabili ingerenze internazionali.
Ancora una volta viene da chiedersi: dietrologismo? Quello che è certo sono i trentacinque anni fitti di memoriali, film, istruttorie, saggi, pamphlet di ogni tipo, che ancora non sono bastati a dettare la parola definitiva su un “caso” infinito.
A prescindere da come uno la pensi, questo libro del giudice Imposimato avvince come un romanzo di spionaggio ma conserva l’aplomb dell’inchiesta giudiziaria, presentando, soprattutto, alcuni aspetti di assoluta novità rispetto alla bibliografia precedente, aspetti fondati su documenti inediti e rivelazioni choc. Come quelle di due militari assegnati proprio ai reparti per la liberazione del politico democristiano, che raccontano il dietro-front per ordine del Ministero dell’Interno e lo sconcerto diffuso che ne seguì (soprattutto da parte degli inglesi e tedeschi coinvolti nell’operazione, nonchè del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa).
Con l’onestà e il nitore narrativo che gli vanno comunque riconosciuti, Imposimato prova a penetrare la cortina di menzogne - di Stato - intorno all’affaire Moro, redigendo un saggio inquietante, a partire, dal sottotitolo:
“Perché Aldo Moro doveva morire?”.
Ma l’interrogativo è, in fondo, pleonastico: una cosa, fra tante ombre, è infatti certa: Moro è stato lasciato morire in quanto “scomodo”, vittima sacrificale di una linea politica invisa a molti (troppi), e non soltanto in Italia.
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