I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia Repubblicana di Edoardo Novelli

Iconici. Paternalistici. Ideologici. Urlati. Sgargianti. Incisivi. Demonizzanti. Rivendicativi. Sloganistici. La storia d’Italia si racconta anche attraverso immagini e parole dei manifesti della propaganda politica sui muri: dal familismo pedagogico dei tardo-monarchici (1946) agli spauracchi comunista e fascista degli affiche democristiani (“Progresso senza avventure. Vota D.C.”, 1958; “25 aprile ma più dittature, avanti con la dc, 1963), fino all’operaismo di una sinistra come oggi si fatica persino a immaginare (“Loro non fanno la dolce vita. Per questo votano Partito socialista italiano”, 1965; “Complesso torinese. La stampa dei padroni”, Partito Comunista Italiano 1968). Dal primo dopoguerra fino alla pancia degli Ottanta, la politica passava dalle piazze invece che dai talk show: unitamente ai comizi — i comizi dalle giacche stazzonate, dei fazzoletti sudaticci a tergere la fronte, dell’oratoria roboante – il manifesto pubblicitario costituiva l’altro modo di parlare agli elettori, pubblicizzare la linea politica.

Nel saggio che Edoardo Novelli elabora sul tema, I manifesti politici. Storie e immagini dell’Italia Repubblicana (Carocci 2021), è dato spazio ulteriore alla cartellonistica sulle battaglie civili, patrocinate da organizzazioni politiche e movimenti. Alcune lotte sono passate alla storia come epocali, come quella abrogativa la legge sul divorzio (1974): “Chi crede nel matrimonio non ha paura del divorzio”, garantiva a esergo di una foto tutta sorrisi e denti bianchi da patinata, un manifesto PSI contro l’abolizione. A fargli eco avversa, il poster democristiano che per bocca di un’aspirante mogliettina replicava: “Cerco un marito che crede nella famiglia e non nel divorzio”.

Fra gli anni Sessanta e Settanta campeggiavano anche i manifesti musical-libertari dei festival organizzati dalla rivista “Re Nudo” (Festa del proletariato giovanile) e quelli refendari e pro-libertà sessuale del Partito Radicale (“Contro l’aborto clandestino di classe e clericale”, 1975; “La tua vita sessuale è solo tua. Liberala!”, 1976).

Incisiva anche la grafica fumettistica di Soccorso Rosso che nel ‘72 ricorre a Guido Crepax per denunciare: “Valpreda è innocente: la strage è di stato. Contro la strage dei padroni giustizia proletari”, e di Avanguardia operaia che si affida a una strip di Alfredo Chiappori per enunciare “No al fascismo No alla D.C. “(1974). Anni ferventi di impegno civile e denuncia sociale, che Edoardo Novelli racconta per tratti salienti sotto l’aspetto duplice della storia politica e della grafica pubblicitaria.

“Nei manifesti è […] rintracciabile il percorso della comunicazione visiva attraverso stagioni, stili, vocabolari simboli, ispirati a correnti artistiche, scuole, movimenti e al lavoro dei loro principali esponenti, che hanno contaminato e influenzato la comunicazione politica italiana. Lungo, anche in questo caso, l’elenco: dal futurismo al costruttivismo, dal Liberty al Bauhaus, e poi il suprematismo, il realismo, il neoplasticismo. Contaminazioni che non si limitano al piano estetico e formale, con l’adozione di registri visivi e tecniche […] ma che investono il contenuto del messaggio, rimarcando appartenenze, affinità, orientamenti ideologici”. (pag. 12)

Il saggio non tralascia i meno appassionanti anni Novanta e Duemila – un decennio di manifesti dove prevalgono i primi piani dei leader, e i nuovi simboli “bucolici” di partiti che hanno cambiato nome -, a ultimare una parabola visivamente e contenutisticamente significativa.

Edoardo Novelli insegna comunicazione politica, sociologia dei media e dei visual studies all’Università Roma Tre: di questo retroterra accademico se ne giova tanto la puntualità informativa quanto la fluidità della prosa. Il testo è inoltre illustrato a colori: un utile regalo da mettere sotto l’albero, contraltare di un frangente storico caratterizzato dall’impalpabilità degli slanci ideali.