I canti di un sognatore morto di Thomas Ligotti

Città labirintiche invase dall’oscurità e strane luci verdi dove si aggirano clown tristi, manicomi abbandonati da tempo alle cui finestre non è insolito scorgere i fantasmi dei pazienti divorati dalla follia, manichini che prendono vita e strane maschere di carnevale che diventano tutt’uno con il proprio viso. Sono solo alcuni degli incubi visionari di Thomas Ligotti, raccolti nella sua prima grande raccolta di racconti, “I canti di un sognatore morto” (Elara, 2012), opera che lo ha fatto conoscere al grande pubblico a partire dalla prima edizione americana del 1986, seppur fra mille difficoltà.

Indiscutibile talento letterario, riconosciuto quale erede contemporaneo della tradizione dell’horror sovrannaturale di cui sono massimi esponenti Edgar Allan Poe e H.P. Lovecraft, l’autore si serve con maestria di uno stile caratterizzato da una prosa raffinata, ricca di immagini inquietanti e oniriche che disgregano la realtà, o meglio la percezione che convenzionalmente abbiamo di essa. Oltre venti racconti di altissima qualità narrativa, terrorizzanti, fra i quali non si può fare a meno di menzionare “La clinica del Dottor Locrian”, “La Perduta Arte del Crepuscolo”, Dr. Voke e Mr. Veech” e “L’ultimo banchetto di Arlecchino”. Una lettura indimenticabile, adatta agli amanti del terrore, del sovrannaturale, a chi non ha paura di mettersi alla prova e si vedrà costretto a dormire con la luce accesa, almeno per qualche notte.

“E la bella casa non fu più tranquilla, perché tra le sue mura risuonò un urlo, chiaro e agghiacciante, simile a una risata, il suono perfetto per accompagnare il racconto di un aneddoto di poca importanza che parla di un qualche oscuro inferno.”