L’uomo che non voleva piangere
- Autore: Stig Dagerman
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Iperborea
- Anno di pubblicazione: 2025
Stig Dagerman (1923-1954) si è ucciso che era ancora giovane, ma ha avuto il tempo di consegnare alla storia letteraria quattro romanzi, altrettanti drammi teatrali e una messe corposa di racconti e poesie, che lo eleggono scrittore fra i più autorevoli del Novecento europeo. Nell’attenta traduzione di Fulvio Ferrari (che firma anche la postfazione al volume) è uscito per Iperborea nel 2025 L’uomo che non voleva piangere, nutrita antologia di racconti, alcuni dei quali mai pubblicati prima in Italia.
L’esperienza di lettura è di quelle che non si dimenticano, soprattutto se ci si dà tempo di metabolizzarla, di assaporare fino in fondo le suggestioni delle storie che Dagerman è in grado di concepire esulando dalle categorie di genere. La classe narrativa dello scrittore è innegabile, a partire dall’eclettismo semantico, il primo e più evidente dei suoi punti di forza. Una duttilità stilistica, quella di Dagerman, funzionale ai climi delle storie, persino alle più sfrangiate. Per dirla in altro modo: con un approccio semasiologico spiazzante – e sulla scorta di ciò dotato di attrattiva -, Stig Dagerman rende la sua prosa irresistibile, contigua ai piani del reale e dell’assurdo, oggettiva e simbolica al contempo.
Connotata di una tensione visionaria mai fine a se stessa, piuttosto mascheratrice di un’impietosa ricerca focalizzata sul mal de vivre (“Non si può essere condannati a morte la mattina e condannati a vivere la sera. Non è possibile scambiare l’esistenza sicura del condannato a morte con quella incerta del condannato a vivere”, Il condannato a morte); su un quotidiano assurdo, sofferto e sofferente.
È questo il filo rosso che taglia per esteso le storie di L’uomo che non voleva piangere, racconti per il resto difformi l’uno dall’altro, emblematici – torno a dire - non soltanto dello stile di scrittura ma anche dei temi caratterizzanti lo specifico dagermaniano. La distopia simil-kafkiana di L’uomo che non voleva piangere (un’intera società costretta al lutto per la morte di una celebre attrice); il grottesco e - a partire dal titolo - altrettanto kafkiano Il processo (un giudice impaurisce l’imputato distraendosi con una ghigliottina tascabile); l’emotivo tour de force fra i sensi di colpa dell’Uomo di Milesia; le visioni allucinatorie che sfociano nel crescendo di terrore che avvinghia il protagonista di Vagoni rossi; il flusso di coscienza dell’ubriaco di Dov’è il mio maglione islandese?.
Come annota opportunamente Fulvio Ferrari in postfazione:
Quello che subito colpisce il lettore, credo, è la grande varietà di stili e di tecniche narrative: Dangerman, d’altro canto, si dimostra grande sperimentatore anche nei suoi romanzi, dove la tradizione letteraria svedese, da Strindberg a Eyvind Johnson, incontra le esperienze più innovative della narrativa europea, Kafka in primo luogo. Dangerman stesso, in più occasioni, ha affermato di nutrire una particolare ammirazione per Johnson, Kafka e Faulkner, e il rapporto dialogico e creativo con gli ultimi due appare del tutto evidente nei racconti che qui pubblichiamo. Alla lezione di Kafka, assimilata e rielaborata in modo originale, si devono ad esempio i mondi astratti, quasi onirici, in cui si muovono i personaggi di “L’uomo di Milesia” e “Il condannato a morte” […] più sorprendente è trovare in “L’uomo che non voleva piangere”, pubblicato nel 1947, la prefigurazione di riflessioni a cui l’autore darà forma saggistica tre anni più tardi, nell’articolo “La dittatura del lutto” (pubblicato in Italia nel volume “La politica dell’impossibile”).
In ultima analisi: nei racconti compresi in questa raccolta c’è tutto Stig Dagerman - uomo e scrittore irrequieto, impegnato, disincantato, politico, autodistruttivo -; ci sono i suoi paradigmi ideali di riferimento - esistenzialismo, realismo, surrealismo -; c’è l’eco dei suoi autori di riferimento rivisitati in stile e personalità proprie - Kafka e Faulkner in modo evidente, Camus, forse, in modo più velato -; e c’è la sua prosa versatile, agile, e miracolosamente puntuale, a restituire la cifra inquieta, inquietante e dolorosa, di un maestro assoluto dello sguardo, interiore e ulteriore, della narrativa svedese. E non solo.
L'uomo che non voleva piangere
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’uomo che non voleva piangere
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